Misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
Corte di Cassazione Sez. Prima Pen. - Sent. del 02.05.2012, n. 16145
Presidente Bardovagni - Relatore Caprioglio
Ritenuto in fatto
1. Con decreto del 2.5.2011 la corte d'appello di Palermo, in parziale accoglimento dell'appello interposto dal Procuratore della Repubblica di Palermo e dal procuratore Generale di Palermo applicava a V.A. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di due anni e sei mesi, rigettava la richiesta di confisca, revocando il sequestro, in relazione alla ditta individuale Va.Ro. , con sede in (…) , autovettura Fiat Dino, motociclo ed alcuni conti correnti, mentre ordinava la confisca dell'intero capitale sociale e del complesso aziendale di T. S. canale (…), con sede in (…) del locale cantinato sito in via (…) , della quota sociale intestata a Va.Ro. , della società E. S. sas, con sede in (…) , delle quote intestate a V.A. nell'ambito di srl F., con sede in (…) , di autoveicolo speciale sequestrato a V.M. , dei saldi attivi di numerosi rapporti bancari, nonché dell'appartamento sito in via (…) , intestato a V.F. ed a P.D.
Con decreto del 21.7.2008, il Tribunale di Palermo, sezione misure di prevenzione, aveva rigettato la richiesta per l'applicazione della misura di prevenzione di carattere personale, nonché la proposta di misura a carattere patrimoniale ed aveva revocato i sequestri che erano stati disposti, in ragione del fatto che per quanto fossero apprezzabili elementi indiziari di pericolosità sociale a carico del proposto, i fatti emersi (sull'attivazione del prevenuto con i fratelli G. , al vertice del mandamento di Brancaccio, nel movimento politico Sicilia libera e sulla disponibilità dallo stesso manifestata in favore del vertice mafioso) erano risalenti e quindi difettava il connotato dell'attualità della pericolosità.
Avverso tale decisione avevano fatto appello il Pm ed il Pg, opponendo come gli elementi indiziari fossero invero sintomatici di profonda compenetrazione del V. nell'organizzazione mafiosa; la corte sospendeva la esecuzione del decreto impugnato nella parte relativa alla revoca del sequestro ed all'esito della discussione accoglieva l'appello. Veniva evidenziato che sulla base delle molteplici dichiarazioni di collaboranti era emerso come il V. avesse consapevolmente operato, mettendo a disposizione vari immobili e la messa in onda di trasmissioni televisive, tese ad accreditare una formazione politica che avrebbe dovuto difendere gli interessi di Cosa Nostra. Venivano quindi ritenuti sussistenti i presupposti di cui all'art. 1 L. 575/1965, profilandosi il V. quale soggetto indiziato di appartenere ad un'associazione di stampo mafioso, non foss'altro per l'accertata ospitalità che egli ebbe ad offrire in quel di Padova, a G.F. , G.B. ed a G.G. , nel periodo coevo alle stragi del 1993, in cui gli stessi G. erano stati coinvolti, consentendo loro di mantenere un ruolo egemone all'interno del sodalizio (fatto pel quale il V. era stato condannato in via definitiva per favoreggiamento). Non solo, ma andavano valorizzate anche le dichiarazioni del collaboratore Ba.Fe. , secondo cui il V. era gestore di un deposito di carni in cui erano stati investiti i denari di G..G. e che nel 1999 venne contattato dal V. , per escutere un credito presso un gestore di una carrozzeria, operazione che egli aveva portato a compimento, avvalendosi del noto boss L. P. Proprio tale episodio, secondo la corte territoriale segnava la continuità di legami inquietanti e di rapporti pericolosi mantenuti dal V. , anche a distanza rispetto alla cattura dei G. , occorsa nel 1994, che imponeva la misura di prevenzione personale con obbligo di pagamento di cauzione nella misura di 3000 Euro. Quanto invece alla misura di prevenzione patrimoniale, venivano riprese le risultanze di un accertamento condotto dalla DIA di Palermo, che venivano confrontate con gli argomenti a difesa, portando a concludere sulla sproporzione dei detti redditi rispetto agli investimenti che consentirono prima la costituzione e poi l'ingente aumento di capitale della emittente televisiva T. S., quindi le altre intraprese imprenditoriali del V. , quali l'acquisto dell'appartamento a favore del figlio V.F. e l'intestazione a lui medesimo ed alla sua convivente. Veniva riportato il