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Sentenza

Il concorso esterno in associazione di stampo mafioso è un reato permanente.
Il concorso esterno in associazione di stampo mafioso è un reato permanente.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE , SENTENZA 24 aprile 2012 n. 15727 Pres. Grassi – est. Vessichelli 
RITENUTO IN FATTO

 

Hanno proposto ricorso per cassazione D.M. e il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo, sia avverso ordinanze dibattimentali in tema di rinnovazione della istruttoria ex art. 603 c.p.p. che contro la sentenza della Corte di appello di Palermo in data 29 giugno 2010 (dep. il 18 novembre 2010) con la quale è stata riformata quella di primo grado e per l'effetto è stata -dichiarata assorbita la imputazione ascritta al capo A), in quella di cui al capo B), - pronunciata assoluzione, limitatamente alle condotte contestate come commesse dopo il (OMISSIS), perchè il fatto non sussiste e -ridotta la pena per la fattispecie residua ad anni sette di reclusione.

D. (tratto a giudizio unitamente a C.G., deceduto nelle more fra il giudizio di primo e secondo grado), con sentenza del Tribunale di Palermo dell'11 dicembre 2004, era stato dichiarato colpevole in ordine ai reati contestati come segue:

- Capo A): per il periodo decorso da epoca imprecisata fino al 28 settembre 1982, concorso eventuale (o c.d. esterno) nella associazione per delinquere ex art. 416 c.p., commi 1, 4 e 5, denominata Cosa nostra, mettendo a disposizione della stessa l'influenza e il potere derivante dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario e imprenditoriale, in tal modo partecipando al mantenimento ed al rafforzamento, oltre che alla espansione della associazione medesima: ciò attraverso la partecipazione a incontri con esponenti anche di vertice di cosa nostra, e intrattenendo, tramite essi (ossia tramite B.S., T.G., P.I., P.G., M.V., C.G., D.N.G., D.N.P., G. R. e R.S.), rapporti continuativi con la associazione e quindi determinando nei capi di Cosa nostra la consapevolezza della assunzione di responsabilità, da parte del D. medesimo, di assumere condotte volte ad influenzare, a vantaggio della associazione per delinquere, soggetti operanti nel mondo istituzionale e imprenditoriale.

La associazione era stata contestata come armata ed aggravata dal numero dei partecipanti;

- Capo B) per il periodo trascorso dal 28 settembre 1982 ad oggi, concorso esterno nella associazione mafiosa Cosa nostra ex art. 416 bis c.p., commi 1, 4 e 6, con condotte analoghe a quelle descritte sopra. Il reato era stato aggravato dallo "scorrere in armi" e dal finanziamento delle attività del sodalizio con il provento dei delitti.

D., al pari del C. è stato condannato in primo grado anche al risarcimento del danno in favore delle Parti civili costituite Provincia di Palermo e Comune di Palermo, da liquidarsi in separato giudizio, rigettandosi le richieste di pagamento di provvisionale.

Nella sentenza di primo grado - come ripercorsa in quella di appello - era stato analizzato il comportamento di D. ritenuto rilevante ai fini dell'accusa di concorso eventuale in associazione mafiosa, con riferimento all'arco temporale compreso trai primi anni 70 fino al 1998, giungendosi alla conclusione che fossero individuabili due fondamentali filoni investigativi e di responsabilità.

Il primo era rimasto caratterizzato dai comprovati rapporti di D. - come da imputazione - con B., T., M. e C. nonchè dall'attività di mediazione che il D. stesso aveva svolto con perseveranza, col coordinamento di C., tra il sodalizio criminoso menzionato e gli ambienti imprenditoriali e finanziari di Milano, con particolare riferimento al gruppo Fininvest.

Era rimasta, contestualmente, dimostrata la funzione di garanzia svolta nei confronti di B.S. il quale temeva sequestri a danno proprio e dei propri familiari, nella metà degli anni 70: funzione realizzata facendo assumere da B., in una posizione di gestione del detto servizio da espletarsi alla (OMISSIS), M.V. di cui l'imputato conosceva lo spessore criminale, ottenendo l'avallo di B. e T., all'epoca esponenti mafiosi di spicco a Palermo.

In terzo luogo si ritenevano comprovati i rapporti tra D. e M., con la intermediazione di C., anche in epoche successive quando M. era assurto ad un ruolo di vertice della organizzazione mafiosa (capo del mandamento palermitano di Porta Nuova); ad esso il D. aveva manifestato la disponibilità concreta a consentire al sodalizio lauti incassi, frutto di estorsioni a danno di B.S., ottenendo a sua volta da M. dei favori (come nella vicenda, di cui si dirà, relativa a tal ga.). Tale assunto accusatorio sarebbe stato poi confermato in appello e avrebbe costituito l'oggetto dei motivi di ricorso della difesa di D..

Il secondo filone investigativo e di responsabilità, individuato dal Tribunale, era stato quello relativo al concorso eventuale che, invece, avrebbe preso corpo, nel periodo successivo alla fine del 1992, attraverso la promessa, da parte di D., alla associazione mafiosa Cosa nostra, di appoggi in ambito politico anche con riforme nel settore giudiziario.

L'imputato aveva peraltro anche continuato a svolgere attività di mediazione fra la associazione mafiosa e Fininvest nei momenti critici dei rapporti tra le due organizzazioni (il riferimento è alla vicenda degli attentati ai magazzini (OMISSIS), di cui pure si dirà).

Ebbene, tale seconda parte della ricostruzione dei comportamenti di D. ritenuti dal Tribunale di rilievo ai sensi degli artt. 110 e 416 bis c.p., non è stata viceversa convalidata dalla Corte di appello che ha pronunciato, al riguardo, assoluzione parziale, con decisione le cui argomentazioni hanno formato oggetto dei motivi di ricorso del Procuratore generale.

E' utile ricordare che l'accusa originaria (peraltro di partecipazione ad associazione) era stata ritenuta provata anche nei confronti di C., sebbene costui non fosse mai stato formalmente combinato: un soggetto di fatto ritenuto dai giudici componente della famiglia mafiosa del quartiere palermitano di Malaspina, in costanti rapporti con numerosi personaggi di Cosa nostra che confidavano proprio sul rapporto privilegiato del C. col D., ritenuto così raggiungibile per l'intrattenimento dei rapporti con B.. Il Tribunale aveva ritenuto che vi fossero prove rassicuranti del fatto che C. avesse riscosso somme pagate a titolo estorsivo da Fininvest a Cosa nostra e partecipato alla assunzione di M., con l'avallo dei capimafia B. e T..

L'origine dei rapporti di conoscenza tra D., C., M. e B. era stata ricostruita, dal Tribunale, nei seguenti termini. D. aveva frequentato l'Università statale di Milano con B. negli anni 60. Poi aveva fatto ritorno a Catania dove aveva cominciato a lavorare per la Cassa di risparmio e aveva ripreso i rapporti con la società calcistica Bacigalupo, da esso stesso fondata anni prima. In tale ambiente aveva conosciuto C. - che era il padre di uno dei ragazzi frequentanti - e M.. Quindi, nell'agosto del (OMISSIS) B. aveva proposto al D. di svolgere mansioni alle sue dipendenze e per tale ragione l'imputato, agli inizi del 1974, si era nuovamente trasferito a (OMISSIS), assunto alla Edilnord. Era stato officiato quindi dell'incarico di seguire i lavori di restauro della villa di (OMISSIS), nel frattempo acquistata da B. e, in quel periodo, era stato raggiunto da M., assunto presso la Villa con la sua stessa intermediazione (in tal senso venivano citate, dal Tribunale, le dichiarazioni di B. al GI di Milano del 26 giugno 1987 e la conferma di D. al PM il 26 giugno 1996).

Il senso della presenza di M. era ravvisato, dal Tribunale, nella capacità di costui di assicurare "garanzia" a B. circa la incolumità dei familiari: a fondamento del proprio convincimento il Tribunale citava lo spessore criminale del M. e il fatto che, dopo il suo allontanamento da (OMISSIS), era stato predisposto da B. un apposito servizio di sicurezza privata.

Anche in ordine al personaggio C. il Tribunale ricostruiva i legami da quello stretti, attraverso matrimoni, con esponenti al vertice della organizzazione mafiosa.

