Accusata di aver somministrato psicofarmaci alla convivente del marito e al proprio figlio quando doveva andare col padre. La Cass. annulla manca il movente.
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 24.10.2012, n. 41513
Presidente Agrò - Relatore De Amicis
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 30 novembre 2011 - 24 febbraio 2012 la Corte d'appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Chiavari del 1 dicembre 2008, che condannava P.D. alla pena di anni quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile A.S. , per i reati di calunnia (capo D) e lesioni volontarie plurime ed aggravate (capi B) e C), commessi nel corso del (…) e fino al mese di (…) , in danno, rispettivamente, di A.S. , e dei minori Pi.Mi. e G.C.
2. Dalla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale, che al riguardo ha richiamato la decisione intervenuta all'esito della complessa istruttoria dibattimentale svoltasi nel giudizio di primo grado, è emerso, in particolare: a) che il minore Pi.Mi. , i cui genitori erano già separati all'epoca dei fatti, viveva con la madre, A.S. , ed il suo convivente, G.F. , mentre per il fine settimana e le festività si recava presso l'abitazione del genitore non affidatario, Pi.Va. , convivente della P.D. , a sua volta madre del minore G.C. ed ex convivente di G.F. ; b) che, in occasione dei prelevamenti del bambino dall'abitazione materna, per essere condotto, nei fine settimana di affidamento paterno, in quella del padre, Pi.Va. , suo convivente, l'imputata avrebbe ripetutamente somministrato psicofarmaci (del tipo “benzodiazepine”) a Pi.Mi. , procurandogli in diverse occasioni stati di intossicazione con conseguenti malesseri e ricoveri in ospedale pediatrico; c) che in due circostanze, il (…) ed il (…) , sempre in occasione dei prelevamenti del bambino dalla casa materna, avrebbe nascosto nei vestiti e nella cartella scolastica di Mi. delle pastiglie di sostanze appartenenti alla categoria delle “benzodiazepine”; d) che in epoca antecedente e prossima al (…) avrebbe somministrato anche al proprio figlio, G.C. , sostanze psicotrope del medesimo tipo, in coincidenza temporale con le sue visite presso la casa paterna, ossia presso l'abitazione dei conviventi G.F. e A.S. ; e) che attraverso tali condotte, nonché con dichiarazioni rese al Commissariato di P.S. di Chiavari il (…) , ed ulteriori atti meglio specificati nel capo d'imputazione, l'imputata avrebbe indebitamente accusato A.S. dei delitti di maltrattamenti e lesioni volontarie aggravate in danno di Pi.Mi. , nonché del delitto di lesioni ai danni di G.C. , simulando a suo carico le tracce di tali reati.
3. Avverso la predetta sentenza della Corte d'appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione il difensore di P.D. , deducendo i seguenti motivi d'impugnazione:
a) carenza di motivazione, sotto il profilo della mancata risposta alle principali obiezioni ed ai rilievi mossi dalla difesa nel proprio atto di appello su elementi e circostanze decisive ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'imputata (ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.), già nell'atto di appello segnalati con riferimento al primo ed al secondo episodio di malessere di Pi.Mi. , nonché riguardo all'episodio di malessere da intossicazione da farmaci occorso al figlio dell'imputata ed, infine, allo stesso reato di calunnia nei suoi confronti ritenuto sulla base di supporti probatori non sufficienti, poiché qualificabili come mere congetture;
b) erronea applicazione dell'art. 192, comma 2, c.p.p., in tema di valutazione degli indizi a carico ed a discarico, nonché dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (ex art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p.), avuto riguardo alla dubbia valenza probatoria dei vari elementi indiziari considerati a carico dell'imputata nelle pronunce di merito, e, per converso, alla mancata considerazione di una serie di elementi fattuali indicati a suo discarico, oltre che all'assenza di analisi del movente che avrebbe ispirato la condotta dell'imputata ed all'incongruità della scelta, condivisa da entrambe le pronunce di merito, di attribuire maggiore verosimiglianza alle dichiarazioni, spesso de relato, rese dalla A. ;
c) nullità della sentenza siccome viziata da plurimi travisamenti della prova e, dunque, da illogicità risultante dal testo (ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.), in ordine alle buone condizioni di salute del Pi.Mi. , dalla sentenza di secondo grado ritenute sussistenti con riferimento al momento della sua consegna, da parte della madre, alla coppia P. - F. , nonché in ordine al controllo che la maestra elementare avrebbe esercitato sulla cartella del P.M. , ed infine riguardo alla collocazione della cabina telefonica da cui partirono delle telefonate anonime indirizzate all'Avv. T. B., nominata legale di P.D. , con le quali si accusava la A. di aver sottratto delle confezioni di “Tavor” dall'abitazione presso cui svolgeva attività lavorativa quale collaboratrice domestica;
d) violazione o erronea applicazione dell'art. 368 c.p., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., difettando l'elemento psicologico del reato di calunnia e ricorrendo, semmai, solo quello inerente al diverso reato di cui all'art. 367 c.p.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e per gli effetti di seguito esposti e precisati.
