Detenuto agli arresti domiciliari con autorizzazione a effettuare attivita
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 28.03.2012, n. 11738
Presidente Serpico - Relatore Iannelli
Fatto e diritto
1. Con sentenza resa all'esito di giudizio abbreviato subordinato alla acquisizione di documenti il Tribunale di Cagliari assolveva per insussistenza del fatto E.B. dal reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari, contestatogli perché non reperito alle ore 10:50 del 10.8.2005 presso il panificio cagliaritano ove era stato autorizzato a svolgere attività lavorativa dalle ore 23:30 alle ore 11:30 di ogni giorno, avendo il gestore dell' esercizio dichiarato agli ufficiali di p .g. procedenti che il B. giunto regolarmente presso il luogo di lavoro la sera del precedente 9.8.2005, si era poco dopo allontanato a bordo di un ciclomotore senza fare più ritorno. Il Tribunale motivava il proscioglimento dell'imputato in base al rilievo che gli operanti, in concomitanza con l'accertata assenza del prevenuto dal luogo di lavoro, non avevano effettuato controlli per verificare la presenza del B. presso la propria abitazione, atteso che -ad avviso del decidente- “l'autorizzazione ad allontanarsi dall'abitazione per svolgere attività lavorativa per un certo numero di ore predeterminato non può essere interpretato come un obbligo di recarsi al lavoro, per cui rimane fermo, in caso contrario, l'obbligo di non allontanarsi dal proprio domicilio stabilito nell'ordinanza impositiva della misura”.
2. Giudicando sull' impugnazione del Procuratore Generale di Cagliari, la Corte di Appello di Cagliari con la sentenza del 18.7.2010, indicata in epigrafe, ha accolto l'appello e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il B. colpevole dell' ascritto reato di evasione domiciliare, condannandolo alla pena di sei mesi di reclusione. Giudizio di responsabilità del prevenuto incentrato sulla deduzione, conforme alle stabili indicazioni della giurisprudenza di questa S.C., della irrilevanza, a fronte della verificata assenza dell'imputato dal luogo di lavoro in orario in cui ivi avrebbe dovuto trovarsi, del mancato controllo dell' eventuale presenza in casa del B. nello stesso orario. L'autorizzazione rilasciata dal giudice al detenuto in regime di arresti domiciliari ad assentarsi dalla sua dimora per svolgere altrove attività lavorativa determina, infatti, soltanto il mutamento del luogo di esecuzione della misura cautelare domestica. Con l'ovvia conseguenza che la violazione dell' obbligo di permanenza nel posto di lavoro “autorizzato” integra il reato di evasione. Ciò tanto più quando si osservi che il B. non ebbe a richiedere alcuna autorizzazione ad assentarsi nella notte tra il 9 e il 10 agosto 2005 dalla panetteria dove avrebbe dovuto lavorare (e dove si era effettivamente portato), né ha fornito alcuna possibile giustificazione del suo allontanamento.
3. Avverso la decisione di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando l'erronea applicazione dell'art. 385 co. 3 c.p, e la carenza della motivazione per travisamento delle emergenze processuali.
Il provvedimenti giudiziario autorizzativo dell'attività di lavoro esterna alla abitazione imponeva al B. l'immediato rientro a casa alla scadenza del previsto orario di assenza. Erroneamente la Corte di Appello ha affermato la responsabilità dell'imputato pur in difetto di qualsiasi dato indiziario che consentisse di ritenere che l'imputato, allontanatosi dal luogo di lavoro, non fosse invece ritornato nella sua dimora. La sentenza di appello introduce nella valutazione della vicenda un elemento estraneo alla fattispecie costituito da un presunto onere di comunicazione del motivo di abbandono del luogo di lavoro gravante sull'imputato, in tal modo confondendo l'autorizzazione all' imputato a recarsi ad un lavoro esterno con l'obbligo di recarvicisi invece di rimanere in casa. La sentenza di appello capovolge l'onere della prova dall' accusa all' imputato, laddove incombeva soltanto sull' accusa l'onere di provare la contemporanea assenza del B. dal luogo di lavoro e dalla sua abitazione.
4. Il ricorso formulato nell'interesse di E .B. va dichiarato inammissibile per infondatezza manifesta delle illustrate e soltanto assertive censure, avulse da una concreta lettura critica delle argomentazioni sviluppate nell'impugnata decisione di secondo grado.
In vero con corretto percorso valutativo la Corte territoriale sarda ha evidenziato l'indifferenza della circostanza, erroneamente valorizzata dalla decisione liberatoria di primo grado della mancata verifica della eventuale e alternativa presenza in casa del B. in luogo del regolare svolgimento dell'attività lavorativa esterna, cui era stato autorizzato dal giudice della cautela domiciliare. Per la semplice ragione che,l' accertato allontanamento è di per sé stesso sufficiente a perfezionare l'ascritto reato di evasione ex art. 385 co. 3 c.p. senza necessità di ulteriori ed ultronei controlli di p.g.
Il comportamento del detenuto (indagato, imputato o condannato) in regime di arresti domiciliari che si allontani dal luogo in cui è autorizzato a svolgere attività lavorativa per un determinato tempo integra, infatti, il reato di evasione, dal momento che la predetta autorizzazione lavorativa non vale a sospendere o, ancor meno, a creare una cesura dello specifico regime custodiale domestico. Essa muta soltanto il luogo specifico in cui il prevenuto è sottoposto agli arresti domiciliari. Luogo che l'interessato non può abbandonare a proprio piacimento, quand' anche per ritornare a casa prima dell' orario di cessazione dell' autorizzata attività di lavoro, ovvero facendo ritorno sul luogo di lavoro (prima della scadenza dell' orario “esterno”), dopo essersene assentato per sua non consentita e non legittima scelta.
L'autorizzazione al lavoro esterno alla abitazione introduce soltanto un diverso dislocamento della sede di svolgimento della misura cautelare (o espiativa) domiciliare, che lascia irnmutato l'obbligo di ininterrotta permanenza del prevenuto nella sede “esterna”, al pari dell' obbligo su di lui gravante in caso di mancanza di autorizzazione ad assentarsi dal domicilio. Con I' evidente effetto, per tanto, che -come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità- l'inosservanza priva di cause esimenti dell' obbligo di stabile presenza nel posto di lavoro autorizzato perfeziona la fattispecie incriminatrice dell' evasione e non la mera trasgressione delle prescrizioni imposte e proprie della misura cautelare in ambiente domiciliare eventualmente sanzionabile ex art. 276 c.p.p. (cfr.: Cass. Sez. 6, 8.2.2005 n. 10082, Cuccu, rv. 231177; Cass. Sez. 6, 18.11.2005 n. 44977, Ruggero, rv. 233507; Cass. Sez. 6, 14.1.2005 n. 3882, P.G. in proc. Diema, IV. 245811).
All' inammissibilità dell' impugnazione segue ope legis la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si giudica equo stabilire in euro 1.000,00 (mille).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Depositata in Cancelleria il 28.03.2012
29-03-2012 00:00
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