Sulla figura del M. e della sua rilevanza nella specifica ottica della accusa mossa al D. nel presente processo, la sentenza di primo grado aveva evidenziato - come ricordato nella sentenza impugnata - gli elementi acquisiti a dimostrazione della realizzazione di una riunione di vertice, tra B. ed esponenti di spicco di Cosa Nostra, propiziata da D. con la complicità del fido amico C., riunione nel corso della quale sarebbe stato raggiunto tra le parti un accordo di vicendevole interesse: quello alla assicurazione di protezione per la famiglia di B. e quello alla instaurazione di relazioni con evidente prospettiva patrimoniale per cosa nostra.

Il primo elemento probatorio al riguardo è costituito, nell'impianto della sentenza di primo grado, dalle dichiarazioni sul punto rese dal collaboratore D.C.F. (del luglio 1996, all'indomani dell'arrivo in Italia). Costui aveva cominciato col raccontare la occasione della conoscenza, dapprima, con D. presentatogli dal comune amico C. a (OMISSIS) e di avere, in seguito,constato che D. conosceva già B.S. e T.M., circostanza questa - peraltro - sempre negata da D..

Era cioè accaduto che egli aveva ricevuto da Bo. e T., incontrati a (OMISSIS), l'invito per un incontro a (OMISSIS) (ricostruito come avvenuto nel maggio 1974) e colà era stato ulteriormente accompagnato ad un appuntamento di quelli con D. e con un industriale di nome B., in precedenza mai conosciuto.

Tale incontro si era effettivamente svolto, alla presenza cioè di D., B., C., B. e T. ed aveva avuto ad oggetto la garanzia che B. si impegnava a fornire a B., su sollecitazione di D., mandando qualcuno :

tale soggetto era stato indicato, da C., nel momento in cui si allontanava con gli altri dal luogo dell'appuntamento, in M., ossia un soggetto noto per l'appartenenza alla famiglia di Porta Nuova aggregata a quella di B..

Il riscontro alle dichiarazioni del D.C. era dato - secondo il Tribunale - innanzitutto dalla esistenza dell'edificio in cui il descritto incontro con B. si sarebbe tenuto.

Il secondo riscontro era costituito dalle dichiarazioni del collaboratore G.A. (ritenute genuine nonostante il periodo di detenzione trascorso assieme a D.C.); il G., nipote del boss mafioso G.R., aveva riferito di avere saputo dal cugino G.D. che costui (in sostituzione del padre detenuto e quale reggente del mandamento della Noce), aveva partecipatene 1986, ad una riunione con altri esponenti mafiosi e con il C..

Ebbene il C. aveva raccontato a G.D. della preoccupazione manifestatagli da D., qualche anno prima, a (OMISSIS), per il rischio di sequestri corso da B..

Ne era seguita la informativa, tramite i parenti di C. - i Ci. - a B. che aveva propiziato un incontro a (OMISSIS) con C. e T.M., incontro nel quale era stata data, appunto, la garanzia richiesta da B. e prospettato, a tale fine, rinvio di M..

Altre dichiarazioni, sopravvenute, di D.C. rese successivamente su altri incontri avuti da D. con B. e tale Mi., esponente del mandamento di Partanna, venivano invece ritenute non idonee come prove di fatti illeciti.

Il terzo riscontro alle dichiarazioni di D.C. era rappresentato da quelle di Cu.Sa., uomo d'onore dal 1975, rifluito nella famiglia mafiosa del mandamento di Porta Nuova presso la quale aveva conosciuto M. che, dopo la detenzione patita fino al 1994, aveva affiancato nella reggenza. Ebbene il Cu., detenuto assieme al M. tra il 1983 e il 1990, ne aveva raccolto le confidenze venendo a sapere che egli era stato autore, negli anni 70, di attentati dinamitardi ai danni di B., per convincerlo a ricorrere alla protezione della mafia: e tale suo disegno si era appunto concretizzato quando, con la mediazione di C. che conosceva D., era riuscito nell'intento di farsi assumere come fattore alla (OMISSIS). Da questa si era allontanata nel dicembre 1974, dopo il fallito sequestro del principe D'..

Aveva anche parlato delle somme (L. 50 milioni) che B. pagava alla mafia versandole a M. che le faceva pervenire al mandamento di Santa Maria del Gesù.

Di tali somme di danaro aveva parlato anche altro uomo d'onore Sc.Fr., per averlo saputo, in carcere, nel 1988/1989, da M. stesso che si era lamentato del comportamento, nei suoi confronti scorretto, da parte di uno dei fratelli P., anch'essi uomini d'onore (famiglia S.Maria del Gesù).

Altro riscontro delle dichiarazioni di D.C. proveniva, secondo il Tribunale, da L.M.F., uomo d'onore di Porta nuova, che aveva appreso dal suo superiore, L.G., delle trasferte a (OMISSIS) effettuate da M. per conto di B..

Infine il Tribunale aveva limitatamente valorizzato le dichiarazioni di Ra.Fi., soggetto che aveva assunto il D. alle proprie dipendenze dalla fine del 1977 e che aveva pure riferito della mediazione che l'imputato (oltretutto presentatogli da C. con richiesta di assunzione) aveva svolto tra B. e i mafiosi. Peraltro il Tribunale aveva escluso che vi fossero prove della intromissione di D. in attività di riciclaggio di denaro per conto di Ra. o di altri.

Tutti quelli indicati erano gli elementi di prova che, a parere del Tribunale, valevano a sostanziare l'accusa, mossa al D., di avere mediato assieme al C., creando un canale di collegamento tra B. e B., all'epoca esponente di massimo rilievo del sodalizio Cosa nostra, per rafforzare il sodalizio stesso.

Erano gli anni infatti, nei quali concreto ed attuale era il rischio di sequestri di persona come avevano riferito collaboratori del livello di Ma. G., Mu. G. e gi. A.. E il M., rimasto coinvolto in una iniziativa di tale genere, sia pure ai danni di altro soggetto ( D'.), era stato per questo allontanato da (OMISSIS) a partire da gennaio 1975.

Proprio a M., del resto, B. e D., nel corso di un colloquio telefonico intercettato nel 1986 - quando cioè era stato realizzato un attentato dinamitardo ad una villa di B. - avevano pensato riguardo alla responsabilità per un precedente attentato, alla medesima villa, - risalente al 1975.

I rapporti di D. con M. erano proseguiti anche dopo l'allontanamento da (OMISSIS), come dimostrava un pranzo tra i due nel 1976, pranzo raccontato dal pentito c.A..

Altra dimostrazione della prosecuzione delle relazioni in contestazione veniva tratta dalla telefonata avvenuta il 14 febbraio 1980 tra M. (soggiornante all'Hotel (OMISSIS)) e D.: il M. era stato poi arrestato nel maggio di quello stesso anno assieme a numerosi altri esponenti di Cosa nostra per imputazioni concernenti anche il traffico di sostanze stupefacenti.

Il D., rimasto coinvolto nella indagini a causa della detta telefonata, aveva poi visto stralciare la propria posizione e venire prosciolto dal GI di Milano con sentenza del 24 maggio 1990.

Tornando alle dichiarazioni di D.C., il Tribunale aveva segnalato - a dimostrazione della prosecuzione dei rapporti di D. con gli ambienti mafiosi in esame - come esse contenessero il riferimento anche alla partecipazione del D. al matrimonio di tale Fa.Gi. con una cittadina inglese, matrimonio celebrato a (OMISSIS). Ebbene al detto matrimonio il D. aveva partecipato, a suo dire, su invito del C., essendo presente il D.C. stesso e anche T. M..

Il Tribunale era poi passato ad analizzare la evoluzione dei rapporti tra gruppo Fininvest e Cosa nostra, dopo la uccisione di B. ((OMISSIS)) e il passaggio della posizione di comando in capo a R.S..

Fininvest aveva, poco prima della morte di B., avviato la acquisizione delle emittenti televisive in Sicilia, necessarie per la diffusione dei programmi su tutto il territorio nazionale.

E D., secondo le dichiarazioni di D.C. aveva chiesto a C. la "messa a posto" per la installazione dei ripetitori. Ne era seguito l'interessamento dei capi B. e T..

Tre collaboratori di giustizia ( g. C., A. e G. A.), tutti uomini d'onore della famiglia della Noce, avevano parlato delle somme pagate da Fininvest per la vicenda delle antenne.

Era stato registrato anche un atteggiamento particolarmente prepotente dei fratelli P. che vessavano con ulteriori richieste il D. e di tanto C. aveva fatto in modo che fosse investito direttamente R.. Il risultato era stato che C. era stato designato da R. esattore delle somme, per riscuotere le quali si recava a (OMISSIS) due volte l'anno.