contributo di Ca.Tu. che riferiva del V. come colui che effettivamente aveva gestito l'emittente menzionata e che operò la campagna elettorale per Sicilia libera, movimento voluto da B.L. , a cui aderivano i G. , circostanza questa che era stata ammessa dallo stesso V. , nell'ambito del processo che lo aveva visto imputato di favoreggiamento dei G. Sulla base di queste indicazione veniva disattesa la argomentazione difensiva secondo cui il V. non avrebbe avuto alcun potere gestionale all'interno della emittente, seppure dopo il 1986 detto potere fu esercitato solo di fatto, poiché V. riportò condanna per il reato di bancarotta fraudolenta, il che spiega la dismissione delle quote di T. ed il subentro dei figli. Veniva sottolineata la forte sproporzione tra gli investimenti operati nel periodo dal 1985 in avanti dal V. (iniziale tranche di 150 milioni di lire confluiti nella emittente, aumento di capitale nel 1990 per 130 milioni, aumento di capitale nel 2000 per 200 milioni) ed il flusso dei redditi percepiti dallo stesso e dal suo nucleo familiare, i cui membri comparivano nella compagine sociale (V.M. e V.F. , C.R. moglie del V. e M.N. , moglie del M. ). Veniva fatto rilevare che in prossimità con la celebrazione del processo per favoreggiamento a carico del V. , andava colto il progressivo spostamento del pacchetto di quote in capo a M.N. ed al di lei padre, M.G. , senza che costoro avessero la solidità economica necessaria per operare simile investimento, che veniva riconosciuta come operazione strumentale alla tutela del patrimonio del V. , anche perché i M. non ebbero a dimostrare la provenienza del capitale necessario all'investimento.
Sempre stando agli accertamenti condotti dalla DIA, veniva ritenuto fittiziamente intestata la società E. s., di fatto riconducibile alla titolarità del V. , che sul suo campanello di casa riportava la diciture E. s. sas di V. A.. Per quanto riguarda l'appartamento intestate a V.M. e P.D. , veniva evidenziato che i redditi risultati percepiti dai predetti (V.M. nel 2002 non dichiarò alcun reddito) non consentivano di giustificare l'esborso per l'acquisto.
2. Avverso tale pronuncia, hanno proposto ricorso per Cassazione la difesa del V. , nonché il difensore di C.R.S. , M.G. , M.N. , P.D. , V.M. , V.R. , Va.Ro. e V.F. , munito di procura speciale.
2.1 Con il ricorso dell'avv. R. G., è stato dedotto vizio di violazione di legge, per quanto riguarda la misura personale sotto il profilo dell'art. 1 L. 575/1965 e per quanto riguarda la misura patrimoniale, anche sotto il profilo dell'art. 2 bis della legge sulla confisca dei beni, nonché vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà ed illogicità.
Il decreto impugnato nella parte decisiva, relativa all'attualità della pericolosità sociale del proposto, non avrebbe distinto tra i partecipi all'associazione dai favoreggiatori, giungendo a desumere la persistenza di un sistema di vita e del legame con il sodalizio associativo da condotta deviante molto risalente nel tempo, quale quell'unico episodio occorso nel 1999 di richiesta di recupero credito a B.F. . Senza contare poi che il V. fu condannato per favoreggiamento ben 14 anni fa e che la corte da questa condanna fa derivare l'inserimento del medesimo i nell'associazione, che non risulta da alcun atto giudiziario; i collegamento con i G. si sono dissolti nel 1993, quando questi furono arrestati ed a tutt'oggi sono in vincoli senza soluzione di continuità. Quanto alle indicazioni dei collaboratori, la difesa fa rilevare che a P.G. è stato revocato il programma di protezione, perché considerato non attendibile, Ba. è detenuto da ben 13 anni ininterrottamente, con il che non è in grado di raccontare fatti di attualità. Lo stesso Tribunale di Palermo in primo grado, ha evidenziato che fino agli anni novanta il V. aveva in più occasioni dimostrato disponibilità in favore di esponenti di cosa nostra, quali i fratelli G. , ma tale non recente disponibilità, se da un lato poteva apprezzarsi come appartenenza,anche se mai trasmodata nella partecipazione al sodalizio, dall'altro doveva ritenersi cessata in mancanza di indizi concreti su più recenti contributi dal proposto a favore dell'associazione mafiosa. Venivano quindi ritenuti mancanti i presupposti per far luogo alla misura di prevenzione personale.
