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Sentenza

VIOLA LA PRIVACY DELLA MOGLIE APRENDO LA SUA POSTA  Cassazione, sez. V, 29 settembre 2011, n. 35383
VIOLA LA PRIVACY DELLA MOGLIE APRENDO LA SUA POSTA Cassazione, sez. V, 29 settembre 2011, n. 35383
(Pres. Amato – Rel. De Bernardis)
Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 3-6-2009 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 9-5-2008,nei confronti di S.E. , ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 616 c.p. (per sottrazione di corrispondenza inviata dalla Omissis alla moglie,I. M.,corrispondenza prodotta nel giudizio pendente in sede civile innanzi al Tribunale di Napoli). Per tale reato il Giudice monocratico aveva inflitto la pena di Euro 200,00 di multa, oltre al risarcimento del danno a favore della Parte civile.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore. 1 - Con il primo motivo deduceva la violazione di cui all'art. 606 c.p.p.. A riguardo evidenziava che il giudice di appello aveva omesso di valutare le specifiche questioni sottoposte dalla difesa, avendo totalmente fatto richiamo alla motivazione resa dal primo giudice.

Diversamente il ricorrente rilevava che nel primo motivo di appello si era rilevata la mancanza di motivazione su punti essenziali,come l'accertamento del tipo di corrispondenza, se in originale o in fotocopiale se si trattasse di lettera in busta chiusa. Per tali elementi che erano rilevanti ai fini della disposizione di cui all'art. 616 c.p., la motivazione si riteneva dunque carente. Parimenti si riteneva carente la motivazione sul dolo.

2 - Con il secondo motivo deduceva che la Corte aveva valutato erroneamente le risultanze processuali,avendo escluso che fosse applicabile una causa di giustificazione reale o putativa.

A riguardo evidenziava che l'imputato aveva prodotto nel giudizio di separazione una fotocopia della corrispondenza bancaria attestante le condizioni patrimoniali del coniuge,e che nella specie egli aveva un legittimo interesse atteso che si sarebbe dovuta definire la domanda della moglie tendente ad ottenere un assegno di mantenimento.

La difesa rilevava altresì che giurisprudenza di legittimità in casi analoghi aveva escluso la punibilità del fatto (menzionando Cass. Sez. V del 10-7-1997, n. 8838);

3 - Infine rilevava che risultava decorso il termine di prescrizione - pari a sette anni e mezzo-calcolando detto termine dalla data della missiva che era in contestazione(non avendo il primo giudice determinato l'epoca di consumazione del reato). Per tali motivi chiedeva dunque l'annullamento della sentenza impugnata.

Osserva in diritto

La Corte rileva che i motivi di ricorso non sono dotati di fondamento.

Invero, quanto alle deduzioni formulate affermando la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., per mancanza di motivazione su specifiche censure dell'appellante,la difesa evidenzia elementi che si rivelano ininfluenti al fine di affermare la sussistenza delle sottrazione contestata dato che non rileva il tipo di corrispondenza, né la natura, di fotocopia ovvero originale, atteso che anche con la sottrazione di una copia del documento, pur nell'ipotesi che tale atto sia contenuto in una busta aperta, resta violato il bene giuridico tutelato dalla disposizione di cui all'art. 616 CP. D'altra parte resta incensurabile la motivazione per relationem, avendo la Corte evidenziato che le doglianze articolate nei primi due motivi di appello erano una ripetizione di deduzioni difensive già esaminate adeguatamente dal primo giudice,evidenziando anche di condividere pienamente il giudizio di merito. Restano in proposito correttamente richiamate le pronunzie di legittimità che consentono la motivazione per relationem nel provvedimento impugnato. È pur vero che questa Sezione (v. sent. 10-7-1997, Reali, RV. 208613) ha deciso che la "giusta causa" di cui all'art. 616, co. 2 c.p., è affidata al concetto generico di giustiziarne la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve coglierne la sussistenza avendo riguardo - sotto il profilo etico – sociale - ai motivi determinanti la condotta, ritenendo ricorrere la giusta causa in ordine alla rivelazione del contenuto della corrispondenza del coniuge in un giudizio civile di separazione, in fattispecie pertanto analoga a quella oggi sottoposta,in ipotesi assunta come tipica dalla stessa Relazione Ministeriale (II, p. 428).

L'assunto non pare condivisibile, posto che a diverso esito interpretativo conducono talune considerazioni sagacemente evidenziate dalla dottrina che ha affrontato il tema.

- Va rammentato in primo luogo che è tuttora dibattuta la questione riguardante la produzione processuale di documenti ottenuti illecitamente, tramite la lesione di un diritto fondamentale.

- Secondariamente, la giusta causa presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l'unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge controparte.

Né l'imputato ha dedotto elementi di sorta in tal senso.

Può, dunque, ragionevolmente ipotizzarsi, come ha fatto il giudice di merito, che il S. potesse a mezzo del difensore esplicare la propria difesa.

Non va dimenticato, infatti, che a norma dell'art. 210 c.p.c. il Giudice può, ad istanza di parte e nei limiti dell'ispezione ai sensi dell'art. 118 c.p.c. ordinare all'altra parte o ad un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo.

Non pare,dunque, che solo attraverso la rivelazione del contenuto della corrispondenza potesse tutelarsi l'interesse offeso, con la conseguente ravvisabilità della giusta causa scriminante.

E l'accertamento di siffatta condizione appare tanto più doveroso non potendo il Giudice di merito appagarsi dell'intento genericamente non riprovevole del soggetto agente,ove si consideri che i limiti alla segretezza della corrispondenza sono presidiati da duplice riservaci legge e giurisdizionale, ai sensi dell'art. 15 Cost. c. 2.

Di qui l'infondatezza del secondo motivo di ricorso.

Analogamente prive di fondamento si rivelano le deduzioni inerenti alla estinzione del reato, essendo da valutare ai fini della decorrenza del relativo terminerà data della condotta distrattiva della corrispondenza, rilevata in contestazione,né la difesa adduce elementi specifici erroneamente valutati ai fini del computo del termine di prescrizione dal giudice di appello.

Peraltro secondo quanto stabilito in - Cass. Sez. VI del 7-12-1989, n. 17227, Di Barbaro -, "la prescrizione può essere dichiarata dalla Corte di Cassazione se il dato cronologico della consumazione del reato emerga dal tenore della pronunzia o se sia, comunque, rilevabile da una parte della sentenza di sicura e indiscutibile intelligenza".

Si impone pertanto il rigetto del ricorso,con la condanna del ricorrente alle spese processuali,nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile,che questa Corte liquida in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione Sezione Quinta Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile che liquida in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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