In particolare G. aveva riferito delle lamentele esternate da C., durante un incontro avvenuto a dicembre (OMISSIS), perchè D. sarebbe divenuto scostante e scortese nei suoi confronti, ragione per la quale egli non intendeva più recarsi a (OMISSIS) a riscuotere.

Il Tribunale aveva individuato, tra gli altri, un particolare riscontro a tale affermazione in una telefonata intercettata tra C. e D.A. (fratello dell'imputato) del 25 dicembre 1986, reiterativa delle stesse lamentele.

Per il periodo 1989/1990, la effettività del pagamento delle somme per le antenne televisive è stato oggetto, altresì, di dichiarazioni di F. G.B. uomo d'onore della famiglia di San Lorenzo, riscontrato da A. A. a proposito della tenuta di un libro mastro con la indicazione, tra i soggetti estorti, di " (OMISSIS)", termine allusivo del biscione ossia del logo di una emittente di B.) e di Ca. S. (ritenuto però inattendibile a causa della progressione accusatoria delle sue confessioni).

Sul tema, poi, venivano evidenziate le dichiarazioni di L.P. V. e di Cu. a proposito delle lamentele di M. per essere stato estromesso dai rapporti con il gruppo imprenditoriale rappresentato da D. e di non avere ricevuto in carcere le somme provenienti da B. che ormai venivano trattenute dai fratelli P..

Un ulteriore capitolo di accertamento, nella sentenza di primo grado, era rappresentato dagli attentati - cinque - verificatisi agli inizi degli anni 90 a danno degli esercizi commerciali della (OMISSIS) azienda acquistata dal gruppo Fininvest nel 1988 e della quale D. era divenuto consigliere di amministrazione.

Quegli attentati, come il relativo processo aveva dimostrato, erano stati decisi dalla famiglia mafiosa di S.N.: cinque collaboratori di giustizia ( A., Pu., Ma., S. e Pa.) avevano riferito della mediazione spesa da D. a proposito.

In più, il teste ga. (di cui si dirà di qui a poco) aveva riferito delle dichiarazioni della cognata di D. la quale aveva sostenuto che l'imputato aveva risolto la questione recandosi a parlare con tale Pa. a (OMISSIS). Pa. era risultato in contatto con E.A. che era stato uno dei soggetti condannati per gli attentati. Sta di fatto che gli attentati erano improvvisamente cessati grazie, deduce il Tribunale, alla mediazione di D..

Il teste ga. - medico, già senatore e presidente della società sportiva pallacanestro (OMISSIS) - aveva peraltro riferito anche di un'altra vicenda di interesse nella ricostruzione dei rapporti tra D. e Cosa nostra: si trattava della vicenda della sponsorizzazione ricevuta nel 1990-1992, dalla società di pallacanestro, da parte della Birra Messina, per il tramite di Publitalia. Ebbene Publitalia e poi personalmente D. avevano avanzato richiesta di pagamento della metà della cifra che quello aveva ricevuto, come compenso per la intermediazione. Alle rimostranze di ga. si era risposto con intervento di mafiosi locali e, sostanzialmente, la posizione di D., incontrato da ga. a (OMISSIS) nella sede di (OMISSIS), era stata quella di sostenere che per il versamento richiesto non sarebbe stata rilasciata alcuna fattura.

La pressione di esponenti mafiosi su ga. era stata riferita anche da S.V., già reggente del mandamento di Mazara del Vallo. La conclusione, avvalorata dal Tribunale di Palermo nella sentenza di primo grado, alla luce anche di una sentenza del Tribunale di Torino che aveva condannato D. per fatti in violazione della L. n. 516 del 1982, era stata quella che D. cercava così di costituire fondi occulti. Sul punto il Tribunale indicava, come elemento di riscontro anche un appunto scritto da ga. e rinvenuto presso tal pi..

Del resto, proseguiva il Tribunale, al riguardo è stata pronunciata, nel relativo processo dinanzi alla autorità di Milano, sentenza di condanna di D. e di Vi.Vi. per la tentata estorsione ai danni del ga., essendosi il primo avvalso della sollecitazione anche di esponenti di cosa nostra trapanese: questi erano stati così ulteriormente convinti della disponibilità, che avevano, delle capacità e dei comportamenti di D..

Nel solco del medesimo tema di accertamento, relativo cioè ai rapporti continuativi tra D. e Cosa nostra, era stato poi affrontato, nella sentenza di primo grado, il nodo dei rapporti di D. con i fratelli Gr. arrestati nel gennaio 1994 con i sodali Sp. e D..

Ebbene secondo D'Agostino, nuovamente arrestato per associazione mafiosa e divenuto collaboratore di giustizia, i Gr. si erano interessati per fargli trovare un lavoro in un ipermercato che apparteneva a Fininvest, e prima ancora per far effettuare al figlio un provino volto a farlo entrare nella società del Milan-calcio;

anche D., sensibilizzato dai Gr., aveva in una propria agenda appunti in tal senso.

Il mafioso p.G. (uomo d'onore di Brancaccio) aveva reso dichiarazioni in tal senso.

Quanto al tema dei rapporti tra mafia e politica- che, come sopra anticipato, ha costituito il secondo capitolo dell'accertamento compiuto in primo grado-occorre subito precisare che il Tribunale aveva escluso che vi fossero prove che R. avesse effettivamente realizzato trattative o accordi politici con B. per il tramite di D.: e ciò, sicuramente, almeno fino al 1993, anno in cui B. aveva deciso di impegnarsi direttamente in politica anche avvalendosi dell'impugnante.

Del resto la stagione stragista della metà del 1992 stava ad indicare proprio la assenza di contatti tra mafia e politica così come dimostrativa in tale senso era la decisione - riferita da ca.Tu. (vicino a Ba., cognato di R. e poi arrestato) che nel 1993 Cosa nostra intendeva dare vita ad una formazione politica di tipo autonomista, Sicilia Libera. Il progetto si era arenato nel 1994 quando Ba. aveva deciso di appoggiare Forza Italia. Tale racconto era stato convalidato dalle dichiarazioni dell'autista di Ba., C. A..

Il Tribunale aveva comunque escluso che vi fosse la prova che la assunzione di un progetto politico da parte di B. fosse il frutto dell'impegno di D., finalizzato a favorire Cosa Nostra: circostanza dimostrata anche da fatto che la decisione di B. è del 1992 mentre fino a tutto il 1993 era ancora in piedi il progetto autonomista e che quindi, almeno fino a tale data, la mafia non aveva ricevuto le garanzie politiche che richiedeva. Sul punto vi erano state, invero, anche le dichiarazioni di gi.

A., reggente del mandamento di ca. e componente della commissione provinciale di Cosa Nostra, il quale aveva riferito che alla fine del 1993 la attenzione di Cosa nostra si era indirizzata verso il nuovo partito di Forza Italia che Pr. aveva deciso di appoggiare avendo ricevuto garanzie: il Tribunale aveva però ritenuto che le nuove affermazioni di gi. sul ruolo di D. non fossero valorizzagli perchè sospette a causa della loro tardività.

Quanto ai rapporti tra M. e D. dopo la scarcerazione del primo avvenuta nel 1990, il Tribunale, invece, aveva evidenziato il ruolo accresciuto del M. divenuto reggente della famiglia mafiosa di Palermo Porta nuova, dopo l'arresto di C.S. del 1993.

Il M., secondo i primi giudici, aveva ripreso i rapporti con D. come dichiarato da G. A., indirettamente anche da L.M., e poi da c. il quale aveva riferito di avere saputo da Ba. che la reggenza di M. era dovuta alla capacità di rapporti con D.M.: questi aveva anche promesso a M. l'interessamento per formulare, nel gennaio 1995, proposte favorevoli a Cosa nostra in tema di modifica del regime ex art. 41 bis ord. pen. Degli incontri che M. aveva riferito, a Ba., di avere avuto con D., vi era traccia (e quindi riscontri) in una agenda dell'imputato (per il 1993).

Vi era poi il racconto di D.N.G. il quale aveva riferito che gu. (reggente del mandamento di Resuttana) dopo le elezioni del 1994 era tornato euforico da un incontro con M. e voleva comunicare a Ba. che - secondo quanto dettogli da M. - questi aveva parlato con D. che gli aveva dato buone speranze.