5. Occorre osservare, in primo luogo, come dalla lettura dell'impugnata pronunzia non emerga un'analisi approfondita del movente che avrebbe determinato la realizzazione delle gravi azioni delittuose descritte nel tema d'accusa: l'atteggiamento volitivo dell'imputata, connotato dalla finalità di costituire prove contro la “rivale”, viene solo genericamente fondato sull'esistenza di “rapporti conflittuali” tra i due nuclei familiari, senza ricostruirne l'origine, la natura e la concreta incidenza sulla successione temporale dei vari comportamenti delittuosi, in modo da attribuire al complesso degli elementi indiziari il necessario connotato dell'univocità.
Ove si assumesse per certa quell'indicazione ricostruttiva, tutti e due i nuclei familiari, in astratto, avrebbero potuto trovarsi nella materiale possibilità di somministrare farmaci ai minori in occasione della preparazione del cibo o delle bevande, così come entrambe le coppie di conviventi avrebbero potuto fare in modo di occultarne la presenza nei loro indumenti o negli oggetti più diversi dagli stessi quotidianamente utilizzati (ciò, sia con riferimento alla circostanza del rinvenimento di una confezione vuota di “Tavor” nello zaino di G.C. , sia riguardo al denunciato ritrovamento di pastiglie contenenti sostanze del tipo “benzodiazepine” nei vestiti e nella cartella dell'altro minore, Pi.Mi. , ove si consideri, da un lato, che la confezione di “Tavor” - su cui risultava essere stata apposta una scritta da parte dell'imputata - sembra essere rimasta per lungo tempo nella sua disponibilità, prima di essere consegnata agli organi investigativi, e, dall'altro lato, che la maestra elementare, sulla base di quanto riferito nel corso dell'istruttoria dibattimentale, non sembrerebbe aver ispezionato l'interno della cartella del minore, essendosi limitata, semplicemente, a guardarlo con attenzione quando prendeva la merenda).
Si tratta, dunque, di elementi indiziari non connotati dai necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, il cui rilievo, come pure quello assegnato alle diverse telefonate ricevute dal legale della P. , può essere oggetto di differenti letture interpretative, sol che si consideri, con specifico riferimento a tale ultimo episodio, che quel difensore, ascoltato nel dibattimento di primo grado, sembra averne escluso la riferibilità alla voce dell'imputata, e che la circostanza inerente al luogo di provenienza delle chiamate telefoniche (avvenute, secondo la sentenza di appello, “in località non lontana dall'abitazione della P. “) non risulta essere, di per sé, supportata dai necessari connotati di certezza ed univocità di significato probatorio. In tema di valutazione della prova, invero, costituisce un consolidato principio di questa Suprema Corte quello secondo cui la causale in tanto può fungere da fatto catalizzatore e rafforzativo della valenza degli indizi posti a fondamento di un giudizio di responsabilità, in quanto essi, all'esito di un apprezzamento analitico e nel quadro di una valutazione d'insieme, si presentino, anche in virtù della chiave di lettura offerta dal movente, chiari, precisi e convergenti per la loro univoca significazione (Sez. 1, n. 17548 del 20/04/2012, dep. 10/05/2012, Rv. 252889). In un processo indiziano, infatti, la corretta ricostruzione del movente, attribuendo all'insieme degli indizi il connotato della univocità, costituisce un fattore di necessaria coesione degli stessi e, di conseguenza, diventa un elemento utile allo svolgimento del percorso logico diretto a riconoscere valenza probatoria agli ulteriori indizi acquisiti nel corso dell'istruttoria (Sez. 1, n. 685 del 14/12/1995, dep. 22/01/1996, Rv. 203798).
