Dichiarazioni infedeli: l'imputato ha il diritto di prendere visione degli atti di indagine
Corte di Cassazione sez. Quinta Pen. Sent. del 14.03.2012, n. 9905
Presidente Scalera - Relatore Bruno
Svolgimento del processo
S.F. , G.C. ed A.M. , nella qualità di amministratori della s.r.l. M. - di diritto, il primo, e di fatto gli altri due, legati peraltro da un rapporto di convivenza - erano tratti a giudizio, innanzi al Tribunale di Rovigo, per i reati di seguito indicati:
sub A), per avere percepito un contributo pubblico con le modalità fraudolente descritte in rubrica, idonee a integrare l'ipotesi di truffa aggravata di cui all'art. 640 bis c.p., consistite nell'allegazione di fatture per operazioni inesistenti attestanti i costi sostenuti per il dedotto investimento industriale;
sub B), per aver utilizzato le fatture per operazioni inesistenti sopra indicate al fine di rappresentare elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni fiscali presentate dalla M. per gli anni 1997-98-99 e di evadere conseguentemente le imposte dovute, secondo condotte idonee a integrare il reato tributario di cui all'art. 2 D.L.vo 74/00; sub Q, per il reato di cui all'art. 8.dello stesso d.lvo n. 74/00 consistito nell'emissione da parte della M. delle fatture per operazioni inesistenti ivi indicate relative agli anni 1999 e 2000;
sub E-1), per bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, consistiti (oltre che nella sottrazione di beni mobili) nelle distrazioni dalle casse della M. a beneficio personale degli amministratori delle somme rivenienti dall'erogazione del contributo pubblico del Patto Territoriale di Rovigo e dagli altri finanziamenti concessi alla società dalle banche con le quali operava al fine di avviarne gli investimenti e la produzione industriale, e tra le quali si colloca in particolare la distrazione di una cospicua parte del prezzo apparentemente pagato dalla M. per l'acquisto dei terreni di proprietà della Arca Immobiliare 2000 srl (società facente capo alla A. e dalla stessa amministrata) oggetto della fraudolenta operazione finanziaria e immobiliare di cui al capo I; nonché nella falsificazione e nella tenuta in modo fraudolento della contabilità sociale.
Sub S) per associazione per delinquere, ai sensi dell'art. 416 c.p.. finalizzata alla commissione di più reato tra quelli sopra contestati
P.R. , dal canto suo, era accusato dello stesso reato sub S) e T), come concorrente esterno nel reato di bancarotta per distrazione ascritto agli amministratori di diritto e di fatto della M.
Con sentenza del 10 gennaio 2007, il Tribunale di Rovigo dichiarava non doversi procedere nei confronti del S. per i reati sub B) (limitatamente alle dichiarazioni presentate per gli anni di imposta 1997 e 1998) e D) per intervenuta prescrizione; lo assolveva dal reato sub S) per insussistenza del fatto; lo assolveva inoltre, dai reati di truffa di cui al procedimento riunito n. 02/2006 (eccezion fatta per quello ex art. 640, comma 2, c.p.) con formula perché il fatto non sussiste; lo dichiarava, invece, colpevole per il reato sub A), B) (limitatamente alla dichiarazione presentata per l'anno di imposta 1999), Q ed E), in esso assorbito anche il capo I), per l'anzidetto reato previsto dall'art. 640, comma 2, di cui al procedimento riunito n. 02/2006; e, per l'effetto, ritenuta la continuazione, ritenuto più grave il reato di cui al capo E), sussistenti le aggravanti contestate, lo condannava alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione (partendo da una pena base di anni 3 mesi 6, aumentata di mesi 4 per le aggravanti di cui all'art. 219 l.f., ulteriormente aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di complessivi mesi 8 per i reati satellite di cui ai capi A-B-C e al procedimento n. 2/06).
Dichiarava, poi, non doversi procedere nei confronti del G. in ordine al reato sub B) (limitatamente alle dichiarazioni presentate per gli anni di imposta 1997 e 1998) e D) perché estinti per intervenuta prescrizione; lo assolveva dall'imputazione sub S) per insussistenza del fatto; lo dichiarava, invece, colpevole per i reati sub A), B (limitatamente alla dichiarazione presentata per l'anno di imposta 1999), C ed E (in esso assorbito anche il capo I); e, per l'effetto, ritenuta la continuazione, considerato più grave il reato di cui al capo E), sussistenti le aggravanti contestate, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione (partendo da una pena base di anni 5 mesi 2, aumentata di mesi 4 per le aggravanti di cui all'art. 219 l.f., e ulteriormente aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di complessivi mesi 6 per i reati satellite di cui ai capi A-B-C).