Quanto alle misure a carattere patrimoniale, la corte territoriale avrebbe ipotizzato che i beni siano stati fittiziamente intestati da V.A. ai suoi familiari, per sfuggire al rigore della confisca: ma anche in proposito la corte avrebbe dovuto valutare che il menzionato non fu mai, neppure sospettato di far parte del sodalizio, per cui non avrebbe rigore logico l'affermazione della corte secondo cui il V. avrebbe dovuto dimostrare il recesso dal sodalizio, a cui mai risulta abbia fatto parte. Quanto alla vantazione della potenzialità economica del V. , la corte territoriale sarebbe incorsa in un grosso errore, poiché non avrebbe distinto tra dichiarazione dei redditi e percezione da parte dello stato del reddito delle persone fisiche. Viene rilevato che non può essere affermata la pericolosità sociale del V. solo perché avrebbe messo a disposizione (circostanza tutta da dimostrare) venticinque anni addietro e non nell'attualità, la sua emittente televisiva alle richiesta del Ca. , né poteva ritenersi il V. interessato alla gestione detta emittente, visto che una volta uscito dal capitale della società, aveva indirizzato i suoi interessi verso il commercio di carni.
Ancora, avrebbe errato la corte territoriale nel valutare la sproporzionalità tra reddito e valore della proprietà, cercando di legare le attività economiche imprenditoriali al reddito, atteso che il reddito nelle attività imprenditoriali è un elemento oscillante, difficilmente valutabile, anche connesso alla aperture di credito, a cui gli imprenditori fanno ricorso. V. aveva la disponibilità economico-finanziaria per rilevare remittente dalla procedura fallimentare Telesud Canale 65, essendo stato dimostrato, con perizia giurata, che aveva una disponibilità finanziaria di 250 milioni di lire. La dimostrazione che egli non avesse legami economici con la criminalità organizzata starebbe nel fatto che il V. , dopo varie traversie fu costretto a tornare al suo vecchio mestiere di macellaio, neppure con esercizio commerciale, ma con una partecipazione pari al 5% della srl Farra, per la vendita al minuto di prodotti di un'impresa agro-zootecnica. Sarebbe quindi del tutto errata la valutazione che ha condotto al sequestro della partecipazione. In ogni caso, viene opposto anche vizio di carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, non essendo stato tenuto in conto la potenzialità economica e la disponibilità finanziaria anche attraverso aperture di credito bancario, su cui V. poteva contare nello svolgimento della sua attività.
2.2 L'avv. Marcello Montalbano, per i terzi interessati ha dedotto violazione degli artt. 581 c 1 e 591 cod.proc.pen., nonché violazione dell'art. 1 l. 575/1965, sotto il profilo dell'errata interpretazione ed applicazione dell'art. 2 bis c 1 e del difetto di motivazione, nonché del travisamento del fatto e della contraddittorietà della motivazione.
La difesa fa rilevare che gli atti di appello, sia del Pm che del Pg, manifestano un'evidente ed innegabile genericità, atteso che dalla lettura degli atti di appello non si comprende quali fossero i capi ed i punti oggetto di gravame e quali fossero le ragioni specifiche di diritto e gli elementi in fatto che avrebbero dovuto sorreggere la richiesta di riforma del decreto. Non risponde al vero che il tribunale in primo grado non si fosse pronunciato sulla congruità delle risorse del proposto e dei terzi interessati, rispetto agli investimenti effettuati, ma la risposta venne fornita sulla base di un ragionamento autonomo, rispetto a quello seguito per rigettare la richiesta di misura personale. Ragion per cui secondo la difesa, la corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibili i ricorsi.