Il Tribunale evidenziava anche intercettazioni eseguite nel 1999 quando D. era candidato alle elezioni europee. Ebbene da tali conversazioni effettuate a carico del gestore di una autoscuola di (OMISSIS) ((OMISSIS)), era emerso che vi erano parecchi riferimenti a esponenti mafiosi e si parlava in quel contesto di D. come soggetto che doveva essere votato perchè potesse sottrarsi ai problemi giudiziari.

Prova di ulteriori incontri tra M. e D. anche dopo l'ultimo arresto del primo, nel 1995 derivano dalle dichiarazioni di L.P. V., nipote di A.G..

Infine il Tribunale aveva analizzato il significativo tema delle attività di inquinamento delle prove che D. avrebbe posto in essere, a conferma della propria compromissione nei fatti contestati.

Uno solo degli episodi presentati dalla accusa è stato ritenuto comprovato: quello posto in essere con Ci. (uomo di spicco della Sacra corona unita in Puglia, condannato all'ergastolo e divenuto collaboratore) e con Ch.. Ci. aveva iniziato, come detto, a collaborare con la giustizia e, posto a contatto con i collaboratori D.C., O. e g. (pure ristretti a Rebibbia), aveva riferito al PM (il 27 settembre 1997) di avere sentito costoro accordarsi per riferire al magistrato fatti calunniosi ai danni di D. e B..

Ebbene, tale proposito asseritamente calunnioso dei tre detenuti era stato ritenuto del tutto infondato dal Tribunale che aveva accertato la impossibilità che i fatti riferiti da Ci. si fossero realmente realizzati ed anzi aveva assunto testimonianze di detenuti (in particolare di C.A.) che aveva detto, al contrario, essere stato proprio il Ci. unitamente al Ch. ad avere tentato di convincere lui stesso ed i fratelli s. (pure detenuti) ad accusare falsamente O., gu. e D. C. di volere calunniare D. e B..

In conclusione era rimasto accertato un piano di Ch. e Ci. per delegittimare i collaboratori palermitani che accusavano D. e B.. E D. veniva ritenuto, dallo stesso Tribunale, l'ispiratore del detto piano di delegittimazione posto in essere da Ch. e Ci..

Un riscontro a tale tesi era nell'accertamento, realizzato mediante pedinamento e intercettazione telefonica, di un incontro che Ch. ebbe con D. il 31 dicembre 1998, quando il primo aveva ottenuto un permesso di uscita dal carcere.

Nel fissare l'appuntamento, il Ch. aveva chiamato il D. "dott. De." ossia con il nome in codice usato da Ci. quando questi aveva contattato telefonicamente il D. per riferirgli quanto denunciato al PM. Il Ch., che poi aveva patteggiato la pena in ordine alla imputazione di calunnia (elevata a suo carico unitamente a D. e Ci.), aveva, durante le indagini, chiarito in sede di incidente probatorio che era stato D. a chiedergli di confermare le affermazioni di Ci., in cambio di promesse di danaro.

La sentenza impugnata passava poi in rassegna i motivi di appello presentati nell'interesse di D. (essendo il C. nelle more deceduto) evidenziando:

- quelle di natura processuale riguardanti:

- la pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da D. (nel 1996 e nel 1987) rispettivamente al Pm e al GI di Milano dott. D.L., nonchè delle dichiarazioni di C. rese al PM nel 1996;

- dell'esame dibattimentale di M.V. reso il 13 luglio 1998;

- delle dichiarazioni rese da B.S. nel 1987 dinanzi al GI D.L.;

- delle dichiarazioni dibattimentali rese da g.V. nelle udienze del novembre 2000;

- della deposizione di Me.Gi. nell'incidente probatorio del 2000;

- della deposizione dibattimentale di gi.An. nel 2003;

- dei tabulati di comunicazioni telefoniche elaborati dal consulente dott. ge. e della sua deposizione dibattimentale nelle udienze del 2002;

- delle intercettazioni telefoniche relative alla vicenda Ci.

- Ch.;

- la mancata correlazione tra accusa e sentenza (ad esempio sarebbero fuori capo d'accusa le vicende della pallacanestro e quella Ch. - Ci., così come quella delle elezioni europee del 1999);

- la nullità del decreto che dispone il giudizio per mancata o insufficiente enunciazione del fatto contestato, indicato relativamente a fatti commessi "fino ad oggi" ossia fino al momento dell'esercizio della azione penale;

- la violazione del principio del ne bis in idem rispetto ai procedimenti del 1987 e 1989 definiti con sentenze di proscioglimento del D. pronunciate dal GI D.L. il 24 maggio e il 12 giugno 1990;

In secondo luogo vengono ripercorse le censure sul merito che concernono la errata valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, ritenuti in parte anche inattendibili ma poi richiamati quanto a deposizioni rese.

Quanto all'episodio della assunzione del M., la difesa non ha contestato che sia stato un atto di premura del D. per favorire la protezione di B., pur sostenendo che M. era probabilmente già giunto ad (OMISSIS) in precedenza.

Ad avviso della difesa (come ricordato a pag. 84 della sentenza di appello)- tuttavia, il D.C. presentava numerosi profili di non attendibilità soggettiva e oggettiva.

L'appellante passava poi ad esaminare le dichiarazioni di altri collaboratori ( G., Ma., Mu., Cu.) per inferirne la contraddittorietà delle relative dichiarazioni riguardo alle minacce di sequestro a B. e addirittura alle modalità dell'arrivo di M. ad (OMISSIS), non collegate ad alcuna riunione preventiva (così Cu.).

Di tale riunione del resto nulla sapevano capi del calibro di Bu. o R. il quale, per la prima volta, ne sarebbe venuto a conoscenza (secondo G.) nel 1985-1986.

Del resto, proseguiva la difesa appellante, la logica è contro la ricostruzione del D.C., posto che dopo l'arrivo di M. ad (OMISSIS) si verificarono due episodi assai gravi come il tentato sequestro di D'. ((OMISSIS)) e l'attentato alla villa di B. a via (OMISSIS).

Anche il riscontro trovato dal Tribunale al racconto di D.C. (ossia le dichiarazioni di Ga.) sarebbe inesistente, sia perchè i due avevano trascorso assieme un periodo di carcerazione, sia perchè Ga. aveva indicato delle circostanze improbabili di conoscenza dell'evento "riunione" tra B. e mafiosi, con D. (dieci anni dopo i fatti, raccontando tale evento a G. e D.N. mentre il capo R. non ne avrebbe saputo ancora nulla).

Infine le dichiarazioni di D.C., G. e Cu. sulle somme che B. avrebbe versato alla mafia per la propria sicurezza sarebbero zeppe di contraddizioni e illogiche quanto al fatto della continuazione dei versamenti anche dopo che M. era stato allontanato.

La difesa sottolineava anche le conclusioni raggiunte dal Tribunale sulla assenza di comportamenti di rilievo penale del D. nel periodo compreso tra il 1977 e il 1982, quando aveva prestato servizio alle dipendenze di Ra..

Riferibile a questo periodo sarebbe dunque soltanto la telefonata che D. ebbe con M. (dimorante all'hotel (OMISSIS)) nel 1980 (peraltro risultata effettivamente riferita alla vendita di un cavallo) e la partecipazione al matrimonio Fa. a (OMISSIS), eventi peraltro rimasti privi di qualsiasi rilevanza probatoria per la loro assoluta equivocità. Si sottolineava quanto al primo punto, tra l'altro, che sul coinvolgimento di D. nei traffici di droga addebitati a M. con la operazione del 1980, era intervenuta la sentenza del 24 maggio 1990 del GI di Milano che aveva affermato la estraneità dell'appellante rispetto alla organizzazione inquisita.

Numerosi altri eventi erano stati classificati dallo stesso Tribunale come del tutto privi di capacità dimostrativa.

In conclusione la difesa faceva notare come il fatto di avere favorito la assunzione di M. nel 1974 fosse rimasto poi isolato e non seguito, per almeno dieci anni, da altri comportamenti significativi in favore di Cosa nostra: e ciò fino alla metà degli anni '80, epoca alla quale risalivano le estorsioni che la Fininvest aveva subito per la posa in opera delle antenne televisive.

Comunque anche in relazione a tale evento, realizzatosi appunto alla fine degli anni '80 quando (dal 1977 al 1983) D. era passato alle dipendenze di Ra., non vi era prova di un intervento di D. teso ad ottenere l'assoggettamento al pizzo di Fininvest in cambio di protezione. Nè la Fininvest aveva ancora iniziato ad operare in Sicilia.