Dichiarava, ancora, non doversi procedere nei confronti di A.M. , esclusa la sua qualità di amministratore di fatto, in ordine al reato sub N) perché estinto per intervenuta prescrizione; l'assolveva dai reati di cui ai capi A), B), C), D), E) (salvo che per le somme distratte tramite assegni emessi a favore dell'Arca Immobiliare), per non avere commesso il fatto; e dal reato di cui al capo S) con formula perché il fatto non sussiste; la dichiarava, invece, colpevole, in qualità di concorrente esterno, per i reati sub E ed (quest'ultimo assorbito nell'altro) limitatamente alla quota di contributo per il Patto Territoriale distratto tramite assegni emessi a favore della Arca Immobiliare ed alla ulteriore somma contestata al capo l); e, per l'effetto, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate di cui all'art. 219 l.f., la condannava alla pena di anni tre di reclusione.
Assolveva, infine, P.R. dal reato sub S) per insussistenza del fatto; mentre lo dichiarava colpevole per il reato sub T) e, per l'effetto, lo condannava alla pena di anni tre mesi sei di reclusione. Condannava, altresì, S. e G. al risarcimento dei danni subiti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Ministero dello Sviluppo Economico (ora Ministero dello Sviluppo Economico, delle Infrastruttura e Trasporti), che liquidava, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, nella somma si Euro 523.877,09 oltre accessori come per legge, rimettendo per la liquidazione dell'eventuale maggior danno al competente giudice civile; condannava, inoltre, gli stessi imputati al risarcimento dei danni subiti dal Consorzio per lo sviluppo del Polesine che liquidava nella somma di Euro 50.000;
Pronunciando sui gravami proposti dagli imputati, la Corte Appello di Venezia, con sentenza del 21 dicembre 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata dichiarava non doversi procedere nei confronti del S. in ordine ai reati sub A) C) e B) (quanto alle residue imputazioni) ed al reato di cui all'art. 640 cpv. c.p. oggetto del procedimento riunito n. 02/2006, perché estinti per prescrizione;
Rideterminava la pena per il residuo reato sub E) (in esso assorbito anche il capo I) in anni tre mesi dieci di reclusione.
Dichiarava non doversi procedere nei confronti del G. in ordine ai reati sub A) C) e B) (quanto alle residue imputazioni) perché estinti per prescrizione - e rideterminava la pena inflitta.
Riduceva la pena inflitta al P. per il capo T), riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, nella misura di anni tre di reclusione.
Rigettava l'appello proposto da A.M. e confermava nel resto.
Avverso la pronuncia anzidetta, G. , S. ed A. personalmente nonché il difensore del P. hanno proposti distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidati alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione
1. - Il ricorso proposto da S.F. deduce, con il primo motivo, inosservanza degli artt. 178 in relazione all'art. 530, 179, 431, 521, 526 c.p.p. e della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, quanto alla violazione dei diritti della difesa nell'apprensione del materiale relativo al fascicolo processuale. Si duole, in proposito, che non sia stato posto in condizione di consultare la documentazione contabile in sequestro, custodita presso la Guardia di Finanza e, dunque, materialmente mancante nel fascicolo per il dibattimento. Sostiene, in proposito, che apposita istanza di autorizzazione rivolta al Tribunale, di cui allega copia al ricorso, sia rimasta inevasa, nonostante che lo stesso Giudice ne avesse disposto la trasmissione al PM per il parere, peraltro non necessario. L'istanza non era stata rinvenuta negli atti di causa e, comunque, era rimasta inevasa, con conseguente pregiudizio per le ragioni della difesa, anche alla luce della richiamata normativa comunitaria.
Il secondo motivo denuncia difetto di motivazione, ai sensi dell'art. 606 lett. e) nella parte in cui la pronuncia in esame nega la sussistenza della violazione del diritto di difesa, assumendo peraltro l'inutilità della consultazione alla stregua delle acquisizioni probatorie e dell'espletata consulenza tecnica.