Con riferimento agli aspetti patrimoniali, la corte avrebbe totalmente omesso di rilevare che nessuno dei prossimi congiunti conviveva con il proposto da oltre un quinquennio; avrebbe omesso di valutare la documentazione che è stata prodotta, ed in particolare la CT, che mirava a comprovare la proporzione dei redditi percepiti dagli intervenienti, rispetto agli investimenti effettuati. Viene ribadito che l'immissione di denaro ad opera del V. per l'acquisto di T.Canale (…) srl, fu consentito al V. per la disponibilità di liquidità che gli derivava dalla vendita di alloggio al prezzo di 250 milioni di lire, nell'aprile del 1989 e per i flussi reddituali della sua attività di impresa che come disse l'interessato,gli consentiva una buona entrata. Il fatto che al V. sia stata applicata una pena ex art. 444 cod.proc.pen. per il reato di bancarotta, non può rilevare in detta sede, perché la sentenza non accerta alcunché; al più potrebbe ipotizzarsi che proprio le somme distratte alla sua attività di impresa siano confluite nell'emittente. La difesa poi lamentava che la corte territoriale avesse trascurato le testimonianza di Gr.Gi. e D.G.R. , che lavorarono all'emittente e che rappresentarono come l'attività della stessa fosse gestita interamente dai due figli di V.A. e che fu una soltanto la trasmissione in cui venne dato spazio al movimento Sicilia libera, durante la campagna elettorale del 1993, in cui peraltro venne dato spazio a tutti i partiti dell'arco costituzionale.
Quanto a M.G. ed alla sua famiglia, veniva rilevato che costui poté disporre tra il 1992 ed il 2002 di una liquidità pari a circa 900 milioni di lire, per cui non è irragionevole che abbia potuto fare fronte ad un investimento di 200 milioni, con il che fa motivazione sul punto suonerebbe del tutto apparente. Lo stesso dicasi per l'appartamento intestato a V.F. e P.D. , la corte avrebbe omesso di considerare che il primo era titolare di reddito nell'esercizio 2002 e che entrambi erano in grado di far fronte sia all'esborso di 26 milioni di investimento, sia di pagare le rate del mutuo, visto che tra l'altro abitavano l'alloggio acquistato, con il che non poteva essere sostenuta una disponibilità indiretta in favore di V.A. . Viene poi rilevata la carenza assoluta di motivazione del provvedimento di confisca della quota sociale pari a Euro 22.947, normalmente spettante a Va.Ro. , figlia dell'A. , quale socia di European service sas, avente ad oggetto la prestazione di servizi.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso.
4. Nelle more della decisione la difesa, nella persona degli avv.ti P.e G., ha depositato una memoria con cui delimitando le censure al perimetro della sola violazione di legge, così come imposto dal testo normativo, evidenzia la insussistenza del presupposto per fare luogo alla misura di prevenzione non essendo mai stato condannato il V. per reato associativo, neppure nella forma del concorso esterno; la condanna per favoreggiamento dei G. occorsa nel 1993 è significativa di una non recente disponibilità del prevenuto nei confronti di soggetti mafiosi, neutralizzata però dal lungo tempo trascorso. Quanto poi alla misura di prevenzione patrimoniale, la difesa fa presente come sia stata del tutto sottovalutato l'apporto del sistema bancario che il V. ebbe a ricevere così come documentato nella consulenza agli atti. Viene quindi insistito per l'annullamento del decreto impugnato ed in via di subordine viene sollevata questione di illegittimità costituzionale della norma (art. 4 l. 1423/1956), nella parte in cui limita al solo vizio di violazione di legge il ricorso in cassazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Va premesso che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge ai sensi dell'art. 4 e 10 e 11 l. 1423/1956, richiamato dall'art. 3 ter c. 2 l. 575/1965: la limitazione del ricorso in tali termini è stata riconosciuta non irragionevole dalla corte Costituzionale, con sentenza 321 del 2004, data la peculiarità del procedimento di prevenzione sia sul piano processuale, che su quello sostanziale.