I collaboratori di giustizia ( Ca. S., G.C., A.P., G. A., F. G.B.) che avevano parlato di pagamenti effettuati dalla Fininvest in favore della mafia allora capeggiata da R. (tramite C. ed altri) avevano fatto affermazioni diverse sia nella indicazione del quantum che della causale relativa.

La ipotesi del concorso con il sodalizio mafioso evidenzia dunque la contraddittorietà derivante dal mancato utilizzo di D., da parte del sodalizio, per il decennale periodo sopra indicato.

Ma anche l'episodio delle antenne altro non indicava se non l'aiuto che D. aveva inteso rendere all'amico B. vessato dalla mafia.

Lo stesso ragionamento doveva valere in relazione agli attentati ai magazzini (OMISSIS), posti in essere dal clan Santapaola, tanto più che per tali fatti non risultava nemmeno provato che il D. fosse stato protagonista di una trattativa o di una mediazione.

In tale periodo (1974-1993) il D. aveva avuto, per sua stessa ammissione, sporadici rapporti di frequentazione con l'amico C. e con il conoscente M. (con costui quattro volte in quindici anni (v. pag. 96 sent. imp.).

Anche la tesi della accusa, secondo cui l'impegno politico di D. era finalizzato al rafforzamento di interessi mafiosi, era rimasta privo di prove.

Era infatti emerso, anche secondo il Tribunale, che la nascita di (OMISSIS), e la decisione di B. di partecipare con tale partito alle elezioni politiche del 1994, era scaturita da ragioni del tutto indipendenti da D.. Infatti solo dopo le elezioni del 1994, secondo la sentenza di primo grado, era databile il patto politico mafioso (comunque contestato dalla difesa) che vedeva l'imputato impegnato a promuovere proposte favorevoli per la giustizia in favore del sodalizio.

La difesa ricordava sul punto le dichiarazioni di ca., che, riguardo ai progetti di Ba., aveva affermato trattarsi di proprie supposizioni. E sottolineava, ancora, che Ba. aveva coltivato il progetto della creazione di un soggetto politico nell'ottobre del 1993, così dando la prova che fino a quella data non poteva esservi stato alcun rapporto politico attivato tramite D..

Anche le vicende della sponsorizzazione alla Pallacanestro Trapani e quella Ch.-.Cirfeta s.a.d.a.p.c. De. aveva agito chiedendo a proprio favore l'appoggio di esponenti mafiosi o comunque per dimostrare la calunniosità delle accuse a proprio danno. Riguardo al primo punto, comunque, la difesa (pag. 112) poneva seri dubbi sulla attendibilità di ga., che avrebbe dovuto essere sentito come imputato in reato connesso (peraltro archiviato il 16 luglio 2007, v. pag. 126 sent. imp.) e che aveva cominciato a parlare dei fatti estorsivi presuntivamente commessi ai suoi danni, anni dopo, quando a sua volta era stato accusato, nel 1996, da Me. G.. Aveva anche fornito dati risultati incompatibili con quelli indicati da L.M. M.P..

Sul secondo punto (pag. 113) la difesa contestava che vi fossero prove del concorso di D. ella presentazione di denunzie calunniose da parte di Ci. contro altri collaboratori, essendosi limitato, D., ad indicare alla autorità giudiziaria la fonte di proprie conoscenze circa propositi calunniosi ai propri danni. La sua telefonata con Ci. datava 5 settembre 1997, una data successiva alla denunzia di Ci. alla A.G. Ci. era peraltro risultato soggetto pienamente attendibile in numerose altre realtà processuali.

Inoltre la difesa contestava che tutti gli elementi passati in rassegna fossero sufficienti a fa ritenere rispettata la soglia probatoria fissata dalla sentenza delle SS.UU. Mannino in tema di concorso esterno al reato di associazione mafiosa; difettava infatti la prova che il presunto impegno politico assunto dal D. a favore del sodalizio avesse le caratteristiche della serietà e fosse riuscito, con prognosi da effettuare ex post, ad incidere sul mantenimento della associazione mafiosa.

Venivano poi sottoposte a censura le dichiarazioni di A. A., D.N.G., gi. A., S. A. (sul giudizio negativo dato da B. a proposito di D. che a (OMISSIS) si occupava di collocare all'estero il denaro di Cosa nostra (v. pag. 96 sent. imp.) e ga. V..

Si evidenziava come la vicenda della assunzione di D. da parte di Ra. (presso la soc. Bresciano), al di là delle affermazioni di costui circa la impossibilità di rifiutare tale favore richiestogli da C. conosciuto per i legami con ambienti mafiosi, fosse risultata priva di qualsivoglia significatività ai fini degli interessi di Cosa nostra.

In conclusione e in sintesi si criticava la tesi secondo cui D. avrebbe agito non per aiutare e favorire l'amico B. ma, al pari di C., per favorire il sodalizio mafioso di riferimento.

Sui rapporti tra D. e M. successivi al 1994, la difesa analizzava e criticava le dichiarazioni dei collaboratori che ne affermavano la esistenza, quali Cu. S. che aveva parlato di un incontro tra l'imputato e M. nel dicembre 1994, nel corso del quale il secondo aveva ricevuto garanzie sulla presentazione di proposte legislative favorevoli alla mafia.

Incerta sarebbe la collocazione temporale di tale incontro (che comunque, secondo il Tribunale, sarebbe stato indicato nel dicembre 1994 a causa di un lapsus, essendo da riferire ad un anno prima, 1993), ma collocato in altro mese da ca. e Ca., così come da L.M. e da D.N..

Si sarebbe trattato di un incontro di dubbia valenza posto che poteva servire (secondo Ca.) ad aiutare il progetto politico di Sicilia Libera senza però considerare che i candidati di Sicilia Libera non furono neppure inseriti nelle liste di Forza Italia.

Ba. e Br., d'altra parte, sembravano (nel racconto dello stesso Cu.) all'oscuro dei presunti risultati ottenuti da M..

Ga. sembrava parimenti all'oscuro, ponendosi all'epoca il dubbio se continuare o meno con la politica stragista.

Le annotazioni di due incontri nel novembre 1993, rinvenute nell'agenda di D. sarebbero neutre.

D.N. aveva a sua volta collocato il detto incontro in un periodo successivo alle elezioni del 1994.

Le intercettazioni relative alle elezioni europee del 1999 erano prive di significato probatorio per la loro lontananza dai fatti in esame e non contenevano riferimenti al patto.

Quanto alla segnalazione in favore del figlio di D. la difesa faceva presente che l'intermediario era stato il solo Ba.

C., però morto prematuramente prima. Il provino era stato successivamente realizzato per il tramite dei fratelli G. ma senza che questi facessero riferimento all'imputato.

I rapporti con S.N. (legato al genero di M. e coinvolto in traffici di droga) andavano ora analizzati alla luce del fatto che costui era stato assolto dal reato ex art. 416 bis c.p..

Veniva poi menzionato l'appello incidentale del PM sulla pena.

Si dava quindi atto dei motivi nuovi d'appello formulati nell'interesse di D. riguardanti:

la indeterminatezza del capo di imputazione;

la violazione del ne bis in idem per quanto riguardava la contestazione del concorso esterno in associazione mafiosa sulla base dei rapporti con Ci. e Ch. (per la quale pendeva processo a carico dell'imputato in ordine al reato di calunnia);

la valutazione della vicenda degli attentati alla Standa come effettuata dalla Corte di assise di Catania, con esclusione dell'intervento dell'imputato;

In quella memoria venivano poi avanzate istanze istruttorie.

Lo svolgimento del giudizio di appello aveva luogo a partire dalla udienza del 30 giugno 2006, quando si prendeva atto del decesso di C. intervenuto nel precedente mese di febbraio 2006.

Il processo si concludeva il 29 giugno 2010 con la lettura del dispositivo.

Si procedeva ad una parziale rinnovazione della istruttoria dibattimentale acquisendo provvedimenti giurisdizionali ed escutendo testi ed esaminando D.G.M., autore di sopravvenute dichiarazioni riguardanti fatti di interesse per il processo, poi sottoposto anche a confronto con gi. A..

Veniva anche ammessa la deposizione di Sp.Ga. (23 ottobre 2009) sulla stagione politica, nonchè di G.F. e G.G. e di L.N.C.. (30 ottobre).

Da ultimo si acquisiva la sentenza della Cassazione di annullamento con rinvio nel processo celebrato a Milano a carico di D., e V. per tentata estorsione ai danni di ga..

Nella sentenza di appello venivano dapprima affrontate e risolte le questioni processuali di inutilizzabilità di taluni atti per violazione degli artt. 191 e 526 c.p.p..