Il terzo motivo deduce difetto di motivazione od illogicità manifesta o contraddittorietà della stessa con riferimento alla ritenuta distrazione, ai danni della M. , di somma pari ad L. 645.000.000. Contesta specificamente gli argomenti in forza dei quali la Corte aveva ribadito il giudizio di colpevolezza sulla base, peraltro, di travisamento delle risultanze dibattimentali, segnatamente della testimonianza del R. . Il quarto motivo contesta la ritenuta distrazione di L. 84.000.000, come versamento senza causa da M. ad Arca, oltre il prezzo pattuito.
Il quinto motivo deduce identico vizio di legittimità anche in riferimento gli affidamenti bancari concessi a M. e non più restituiti, in ordine ai quali il giudice a quo aveva infondatamente ritenuto sussistente un'ulteriore ipotesi di distrazione sull'apodittico assunto che il prelievo di danaro ingiustificato avesse per ciò solo carattere distrattivo.
Il sesto motivo contesta la ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale, ribadendo l'assunto che, nel caso di specie, avrebbe potuto semmai ravvisarsi l'ipotesi della bancarotta semplice di cui all'art. 217 l.f. Il settimo motivo lamenta l'eccessiva entità della pena inflitta, in violazione del parametri dettati dall'art. 133 c.p..
Il ricorso proposto da G. deduce identiche censure.
Il ricorso proposto da A.M. prospetta, con i primi due motivi, censure identiche a quelle dedotte con i corrispondenti motivi da S. e G. . Il terzo motivo lamenta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Deduce, al riguardo, che ad essa ricorrente erano stati, inizialmente, contestati diversi fatti di bancarotta, assieme ai delitti di cui ai capi A), B), C) e D) in qualità di amministratrice di fatto, ove invece alla stessa era stato attribuito in sentenza il ruolo di concorrente esterno. Alla fine era stata condanna per avere introitato un singolo assegno circolare (o meglio la quota pari a L. 84.000.000 di un assegno di L. 184.000.000) che risulterebbe privo di causa (ove invece solo l'amministratore era tenuto a giustificare ogni singola movimentazione delle attività della società indicandone la causa contabile). Diversa, inoltre, era la ricostruzione del fatto da parte del giudice di appello che, per confermare la pronuncia di prescrizione, costruisce una sostanziale fatturazione anche soggettivamente inesistente, mentre la contestazione di cui al capo N) è pacificamente rivolta a descrivere solo una fatturazione “parzialmente” inesistente (inesistenza, dunque, oggettiva, anche se parziale).
Il quarto e quinto motivo deducono censure identiche a quelle oggetto dee terzi e quattro motivi dedotti dagli altri due ricorrenti.
Il sesto motivo contesta la ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta dell'extraneus.
Il settimo motivo censura la sentenza per violazione dell'art. 232, comma 3 n. 2 l.f., sul riflesso che, ove fosse stata ritenuta la difformità tra prezzo pagato e quello equo, avrebbe potuto riconoscersi, in subordine la sussistenza del diverso reato di ricettazione pre-fallimentare, mancando gli elementi costitutivi del dolo richiesto dall'art. 216 l.f.. L'ottavo motivo lamenta l'eccessiva entità della pena, per violazione dell'art. 133 c.p..
Il ricorso in favore del P. deduce, con il primo motivo, inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità, ai sensi dell'art. 606 lett. c). Ripropone, all'uopo, l'eccezione di nullità già svolta in sede di merito, con riferimento alla mancata notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza del 20.2.2006, contestando le ragioni in forza delle quali il tribunale e, poi, il giudice di appello l'avevano disattesa.
Il secondo motivo deduce mancanza o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606 lett. e), con riferimento al reato di bancarotta di cui al capo T della rubrica, reputando inidonee le affermazioni del giudice ia quo ia sostegno del ribadito giudizio di colpevolezza in ordine alla ritenuta ipotesi concorsuale.
Il terzo motivo lamenta il difetto motivazionale in ordine al ritenuto bilanciamento tra attenuanti generiche ed aggravanti contestate, ai sensi dell'art. 606 lett. e).
2. - Nella griglia delle questioni sollevate dalle parti, indubbio rilievo pregiudiziale assume l'eccezione di rito sollevata dal ricorrente P. , mediante riproposizione di questione di rito già sollevata in sede di merito con riferimento alla pretesa nullità della notifica dell'avviso di fissazione di udienza dibattimentale.
Dall'esame dell'incartamento processuale, reso necessario in ragione della tipologia di censura dedotta, risulta quanto segue.