Detto ciò, deve essere aggiunto che presupposto per l'applicazione della misura di prevenzione è l'attualità della pericolosità sociale del proposto. Il giudizio in tale senso deve essere ancorato a dati di fatto con attitudine dimostrativa tanto più significativi, in casi quale quello di specie in cui il proposto non fu mai chiamato a rispondere di appartenenza ad associazione mafiosa. La corte, nel prendere le distanza dal decreto del tribunale che aveva rigettato la proposta di applicazione delle misure personale patrimoniale, ha ritenuto di inferire il profilo di pericolosità sociale con carattere di attualità dal fatto che il V. fu condannato per favoreggiamento personale dei fratelli G. nel 1993, dal fatto che nei primi anni novanta lo stesso V. avrebbe operato in stretta contiguità con personaggi mafiosi di alto livello (quali B. , Ca. , P. ed altri) per aver messo a loro disposizione l'emittente televisiva T. S., al fine di propagandare il movimento Sicilia Libera, ideato e voluto da B.L. nell'ambito della strategia intrapresa da Cosa Nostra dopo l'arresto di S..R. , ancora dal fatto che nel 1999 il V. ebbe a chiedere l'intervento del mafioso L. P., capo mandamento di Resuttana, per il recupero di un credito. Tale quadro sicuramente significativo di una disponibilità a favore di soggetti mafiosi, di notevole caratura, - mai tradottasi peraltro in una vera e propria appartenenza -, non può oggi, a distanza di oltre dieci anni, riverberarsi in termini dimostrativi di una residuata pericolosità sociale, se solo si consideri che medio tempore il medesimo dovette vendere un appartamento a condizioni sfavorevoli per problemi di liquidità, dovette subire un fallimento ed una condanna (ancorché patteggiata) per bancarotta, dovette proseguire l'attività di macellaio in forma artigianale (e non più imprenditoriale), eventi questi che sembrano delineare un percorso svincolato dalle consorterie mafiose, al di fuori di ombrelli protettivi, poiché fatta eccezione per l'intervento sul debitore moroso nel 1999, non sembra che i mafiosi abbiano operato a favore del prevenuto, presunto fiancheggiatore dei vertici di Cosa Nostra. Sul punto infatti il Tribunale, non a caso, rilevava che la non recente disponibilità apertamente manifestata dal V. , seppure non tradotta in partecipazione interna al sodalizio, doveva ritenersi cessata in difetto di indizi precisi e concreti, quanto a più recenti contributi significativi all'associazione. Tale vantazione è stata superata dalla corte territoriale con un incedere logico non accettabile, poiché ancorato a dati di fatto assolutamente risalenti nel tempo e privi di attitudine dimostrativa di un'attuale profilo di pericolosità, con la pretesa di fare ricadere sul proposto un onere di prova di recesso da un gruppo (Cosa Nostra) di cui non risulta aver mai fatto parte, ovvero di taglio di legami che invero nell'attualità l'accusa non è stato in grado di comprovare.
Anche dal punto di vista strettamente patrimoniale, il V. che operò fin da giovane nel settore della macellazione delle carni (avendo gestito tra l'altro la madre una macelleria), ha dimostrato di aver avuto fonti di reddito lecite e che seppure con alterne fortune, dovute anche a speculazioni non sempre con esito felice, ha però sempre potuto contare su un mestiere specializzato produttivo di reddito.
A fronte di questa realtà, così come emergente dagli atti, l'avere riconosciuto il V. come soggetto oggi pericoloso e quindi l'aver ritenuto sussistente il presupposto per la emissione di misure di prevenzione configura un'evidente violazione di legge, insanabile, che impone l'annullamento del decreto impugnato, senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il decreto impugnato.
Depositata in Cancelleria il 0205.2012
07-05-2012 00:00
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