L'impiego di clandestini tenuti in condizione di sfruttamento, per la Cassazione, non integra il reato di riduzione in schiavitu'.
Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. - Sent. del 10.01.2012, n. 251
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento impugnato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce in data 15.4.2011, con la quale veniva applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di G. L. per i reati di cui agli artt.416 coc. pen. (capo A), 600 cod. pen. (capo B), 629 cod. pen. (capo C), 12 d.lgs. n. 286 del 1998 (capo D) e 640 cod. pen. (capo E), veniva annullata limitatamente al capo B e confermata per il resto.
I reati ipotizzati a carico dell'indagato, nella sua qualità di amministratore della s.r.l. T. impresa impegnata nella realizzazione di impianti per la produzione di energia fotovoltaica nel Salento, riguardavano l'impiego nei cantieri della società di lavoratori extracomunitari, taluni dei quali privi di permesso di soggiorno, in condizioni di sfruttamento con protrazione dell'orario di lavoro anche oltre le dodici ore giornaliere ed in situazioni ambientali di pioggia e terreno fangoso e con retribuzioni inferiori a quelle pattuite, accettate dai dipendenti a seguito di minacce di licenziamento.
La ravvisabilità del reato di cui all'art. 600 cod.pen. veniva esclusa per la mancanza del presupposto di uno stato di soggezione continuativa tale da privare i soggetti passivi della libertà di autodeterminarsi e di alternative alle condizioni di lavoro contestate, viceversa accettate in quanto ritenute comunque convenienti. La minaccia di licenziamento in caso di rifiuto di dette condizioni era invece ritenuta tale da integrare il reato di estorsione, mentre la presenza di lavoratori irregolari veniva considerata idonea al conseguimento di un ingiusto profitto, costituito dalla corresponsione di misere retribuzioni, approfittando di detta condizione di irregolarità, e dunque a configurare il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina; e si ritenevano altresì sussistenti le esigenze cautelari rappresentate dai pericoli di reiterazione dei reati e di inquinamento della prova.
2. Il Procuratore della Repubblica ricorrente deduce:
2.1. violazione di legge e mancanza o illogicità della motivazione in ordine all'esclusione dei gravi indizi per il reato di cui all'art. 600 cod. pen., osservando che il reato è adeguatamente integrato dall'approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica e non richiede la totale eliminazione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, ma che comunque quest'ultimo requisito era nella specie ravvisabile nella posizione di lavoratori extracomunitari indigenti e pertanto costretti ad accettare le descritte condizioni di lavoro in mancanza di legittime alternative di vita.
2.2. L'indagato ricorrente deduce:
violazione di legge in ordine alla sussistenza di gravi indizi per il reato di cui all'art. 629 cod. pen., osservando che le uniche minacce ritenute accertate con l'ordinanza impugnata, ossia quelle di licenziamento, si collocavano successivamente all'instaurazione consensuale del rapporto di lavoro;
2.3. violazione di legge ed illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi per il reato di cui all'art.12 d.lgs. n.2 86 del 1998, contestando la ravvisabilità del fine di conseguire ingiusto profitto in presenza di un limitato numero di lavoratori irregolari rispetto a quelli complessivamente impiegati in un'attività lecita;
2.4. violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi per il reato associativo;
2.5. violazione di legge ed illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, richiamando il contenuto del ricorso avverso l'ordinanza applicativa in ordine alle condizioni lavorative effettivamente praticate ed osservando che l'avvenuto sequestro preventivo delle quote sociali, dell'azienda, delle attrezzature e dei materiali della T. non consentiva comunque all'indagato di continuare ad operare come amministratore.
Considerato in diritto
1. II motivo di ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica in ordine all'esclusione dei gravi indizi per il reato di cui all'art. 600 cod. pen. è infondato.