- all'udienza del 16.2.2006, il Tribunale di Rovigo - rilevato che la notifica del decreto di fissazione dell'udienza non era andata a buon fine nei confronti dell'imputato, in quanto dalla comunicazione dell'UNEP di xxxxxxx risultava che lo stesso si era trasferito dal domicilio dichiarato (in (omissis) ), rinviava il processo all'udienza del 20 febbraio successivo, disponendo notifica di estratto del verbale e di copia del decreto di fissazione dell'udienza al P. ;
- dall'annotazione in calce al verbale, risulta che il tentativo di notifica in mano ai difensori presenti in udienza, a norma dell'art. 157 comma 8 bis c.p.p., non é andato a buon fine in quanto gli stessi si erano rifiutati di ricevere l'atto, posto che l'imputato aveva fatto rituale elezione di domicilio;
- in effetti, dall'allegato verbale di interrogatorio raccolto dal PM in data 11.11.2004 risulta che l'indagato P. aveva fatto elezione di domicilio in (omissis) ;
- in ragione di quanto sopra, la notifica era stata, poi, effettuata ai sensi dell'art. 161 comma 4 del codice di rito presso i difensori.
Orbene, l'eccezione difensiva muoveva dall'assunto che il giudice di primo grado non avrebbe potuto accontentarsi dell'attestazione dell'addetto postale che aveva dato atto del trasferimento dell'imputato, ma avrebbe dovuto rinnovare le ricerche presso il domicilio eletto.
La questione era destituita di fondamento e, correttamente è stata disattesa dal giudice a quo con motivazione corretta ed adeguata. Ed invero, è ineccepibile l'argomentazione in base alla quale è stato ritenuto che, esattamente, il primo giudice, nel disporre il rinvio dell'udienza di comparizione ad altra prossima, avesse escluso la necessità di un nuovo tentativo di notifica presso il domicilio eletto, tenuto conto che la breve distanza temporale dal riscontro del trasferimento lo rendeva del tutto superfluo e diseconomico (ove davvero necessario), stante il carattere, ragionevolmente, non temporaneo dell'accertata situazione d'impossibilità della notifica. Era vero, invece, che quella situazione era tale da integrare la condizione oggettiva alla quale l'art. 161, comma 4, del codice di rito subordina la ritualità della procedura notificatoria mediante consegna dell'atto al difensore.
2. - Nello sviluppo logico delle articolate doglianze dei ricorrenti rilevanza pregiudiziale assume anche l'eccezione - comunque a più posizioni e, comunque, estensibile a tutti - relativa alla dedotta impossibilità di accedere alla copiosa documentazione contabile a suo tempo sequestrata e custodita presso una caserma della Guardia di Finanza, dunque in luogo diverso dalla sede giudiziaria. L'eccezione difensiva si fonda sul preteso pregiudizio del diritto di difesa, che, anzi, stante l'obiettiva rilevanza dell'esame della documentazione in rapporto alla peculiarità ed entità degli addebiti in contestazione, sarebbe rimasto clamorosamente conculcato.
2.1. - In linea meramente astratta, non par dubbio che la situazione dedotta sia da ritenere tale da arrecare pregiudizio, specie sotto il riflesso dell'impossibilità, per la difesa, di articolare un'efficace e pertinente strategia contestativa degli addebiti e, nello specifico, di contraddire adeguatamente alle risultanze della consulenza del PM ed all'esame dibattimentale dello stesso consulente, che tanto peso hanno, poi, avuto nell'economia complessiva del giudizio di colpevolezza.
In proposito, la risposta motivazionale del giudice a quo è affidata al rilievo che non vi sarebbe prova adeguata della dedotta impossibilità di accesso, posto che il solo elemento addotto dai difensori sarebbe costituito dalla copia fotostatica di un'istanza difensiva, recante peraltro parere negativo del PM interpellato sul punto dal Tribunale, senza che risultasse in atti né l'originale né l'esistenza di un provvedimento reiettivo è che, comunque, fosse stato in alcun modo inibito il diritto degli imputati e dei loro difensori di accedere, esaminare, compulsare, estrarre copia con riguardo agli atti e ai documenti (anche contabili) ritualmente acquisiti al fascicolo del dibattimento. A sostegno di tale assunto la Corte distrettuale ha osservato che il materiale istruttorio, costituito dalle risultanze dell'esame e dell'elaborato contabile del consulente del PM era dotato di autonoma valenza probatoria, siccome ritualmente acquisite al processo; e che le imponenti falsificazioni delle registrazioni contabili della M. erano sufficienti a dimostrare che le scritture contabili della società fallita fossero sin dall'inizio tenute in modo da offrire all'esterno una rappresentazione strutturalmente falsa e artificiosa della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, al fine di offrire all'esterno una falsa rappresentazione della sua consistenza patrimoniale per le contestate finalità ingannatorie.
