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Sentenza

Sacerdote condannato per violenza sessuale in danno di un minore. Arresti domiciliari, ma il Giudice lo autorizza a scrivere lettere e e-mail
Sacerdote condannato per violenza sessuale in danno di un minore. Arresti domiciliari, ma il Giudice lo autorizza a scrivere lettere e e-mail
Corte di Cassazione Sez. Terza Pen. - Sent. del 21.12.2011, n. 47465

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 7 luglio 2011, il Tribunale di Milano, quale giudice del riesame, rigettava l'appello proposto ai sensi dell'articolo 310 C.P.P. nell'interesse di P.D. avverso l'ordinanza con la quale il G.I.P. in sede aveva rigettato la richiesta di consentire al predetto di utilizzare la posta ordinaria per comunicare con parenti ed amici, nonché la posta elettronica al solo fine di comunicare con editori per l'invio di scritti prodotto della sua opera intellettuale e destinati ad essere pubblicali su riviste scientifiche.
Avverso tale provvedimento il P. , sacerdote già condannato in primo grado, a seguito di giudizio abbreviato, per ripetuti atti di violenza sessuale in danno di minore di età inferiore, per un determinato periodo, ai quattordici anni, proponeva ricorso per cassazione.
Premessa una sintesi della vicenda processuale che lo vedeva coinvolto ed attualmente ristretto agli arresti domiciliari presso un monastero di clausura, deduceva, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge, in quanto l'ordinanza impugnata avrebbe introdotto una prospettiva cautelare, indicata nell'esigenza di prevenzione di reati diversi dall'abuso sessuale, mai presa in considerazione nei provvedimenti precedentemente adottati.
La pronuncia veniva censurata, inoltre, sotto il profilo della carenza di motivazione nella parte in cui si prospettava come mera evenienza la possibilità di accesso a materiale pedo-pornografico attraverso l'accesso ad internet senza alcun elemento di concretezza.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva che l'impugnato provvedimento non rispettava il principio del minar sacrificio necessario, recentemente riaffermato dalla Corte Costituzionale, incidendo in modo significativo sulle modalità di concreta applicazione della misura riguardo alle esigenze cautelari da preservare, anche in considerazione del fatto che le accuse mossegli non comprendevano condotte poste in essere mediante l'utilizzazione di contatti epistolari e le considerazioni svolte dai giudici del riesame circa la possibilità che tale forma di comunicazione potesse essere utilizzata per “prepararsi il terreno” in vista di futuri approcci rimanevano nell'ambito delle mere supposizioni.
La preclusione delle comunicazioni con terzi, aggiungeva, determinavano una compressione della libertà non riscontrata neppure durante la sottoposizione al regime carcerario, dove tale forma di corrispondenza mediante lettera era consentita, tanto da averne ripetutamente usufruito.
Con un terzo motivo di ricorso rilevava che le modalità di attuazione della misura cautelare determinavano, quale ulteriore conseguenza, una evidente violazione del diritto di manifestazione del pensiero.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
Occorre preliminarmente osservare che adeguatamente il ricorrente ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte rivendicando la correttezza della procedura seguita per l'impugnazione del provvedimento con il quale il G.I.P. gli ha inibito la corrispondenza.
Deve infatti condividersi il principio, già affermato, secondo il quale si è ritenuto ammissibile l'appello avverso il provvedimento con il cui il G.I.P. rigetta l'istanza di revoca del divieto di comunicare con terzi di cui all'articolo 284 C.P.P., trattandosi non di mera modalità accessoria, ma di misura che incide gravemente sulla afflittività della misura cautelare principale (Sez. VI n.21296, 21 maggio 2009).
Ciò posto, deve rilevarsi che l'impugnato provvedimento, nell'accogliere solo parzialmente l'appello, ha ritenuto l'incompatibilità con le esigenze cautelari poste a sostegno della misura applicata di ogni forma di comunicazione mediante lettera e posta elettronica diversa da quella, unicamente epistolare, con i fratelli dell'imputato.