Premesso che il ricorrente non contesta le conclusioni dell'ordinanza impugnata sull'esclusione di taluni aspetti, originariamente contestati, attinenti alle posizioni personali dei dipendenti ed alle modalità del lavoro, laddove si evidenziava il limitato numero degli stranieri privi di permesso di soggiorno rispetto al totale, il superamento solo in poche occasioni e per effettive necessità dell'orario lavorativo di dodici ore consecutive, la prosecuzione del lavoro su terreno fangoso ma non in caso di forti precipitazioni e la corrispondenza delle retribuzioni effettivamente corrisposte con quelle indicate nelle buste paga, pari mediamente ad €.1.000 mensili, i riferimenti del ricorso alle condizioni comunque gravose ed alla scarsa retribuzione del lavoro non risultano invero sufficienti ad integrare la fattispecie criminosa ipotizzata. Quest'ultima prevede quale evento l'induzione o il mantenimento nella vittima di uno stato di soggezione continuativo, che deve tradursi in un effettivo pregiudizio della libertà della persona di determinarsi nelle proprie scelte esistenziali; e tale non può essere considerata l'adesione all'offerta di un lavoro pur gravoso, svolto in condizioni ambientali disagiate e malamente retribuito, laddove tale offerta sia liberamente accettata dal lavoratore e quest'ultimo possa in ogni momento sottrarvisi (Sez. 5, n.13532 del 10.2.2011, imp. F., Rv.249970). Né siffatta libertà di scelta può essere ritenuta coartata dalla sola circostanza dell'essere il lavoratore straniero, sia lo stesso o meno in condizioni di clandestinità, per il vero nella specie ricorrenti solo per taluni dei dipendenti. Se è vero infatti che la necessità richiamata dall'art. 600 cod. pen. non deve raggiungere gli estremi dello stato rilevante ai sensi dell'art.54 cod. pen., essendo sufficiente una situazione di debolezza idonea a condizionare la volontà della vittima (Sez. 3, n.21630 del 6.5.2010, imp. E., Rv.247641), in talune letture ricondotto alla posizione di vulnerabilità di cui alla decisione-quadro dell'Unione Europea del 19.7.2002 sulla tratta degli essere umani (Sez. 3, n.2841 del 26.10.2006, imp. D., Rv.236022), è vero altresì che un effettivo condizionamento della volontà nell'accettare condizioni lavorative quali quelle descritte non può essere ravvisato nella mera esigenza di prestare un lavoro per ottenere sostentamento, identificabile nella generalità delle situazioni personali e non corredata da connotati qualitativi ulteriori negli stranieri regolarmente o irregolarmente entrati nel territorio nazionale alla ricerca di migliori condizioni di vita; occorrendo che a detta condizione si aggiungano fattori di ulteriore e più stringente incidenza sulla libertà personale e di circolazione della vittima, quali, esemplificativamente, quelle individuate da questa Corte nella necessità di saldare il debito contratto con i soggetti che abbiano agevolato l'immigrazione clandestina dello straniero (Sez. 5, n.46128 del 13.11.2008, imp. I., Rv.241999).
Irrilevanti sono inoltre i vaghi riferimenti ad atteggiamenti minacciosi presenti in talune intercettazioni telefoniche citate dal ricorrente, evidentemente insufficienti a giustificare una scelta di necessità nell'accettazione delle prestazioni lavorative in esame.
L'ordinanza impugnata è pertanto correttamente motivata sul punto.
2. II motivo di ricorso presentato dall'indagato in ordine alla sussistenza di gravi indizi per il reato di cui all'art. 629 cod. pen. è anch'esso infondato.
La questione, nei termini in cui viene oggi proposta dall'indagato ricorrente, non risulta per il vero specificamente devoluta nei motivi precisati all'udienza di riesame, vertenti sul diverso aspetto del non essere il G. I'addetto alla gestione del personale; il che ne preclude l'esame in questa sede (Sez. 5, n.139 del 16.1.1997, imp. P., Rv.207259). In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il delitto di estorsione è configurabile nella minaccia di licenziamento rivolta al dipendente al fine di accettare condizioni di lavoro inadeguatamente retribuite e comunque non corrispondenti alle leggi ed ai contratti collettivi (Sez. 2, n.36642 del 21.9.2007, imp. L., Rv.238918).
3. Infondato è altresì il motivo di ricorso presentato dall'indagato in ordine alla sussistenza di gravi indizi per il reato di cui all'art. 12 d.lgs. n. 286 del 1998.
Anche in questo caso si tratta di motivo non incluso fra quelli precisati a sostegno della richiesta di riesame; non senza considerare che il richiamo dell'ordinanza impugnata all'accertata presenza, fra i lavoratori impiegati dalla T., di almeno diciannove stranieri irregolari, costituisce adeguata
motivazione in ordine alla configurabilità del reato anche sotto il profilo dell'elemento del fine di ingiusto profitto, ritenuto non illogicamente pur con riferimento ad una parte dei dipendenti dell'impresa.
4. Pure infondato è il motivo di ricorso presentato dall'indagato in ordine alla sussistenza di gravi indizi per il reato associativo.
Si tratta anche in questo caso di questione non espressamente devoluta in sede di riesame. E comunque l'ordinanza impugnata motivava sulla sussistenza del legame associativo nell'evidenziare il rilevante contributo dei soci ed amministratori della società, e fra questi dell'indagato, nella realizzazione dei reati, per la loro posizione dirigenziale e la loro competenza tecnica; rilievo che, nel suo riferirsi a reati consumati nella conduzione di un'impresa in forma associata ed alla condivisione da parte dell'indagato delle relative finalità, implica il riconoscimento della sussistenza della fattispecie in oggetto.
5. Infondato è infine il motivo di ricorso presentato dall'indagato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
A fronte di una questione ancora una volta non posta specificamente all'attenzione del Tribunale, quest'ultimo motivava peraltro adeguatamente sul punto evidenziando in proposito la gravità dei reati, la professionalità nella loro realizzazione e la posizione di legale rappresentante ricoperta dall'indagato.
II ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna dell'indagato ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso del pubblico ministero e quello del L. G. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art.94 comma 1 ter disp. att.cod. proc. pen.
Depositata in Cancelleria il 10.01.2012
13-01-2012 00:00
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