Queste venivano solo in parte accolte, riaffermandosi viceversa la legittima acquisizione delle dichiarazioni di D. e C. limitatamente alle affermazioni che li riguardavano e non di quelle contra alios (punto primo tra quelli sopra elencati), di quelle di B. al GI di Milano limitatamente agli elementi favorevoli all'imputato (punto tre), di quelle di ga. sentito come teste pur essendo persona offesa del reato di tentata estorsione e indagato per il reato di calunnia, archiviato, e per quello di diffamazione, pendente (punto quattro), di quelle di gi. A. in dibattimento (punto sei).

Sulla questione di inutilizzabilità dei tabulati telefonici la Corte ha affermato la non rilevanza di essi come prova (pag. 166 sent.

imp.) riguardante anche le intercettazioni relative alla vicenda Ch. - Ci. ((pag. 170 sent.imp.) e quelle ambientali relative alla vicenda (OMISSIS) (pag. 172 sent. imp.).

La Corte ha quindi replicato alla eccezione riguardante la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza (pag. 176 sent.imp), alla eccezione sulla violazione del ne bis in idem derivante dalle due sentenze proscioglitive del GI di Milano risalenti al 1990 (pag. 178 sent. imp .) e concernenti imputazioni ex artt. 416 e 416 bis c.p.;

infine ha respinto l'eccezione di superamento del tempus commissi delicti indicato nella imputazione "fino ad oggi".

I giudici dell'appello sono quindi passati ad esaminare le censure nel merito, giungendo, alla fine, ad una conclusione solo parzialmente confermativa di quella del primo giudice: infatti, come si vedrà, la Corte d'appello ha ritenuto di confermare la accusa di concorso eventuale in associazione mafiosa soltanto per la parte riferita alla mediazione che D. aveva assicurato in favore sia dell'amico B. che, essenzialmente, del consorzio mafioso, attraverso la creazione e la gestione in prima persona di un canale privilegiato volto ad assicurare all'imprenditore protezione, informazioni e pronti collegamenti con il fronte mafioso in cambio essenzialmente di cospicui pagamenti di somme di danaro e a Cosa nostra concreti arricchimenti ingiusti e la prospettiva di continui rilanci in settori anche di interesse economico per l'imprenditore:

il tutto fino al 1992.

Al contrario la Corte non ha convalidato la tesi della protrazione del detto concorso eventuale anche in epoca successiva, ritenendo non adeguatamente provato l'assunto accusatorio (peraltro accreditato in primo grado) dell'avere il D. consentito un ulteriore rafforzamento al sodalizio ponendo in essere, sulla base di un accordo o patto, condotte volte ad influenzare, a vantaggio della associazione mafiosa, individui operanti, in particolare, nel mondo istituzionale.

La Corte, dunque, sulla origine dei rapporti tra D. e M. ha sostanzialmente confermato l'accertamento del primo giudice.

La Corte ha rimarcato la ammissione da parte dello stesso imputato del fatto che essi erano insorti in Palermo quando si era reso necessario, per D. coinvolto nella gestione della società calcistica Bacigalupo, di avere rapporti con un soggetto - ivi conosciuto perchè frequentante assieme a numerosi altri soggetti, in ambiente promiscuo- che fosse in grado di tutelare i giocatori, quando questi entravano in competizione in ambienti le cui tifoserie erano particolarmente aggressive.

Quindi l'avvicinamento con M. era dovuto alla sua capacità dissuasiva. Tale realtà giustificava il ricorso a M. anche per lo svolgimento di analoga funzione presso la villa di (OMISSIS), essendo stato in tal senso contattato da D. con la collaborazione del suo amico C., anch'egli frequentatore della società Bacigalupo presso la quale giocava il figlio.

La Corte negava che potesse avere credito la tesi della difesa secondo cui M. era stato assunto come semplice stalliere, essendo da escludere che anche solo funzioni di fattore e di curatore della manutenzione dei terreni fosse affidata ad un perfetto sconosciuto, peraltro privo di esperienze nel settore agricolo.

Lo stesso D. era caduto in contraddizione descrivendolo ora come soggetto esperto solo di cani e non di cavalli, ora invece come conoscitore anche di cavalli.

Peraltro, proseguiva la Corte, può ritenersi comprovato, sulla base di dichiarazioni di pentiti, che M. fosse realmente esperto di cavalli (così Mu., Cu., Co., c.) ed una simile realtà era alfine emersa anche dalla nota telefonata del 14 febbraio 1980 dall'Hotel (OMISSIS), telefonata vertente, secondo quanto accertato dal Tribunale, proprio sulla vendita da parte di M. di un cavallo.

Tuttavia ad avviso della Corte, una simile esperienza non giustificava, da sola, la sua assunzione ad opera di D. (che lo avrebbe ammesso), essendo il M. appena giunto in (OMISSIS), per giunta privo di competenze al riguardo.

Pertanto secondo i giudici è rimasto provato su base logica che la assunzione del M. rispondesse alle esigenze di protezione individuate dalla accusa e tale costrutto aveva trovato conforto e riscontro nell'incontro tra B. e Bo. promosso da D., come riferito da D.C.. La Corte di merito ha sul punto ritenuto accertato che l'incontro in questione - del maggio 1974 - precedette l'arrivo di M. ad (OMISSIS) e ne fu la causa.

D., infatti, si era dimesso dalla Banca ove lavorava il 5 marzo 1974 e solo dopo tale data poteva collocarsi il suo interessamento per l'assunzione di M.. Questi, d'altra parte, risulta avere spostato la propria residenza in (OMISSIS) nel (OMISSIS), lavorandovi per alcuni mesi: proveniente da (OMISSIS) ove aveva fissato la residenza nel (OMISSIS).

L'imputato aveva reso dichiarazioni nello stesso senso (come anche co.) e la Corte ha escluso che potesse giungersi ad una diversa ricostruzione cronologica sulla base di appunti contenuti in una agenda, privi di data certa.

Il compito era quello di garantire la sicurezza della famiglia B., come si desume anche dalle dichiarazioni di D. che aveva riferito come l'uomo fosse stato adibito all'accompagnamento a scuola dei figli dell'imprenditore, pur avendo costui, alle proprie dipendenze, un autista.

Le minacce a B., del resto, erano state comprovate come dimostrerebbe il fatto che quando M. decise di lasciare (OMISSIS) dopo l'arresto per una pena da espiare, B. stesso si era determinato a rifugiarsi prima in Svizzera e poi in Spagna (v.

dich. di co.). D., poi, aveva ammesso che le minacce erano cessate con l'arrivo di M. e tale evento era da mettere in relazione non al caso (come vorrebbe l'imputato) ma alla presenza dissuasiva di un soggetto scelto da C., attraverso le proprie parentele di grande rilievo mafioso che gli avevano consentito di investire della questione addirittura il boss Bo. (vedi dich. di D.C.).

Lo stesso imputato aveva anche dichiarato che, dopo l'allontanamento di M., le minacce erano riprese, con l'arrivo di una lettera anonima, a partire cioè da gennaio 1975. Anche co. aveva confermato tali circostanze, precisando che, al rientro in Italia, B. si era dotato di un servizio di guardie private: quelle destinate evidentemente a svolgerle il servizio prima garantito da M..

La Corte è passata poi ad esaminare le dichiarazioni di D.C. F., ritenute anche da essa soggettivamente e oggettivamente assai credibili, sull'incontro di (OMISSIS) tra B. e i boss mafiosi.

I giudici di secondo grado, replicando alle obiezioni della difesa e del Procuratore Generale, ripercorrono tutti i passaggi della motivazione esibita dal Tribunale, convalidandoli con la sola eccezione del riscontro individuato dal Tribunale (e non dalla Corte), rappresentato dalla esistenza dell'immobile nel quale, secondo il dichiarante, rincontro in questione avrebbe avuto luogo.

Dal dato obiettivo della presenza di un personaggio di spicco per i rapporti con la mafia, presso la villa di (OMISSIS), con funzioni pertanto dissuasive rispetto ad iniziative della criminalità di altra origine e natura ai danni di B., la Corte deduce la piena credibilità del racconto di D.C. che ricostruì la modalità specifica attraverso la quale si realizzò il successivo rapporto tra M. e B..

Fu un incontro - quello riferito da D.C. - che vide l'impegno personale di un personaggio come B.S. collocato all'epoca (primi anni '70) ai massimi livelli della consorteria mafiosa siciliana, essendo risultato componente del triumvirato di vertice assieme a Ba.Ga. e a L.L..