Le ragioni di tale limitazione vengono individuate, sostanzialmente: nel rilevante pericolo di recidiva rappresentato nella precedente ordinanza pronunciata ai sensi dell'articolo 309 C.P.P. il cui contenuto veniva in parte testualmente riprodotto; dalle modalità di approccio con la vittima che risultavano poste in essere anche nei confronti di altri soggetti e che la possibilità di contatti epistolari avrebbe potuto agevolare, specie attraverso l'uso di Internet, peraltro consentendo la commissione di altri reati della stessa specie, stante la possibilità di accesso a materiale pedo-pornografico.
Escludendo la possibilità di una preventivo monitoraggio della corrispondenza da parte dei monaci ospitanti ed evidenziando come la mancanza di un seppur minimo segno di ravvedimento inducevano a ritenere che di eventuali possibilità di comunicazione con l'esterno il ricorrente avrebbe certamente approfittato, il mantenimento della restrizione imposta veniva ritenuto indispensabile.
I giudici del riesame hanno dunque indicato compiutamente l'iter logico e giuridico seguito per pervenire alla decisione impugnata e, nel far ciò, hanno anche dato atto delle deduzioni difensive tenendone conto nella complessiva valutazione.
La motivazione risulta però carente laddove prende in considerazione dati fattuali opportunamente valutati ai fini dell'applicazione della misura e indubbiamente sintomatici di una condotta estremamente grave e reiterata nel tempo, espressione di una spiccata capacità criminale, per prospettare la indispensabilità delle misure limitative adottate.
In altre parole, gli elementi valorizzati, che agevolmente evidenziano un quadro indiziario decisamente preoccupante, non mantengono la medesima efficacia se riferiti al divieto di corrispondenza.
Che il ricorrente sia soggetto estremamente pericoloso, aduso ad utilizzare modalità insidiose negli approcci con persone dello stesso sesso con le quali intratteneva rapporti sessuali è dato sicuramente dimostrato dai contenuti del provvedimento impugnato, ma altrettanta certezza non può dirsi sussistente con riferimento al divieto di comunicazione, rispetto al quale i medesimi dati paiono consentire la formulazione di mere ipotesi.
Tale aspetto assume peraltro maggiore rilevanza laddove si consideri che la richiesta formulata dal ricorrente, secondo quanto indicato in ricorso, riguardava la comunicazione tramite posta ordinaria con parenti ed amici e quella a mezzo posta elettronica esclusivamente per corrispondere con gli editori per la ricezione e trasmissione di scritti e, pertanto, senza alcun accesso indiscriminato ad Internet e con contatti limitati esclusivamente a determinati soggetti.
Se, dunque, l'esigenza sottesa al divieto è quella di impedire al ricorrente la commissione di altri reati della medesima specie di quelli oggetto dell'imputazione, non consentendogli contatti con possibili vittime di abuso o l'accesso a materiale pedo-pornografico, tale esigenza ben avrebbe potuto essere salvaguardata individuando specifiche modalità applicative del divieto comportanti una minor compressione della possibilità di comunicazione della quale peraltro, come evidenziato in ricorso, il ricorrente aveva già beneficiato quando era sottoposto alla più grave misura della detenzione in carcere.
Non spiega il provvedimento impugnato per quali ragioni la ricezione del materiale editoriale non potrebbe essere assicurata con altri mezzi, ad esempio senza accesso diretto ad Internet ed alla posta elettronica da parte del prevenuto e mediante invio dei testi a terzi, che potrebbero poi inoltrarli su supporto magnetico e la corrispondenza epistolare con parenti ed amici limitata a soggetti preventivamente individuati, come peraltro già avvenuto con i fratelli dell'imputato.
Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Milano.

 

Depositata in Cancelleria il 21.12.2011
Avv. Antonino Sugamele

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