6. È altresì necessario considerare che è lesiva dell'obbligo di motivazione la sentenza d'appello che, in presenza di specifiche ed articolate censure svolte in relazione ad uno o più punti della decisione impugnata, non soddisfi appieno l'esigenza di argomentare criticamente sull'inconsistenza ovvero sulla non pertinenza delle relative doglianze, limitandosi ad operare un adesivo rinvio alle soluzioni adottate dalla decisione di primo grado (Sez. 3, n. 24252 del 13/05/2010, dep. 24/06/2010, Rv. 247287; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, dep. 15/09/2008, Rv. 241188).
Sulla base di tale consolidato quadro di principii, non sembra che l'iter motivazionale dell'impugnata pronuncia abbia offerto congrua ed esaustiva giustificazione dell'esito decisorio, ove si consideri l'insufficiente, ovvero contraddittoria, delineazione di taluni passaggi argomentativi, con particolare riferimento ad alcuni degli episodi di intossicazione da farmaci che coinvolsero i minori Pi.Mi. e G.C. .
In ordine al primo di tali episodi, ossia al malessere che causò il ricovero in ospedale di Pi.Mi. nel marzo del (…), appare insufficiente l'approfondimento circa una possibile spiegazione alternativa del fatto, alla stregua delle emergenze probatorie rappresentate, in particolare, dall'orario di ricovero in ospedale - avvenuto alle ore 21.30 del (omissis) - dalle dichiarazioni rese dalla teste F.S. - che ha riferito in merito alle apparenti buone condizioni del bambino ed al subitaneo manifestarsi del malore, dopo la sua consegna alla P. alle ore 14.30 del (omissis) , tanto da rimettere durante il breve tragitto di percorrenza in autovettura sino alla casa della P. - e dai tempi di manifestazione degli effetti del farmaco, riferiti dal consulente tecnico del P.M., il quale ha dichiarato, tra l'altro, che i dati clinici della documentazione medica fanno ritenere pressoché certo che la somministrazione sia intervenuta poche ore prima del ricovero, che le condizioni del bambino all'atto del ricovero indicavano un alto livello di concentrazione del farmaco nel sangue e che il picco di assorbimento, ossia il valore più elevato del livello plasmatico a seguito della somministrazione, si verifica dopo circa un'ora dall'assunzione del farmaco per via orale.
Entro tale quadro ricostruttivo, del resto, e con particolare riferimento ai tempi di manifestazione del farmaco, la stessa circostanza relativa alla somministrazione di una bevanda calda al bambino, preparata dall'imputata allorquando ella fece ritorno nella sua abitazione, potrebbe essere diversamente interpretata come segno di premura ed attenzione nei suoi confronti, per fronteggiare un malore improvvisamente manifestatosi.
Analoghe carenze motivazionali, frutto di un insufficiente confronto critico con le obiezioni difensive al riguardo formulate in sede di gravame, paiono emergere, peraltro, per quel che attiene all'episodio di intossicazione che ha coinvolto il minore G.C. , ricoverato in ospedale il (omissis) , dopo aver accusato dei malesseri a partire dal 19 novembre di quell'anno, nel corso del fine settimana trascorso a casa del padre, ove si consideri che il minore, nell'arco temporale ricompreso fra le date sopra indicate, risulta aver alternato la sua presenza presso entrambi i nuclei familiari, spostandosi dalla casa materna a quella paterna.
7. S'impone, conseguentemente, l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza, per un nuovo esame sui punti critici sopra evidenziati, che dovrà colmare le su indicate lacune motivazionali, adeguandosi ai su esposti principii di diritto in questa Sede elaborati.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Genova.
Depositata in Cancelleria il 24.10.2012
30-10-2012 17:48
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