E per riuscire a coinvolgere un personaggio di spicco della massima organizzazione criminale all'epoca in attività la Corte ritiene del tutto logico credere al fatto che fu il C., amico di vecchia data di D., il soggetto al quale questi si rivolse per risolvergli il problema di sicurezza di B., essendo a conoscenza delle parentele che il C. stesso aveva acquisito con personaggi di rilievo della consorteria.

La Corte ha passato infatti in rassegna quelle parentele evidenziando come, attraverso i matrimoni, il C. e sua sorella si fossero legati a uomini d'onore, esponenti di famiglie mafiose come quella di Malaspina e Santa Maria del Gesù (pag. 201 sent. imp.).

E tale ricostruzione in parte storica ed in parte logica ha trovato conferma nel fatto che alla riunione riferita da D.C. partecipò lo stesso C. che doveva essere il trait d'union con la mafia palermitana.

La difesa, sul punto, aveva eccepito che il racconto del D.C. appariva poco credibile perchè non si comprendeva quale potesse essere stato il suo interesse alla partecipazione personale alla nota riunione.

La Corte ha però replicato motivando la plausibilità delle giustificazioni date al riguardo dal D.C. e cioè ricordando i rapporti di stretta amicizia personale che lo stesso vantava sin dalla adolescenza con Bo. e la sua famiglia di origine:

amicizia per la quale il Bo. lo aveva invitato a prendere parte all'incontro perchè capace di intrattenere rapporti anche con personaggi di rilievo del mondo economico; del pari, la presenza di C., che non era combinato come uomo d'onore, trovava spiegazione nel fatto che era stato proprio lui a provocare l'incontro.

La Corte ha replicato anche ai dubbi della difesa sulla collocazione temporale dell'appuntamento, condividendo la conclusione del Tribunale, resa con motivazione articolata, secondo cui, nonostante le incertezze di D.C. sul punto, quello fosse da collocare tra il 16 e il 29 maggio 1974.

Tale riferimento era in linea anche col racconto del D. che aveva fatto risalire l'arrivo di M. alla villa di (OMISSIS) proprio nel maggio-giugno successivi. Ed era in linea con le risultanze anagrafiche che attestavano la iscrizione del M. tra i residenti di (OMISSIS) a far data dal 1 luglio 1974.

La Corte ha argomentato anche le ragioni di dissenso riguardo alla tesi del PG che avrebbe voluto collocare l'arrivo di M. mesi dopo, evidenziando come fosse rimasto accertato che mesi dopo, e cioè da gennaio 1975, il M. si allontanò definitivamente dalla villa di (OMISSIS).

La Corte ha poi replicato alle argomentazioni difensive secondo cui gli impegni processuali e giudiziari di Bo. e T. sarebbero stati incompatibili con la loro presenza a (OMISSIS) nel noto periodo. E ha motivato sulle ragioni per le quali quegli impegni prevedevano degli "intervalli" che invece consentivano ai due, di fatto, di allontanarsi dal luogo di residenza per un giorno e mezzo circa, il tempo cioè della durata del soggiorno a Milano.

Tornando ad esaminare la valenza dell'accordo scaturito dall'incontro di Milano, la Corte ha specificato poi che l'accordo aveva ad oggetto interessi di grande rilievo per la sicurezza di B. e dei suoi familiari, interessi che Bo. garantì di voler tutelare indicando a B. la persona del D. come referente per "qualsiasi cosa".

Il racconto di D.C., al riguardo, era proseguito- in termini di assoluta credibilità secondo la Corte - anche riguardo alla indicazione della ulteriore persona fisica che Bo. intendeva collocare presso B. per realizzare lo scopo prefisso: la persona cioè di M. di cui, all'esito dell'incontro, si fece espressamente il nome.

Dunque la presenza del M. trovava spiegazione, argomenta la Corte, nell'indicare ad eventuali altri malintenzionati, la presenza garante della mafia sulla famiglia e sugli affari di B..

I giudici hanno escluso poi la tesi della difesa secondo cui la presenza del M. sarebbe stata "imposta" a D..

Vi era al contrario la prova che D. aveva assunto il ruolo di colui che avrebbe consentito, con la propria iniziativa, alla mafia di entrare in rapporto diretto con uno dei più importanti imprenditori del nord, dando corpo alla presenza accanto a lui di un soggetto ( M.) che di li a pochi mesi sarebbe divenuto uomo d'onore (affiliato alla famiglia mafiosa di Porta nuova che all'epoca era aggregata a quella di Santa Maria del Gesù, comandata da Bo.St.) e che già all'epoca vantava una posizione di speciale considerazione all'interno della consorteria mafiosa (v.le dich. dei collaboratori Cu., S.F., p. 214 sent.).

La Corte ha reiterato più volte il giudizio di speciale credibilità del D.C., escludendo che potesse essersi avvantaggiato di notizie diffuse dalla stampa, per la originalità di taluni suoi contributi; e ciò, pur escludendo la bontà del riscontro che il Tribunale aveva trovato sul suo racconto quando aveva indicato la presunta (ma non esistente in realtà) corrispondenza tra la descrizione del luogo in cui sarebbe avvenuto l'incontro con B. e il palazzo in cui aveva sede la società di costui, Edilnord. La Corte ha affrontato quindi il tema, posto dalla difesa, della inesistenza di segnali di minacce ai danni di B., all'epoca, e ha indicato le prove, al contrario, della concretezza di quelle minacce (pag. 219 sent. imp.), provenienti essenzialmente dalle stesse dichiarazioni di D..

I giudici sono passati poi ad esaminare le dichiarazioni di Ra. e dell'imputato a proposito del fatto che essi vantavano amicizie mafiose e del fatto, altresì, che D., proprio facendosi accompagnare da un personaggio noto negli ambienti mafiosi come C., si era presentato da Ra. quando aveva iniziato la collaborazione con tale soggetto. Si affronta poi nella sentenza di appello (pag. 221) la prova (rappresentata da una conversazione telefonica - intercettata nel 1988 - di Be. con tal D. V. e da altra conversazione dello stesso imprenditore con D. del 1986) del fatto che anche negli anni '70 egli era stato vittima di minacce a fine di ricatto e che faceva parte del suo modo di pensare l'idea di pagare agli estorsori piuttosto che denunciarli alla autorità giudiziaria. Infine la Corte cita la dichiarazione di D.C., sul fatto- appreso da C. - che la protezione garantita dalla mafia a B. aveva un prezzo:

quello di cento milioni che l'imprenditore aveva pagato, così dando corpo anche all'arricchimento che la consorteria aveva realizzato grazie al contatto con B. propiziato da D..

La Corte ha passato poi in rassegna l'episodio del fallito sequestro del principe D'., ai ritorno da una cena nella villa di (OMISSIS), presente il M.. E ciò per replicare al rilievo difensivo secondo cui dopo l'assunzione dei M. erano proseguite le minacce a B., sicchè non poteva parlarsi di un patto di protezione realizzato da M..

Il fatto di rilievo è stato ritenuto, per l'appunto, quello del tentato sequestro al principe al termine di una cena alla quale B. lo aveva invitato, presso la Villa di (OMISSIS).

Per quel sequestro tentato era stato condannato altro mafioso ( V.P., allora latitante, la cui patente era stata rinvenuta sul luogo del fallito sequestro)ma vi era coinvolto come basista il M. (vedi dich. dei collaboratori Mu. e Cu. che lo avevano appreso direttamente da M., ma anche quelle di C.S.) il quale aveva sfruttato gli eventi che egli vedeva svolgersi nella villa di (OMISSIS), fornendo nel caso di specie ai sequestratori ravviso di uscita della vittima alla fine della cena. Si era trattato però di una azione criminosa che aveva visto come bersaglio un soggetto diverso da B. e che pertanto non poteva reputarsi in violazione del patto di protezione, in tale prospettiva apparendo generiche e in parte smentite anche le affermazioni di Cu. secondo cui l'originario bersaglio sarebbe stato il padre di B..

Il fatto del tentativo di sequestro dovette subito essere messo in relazione alla persona di M. anche dall'imputato, tanto che, dopo di esso lo stesso M. si allontanò - senza traumi- dalla villa di (OMISSIS). Gli eventi dovettero comunque rafforzare in D. la consapevolezza della caratura mafiosa di M. con il quale, peraltro, non cessarono affatto i rapporti. E non cessarono neppure con C. come si ricava dalle dichiarazioni di D.C. e di O. che la Corte ha ritenuto apprezzabili soltanto come prova della continuità delle frequentazioni fra i due e non anche di eventi di rilievo penale, tenendo conto anche del fatto che la circostanza è ammessa sia da D. che da C. (pagg. 231 232 sent. imp.).