Tale motivazione è manifestamente illogica ed incongrua, oltre che intrinsecamente contraddittoria. In primo luogo, il mancato reperimento in atti dell'originale della richiesta difensiva non autorizzava certamente alcun ragionevole dubbio sull'effettiva presentazione della richiesta, non solo in quanto la difesa aveva prodotto copia fotostatica incontestata della detta istanza, munita di visto di deposito in cancelleria e, persino, del parere negativo del PM, pur inutilmente richiesto dal primo giudice, ma per l'evidente ragione che la custodia del materiale in sequestro presso luogo diverso dalla sede giudiziaria e, segnatamente, nei locali di una caserma rendeva effettivamente necessario il conseguimento di apposito provvedimento autorizzatorio. È illogico, poi, desumere dalla mancanza di un provvedimento recettivo la circostanza che le parti abbiano potuto, comunque, accedere alla documentazione anzidetta, in quanto proprio l'impossibilità di accesso costituiva oggetto della reiterata doglianza, diversamente superflua, senza che vi fosse in processo alcun elemento che inducesse a ritenere che, di contro, quell'accesso avesse avuto comunque luogo. È, inoltre, erroneo l'argomento che, ad ogni buon conto, liquida - con indebita valutazione prognostica ed ingiustificata anticipazione di giudizio - le pretese di parte con l'assunto che la consultazione del materiale in sequestro sarebbe stata superflua stante il valore probatorio delle risultanze della consulenza di parte e dell'allegata documentazione, senza peraltro neppure porsi il problema della necessità di pertinente indagine peritale, con il conferimento al perito dei poteri di accesso asseritamente inibiti alla parte al fine di esaminare il materiale in questione.
A tanto si aggiunga un ulteriore deficit motivazionale.
Come dianzi rilevato, la situazione addotta dalle parti - impossibilità di accesso all'anzidetto materiale - era potenzialmente lesiva del diritto di difesa, con ogni consequenziale implicazione. Sennonché, il mero rilievo di un'astratta causa di nullità - al quale il giudice era, comunque, tenuto - non avrebbe, comunque, esentato lo stesso giudicante dalla verifica in concreto, cioè sul piano dell'effettiva lesività, del pregiudizio realmente sofferto, mediante valutazione se, indipendentemente dall'inibito o, altrimenti, impossibile accesso al materiale in sequestro, le ragioni di difesa avrebbero potuto dispiegarsi compiutamente.
Non solo, ma l'oggetto delle doglianze espresse in primo grado si riverberava in appello sub specie di violazione dell'art. 590 c.p.p., per mancata trasmissione al giudice del gravame di tutti gli atti costituenti il fascicolo per il dibattimento. Ancora una volta, si riproponeva, però, la valutazione della reale incidenza sul versante delle ragioni di difesa dell'incompleta omissione, alla stregua dell'interpretazione della menzionata norma processuale da parte di questo Giudice di legittimità secondo cui la mancata trasmissione alla corte d'appello degli atti del processo di primo grado, oltre a costituire violazione dell'art. 590 c.p.p. (di per sé, sfornita di sanzione processuale), integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, a condizione, però, che la parte che la invoca ne fornisca prova rigorosa mediante specifica allegazione documentale ovvero mediante trascrizione degli atti processuali rilevanti (cfr. Cass. sez. 3, 7.3.2008, n. 21922, rv. 240238). Donde, un ulteriore onere di controllo da parte del giudice di appello in punto adempimento di siffatta esigenza di specificazione, che non risulta assolto nel caso di specie.
3. - Il menzionato difetto di motivazione, nei diversi profili sopra evidenziati, comporta l'annullamento della sentenza impugnata, perché il competente giudice di merito provveda a nuovo esame dell'intera vicenda sulla base dei principi di diritto come enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Depositata in Cancelleria il 14.03.2012
18-03-2012 00:00
Richiedi una Consulenza