La Corte ha analizzato quindi, in sentenza, in punto di credibilità soggettiva e oggettiva, e tenuto conto delle specifiche critiche della difesa, le dichiarazioni di G. e Cu., che, anche in base al costrutto del primo giudice, rappresentano il riscontro alle dichiarazioni di D.C. sull'ormai noto incontro di (OMISSIS).

Ha osservato che G., nipote di G.R. e amico di C., aveva da costui ricevuto confidenze al riguardo nel corso di un pranzo alla villa di CI. (nipote di C.) nel 1986, presenti g.D. e D.N.P. (capo della famiglia di Malaspina).

C. aveva fatto un racconto straordinariamente convergente con quello di D.C., dicendo di essere stato richiesto di intervento direttamente da D. e di avere organizzato un incontro a (OMISSIS), tra B., T. e Bo..

Tale impressionante collimanza non è stata ritenuta dalla Corte- diversamente da quanto sostenuto dalla difesa- frutto di preordinata combinazione tra G. e D.C. i quali erano stati detenuti assieme nel carcere (OMISSIS), ossia un mese prima che G. facesse le proprie rivelazioni alla autorità giudiziaria.

La Corte non ha cioè creduto alla tesi dell'accordo doloso tra i due perchè ha condiviso il rilievo del Tribunale circa la elevatissima sorveglianza alla quale era sottoposto al tempo il D.C., divenuto collaboratore di giustizia poche settimane prima.

La Corte non ha creduto neppure alla ulteriore tesi della difesa secondo cui G. aveva riferito ciò che aveva letto sui giornali a proposito delle rivelazioni di D.C..

Ha rilevato in proposito dei particolari nella narrazione di G. (v. pag. 235 e segg, con particolare riferimento al dettaglio del momento in cui fu richiesto a B. di far pervenire una somma a Bo., in cambio del servizio) che starebbero ad indicare la autonomia della ricostruzione.

Le dichiarazioni di Cu. sono state a loro volta ritenute di rilievo come riscontro a quelle di D.C., riguardando spiegazioni che M. gli avrebbe dato circa la sua presenza ad (OMISSIS), in linea col costrutto accusatorio. Invero M. gli aveva riferito di essere stato egli stesso, con atti intimidatori posti in essere contro B., a propiziare la reazione di questi e a farlo rivolgere a D. perchè attivasse i contatti con C. e in definitiva con soggetti dell'ambito mafioso: il tutto nell'ottica di essere egli stesso assunto dal momento che intendeva arricchirsi.

Dunque un racconto che non contempla affatto la riunione di Milano tra B., Bo. e gli altri, ma che sta ugualmente ad attestare l'inserimento di M. nel gruppo mafioso che negli anni settanta operava nel milanese, la funzione di garanzia che svolgeva alla villa di (OMISSIS) e la catena di contatti attivata per giungere fino a lui da D. passando per C..

Il fatto che nel racconto di Cu. non è stato menzionato l'incontro di (OMISSIS) di cui parla il D.C. non prova, ad avviso della Corte, che tale incontro non ci sia stato, posto che Cu. ha riferito quanto confidatogli da M. al riguardo e M. poteva anche non sapere di quell'incontro al quale non aveva partecipato.

La Corte non attribuisce particolare rilievo al fatto che M. abbia attribuito a se stesso le minacce che avevano indotto B. a rivolgersi a D.. Infatti D.C. sul punto non aveva reso affermazioni precise e diverse mentre era pacificamente accertato nel processo che quelle minacce erano state realmente poste in essere.

Rilevanti erano poi considerate le affermazioni del Cu. circa le somme di denaro (50 milioni l'anno) che furono versate da B. e inizialmente ritirate proprio da M. che le faceva pervenire al mandamento mafioso di Santa Maria del Gesù.

Secondo la Corte questa era la prova non solo che M. perseguisse anche propri interessi ma soprattutto che la sua azione si inseriva in un disegno più ampio che era quello non di rendere servigi a B. ma di sfruttarne al massimo le evidenti capacità economiche in una logica mafiosa di conseguimento di illecito profitto.

E la detta somma veniva pagata anche dopo che - fallito il tentativo di sequestro di D'. e destata negli inquirenti la attenzione sul personaggio M. che in quell'epoca, per altra causa, era finito anche, sia pur brevemente, in carcere - il M. stesso aveva deciso di allontanarsi dalla villa di (OMISSIS) per togliere B. dall'imbarazzo di una ingombrante presenza.

La prova del proseguimento dei pagamenti veniva ancora da Cu.

che lo aveva saputo da componenti della famiglia mafiosa di Santa Maria del Gesù. Sul punto aveva deposto anche S.F. che lo aveva saputo direttamente da M. durante un periodo di comune detenzione alla fine degli anni 80.

La Corte è passata quindi ad esaminare l'attentato alla villa di (OMISSIS). Si tratta di un attentato che, posto in essere nel maggio 1975, starebbe a dimostrare, secondo la difesa, che non vi era affatto, in atto, una garanzia da attentati mafiosi in favore di B., il quale infatti si era anche allontanato dall'Italia per motivi di sicurezza.

La Corte tuttavia ha argomentato che l'attentato era da intendere nello stile della consorteria mafiosa che tende a non far allentare mai la tensione con la propria vittima onde evitare che questa cessi di pagare il prezzo delle estorsioni.

Di fatto i pagamenti di B. non cessarono, tenuto conto che le ragioni di sicurezza personali non erano le sole che giustificavano i pagamenti, come dimostrato anche dal comportamento analogo tenuto in occasione della successiva installazione in Sicilia dei ripetitori televisivi di interesse per Fininvest.

Ebbene, tornando ai commenti di B., D. e c. (conversazione del 29 novembre 1986) circa l'attentato alla villa di (OMISSIS) (ripetuto nel 1986, poco prima della citata conversazione), B. rivelò la propria convinzione che entrambi gli attentati fossero stati opera di M..

Proseguiva dicendo che l'attentato appena subito (quello del 1986) egli lo considerava un segnale acustico di estorsione, proveniente dalla mafia: segnale che egli riteneva oltretutto "rispettoso e affettuoso" per la modestia dei danni cagionatigli.

Ebbene la conversazione viene citata dalla Corte come prova del fatto che, all'esito di essa il D. si era immediatamente attivato per verificare se i sospetti dell'amico B. su M. fossero fondati. Era rimasto provato che, per far luce sull'episodio si era rivolto all'amico C. e in 24 ore aveva potuto fornire a B. la sicura informazione della estraneità di M. all'attentato.

Si tratta di una risposta che presuppone fonti cognitive illecite, come è dimostrato anche dalla natura estremamente criptica della telefonata di D. a B. ed è la prova dei canali informativi che D. manteneva con ambienti mafiosi importanti, per il tramite di C., essendo stati quelli capaci di verificare in poche ore la reale natura e portata dell'attentato svoltosi a distanza di 2000 chilometri (da attribuirsi, secondo la ricostruzione accrediata, alla iniziativa di R.).

Si è aperto, a questo punto, il paragrafo della motivazione sulla continuità dei rapporti tra D. e M..

Si è ritenuto, cioè, provato, dalla Corte, che questi rapporti continuarono anche dopo l'allontanamento di M. da (OMISSIS), dovuto al suo arresto e quindi all'imbarazzo che poteva creare a B..

Erano rapporti continuativi e cordiali che contrastano, per la oro natura, con la tesi difensiva dell'avere il D. inteso solo aiutare - facendo ricorso a talune conoscenze in Sicilia - l'amico B..

Non regge cioè secondo la Corte, la tesi che il D. subisse le chiamate di M. in ragione della personalità criminale di costui.

Proprio il colloquio telefonico che avvenne il 14 febbraio 1980 tra D. e M. quando costui era alloggiato all'hotel (OMISSIS) dimostra che non solo l'imputato si diceva compiaciuto degli incontri che si andavano progettando ma soprattutto che si trattava di incontri soliti, consueti, in luoghi noti ad entrambi.

Quella telefonata (che nonostante la menzione di un termine - cavalli - usato in altre telefonate da M. per parlare di droga, non è stata ritenu
Avv. Antonino Sugamele

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