Prezzi dei farmaci gonfiati dalla metà degli anni ‘80. Corte di Cassazione Sez. Terza Pen- Sent. del 01.08.2011, n. 30388.
Corte di Cassazione Sez. Terza Pen- Sent. del 01.08.2011, n. 30388
Considerato in fatto e in diritto
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Firenze, in funzione del giudice del riesame ha confermato il decreto di sequestro preventivo di beni mobili per un valore corrispondente alla somma di € 1.212.035.804,00 emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 24.11.2010 nei confronti di A. A. S., indagato, tra l'altro, del reato di cui agli artt. 640 comma secondo, e 61 n. 7 c.p., per il quale è stata emessa la misura cautelare ai sensi dell'art. 640 quater in relazione all'art. 322 ter c.p.
Le indagini che hanno portato all'emissione del provvedimento di sequestro vedono coinvolte quattordici persone per associazione per delinquere e vari reati fine, nonché le società facenti parte del Gruppo Farmaceutico M. con sede in Firenze. Secondo le ipotesi dell'accusa A. A., presidente del C.d.A. della società A. M. S.r.l., che si era obbligata nel 1983, con contratto avente corso di validità fino all'1. 1.2008, ad acquistare farmaci ed i principi attivi per la loro produzione dalla società proprietaria del brevetto, E. S. AND SONS. INC., avrebbe interposto società di diritto straniero, reputate fittizie (letterbox companies), per l'acquisito dei predetti principi attivi allo scopo di gonfiare i costi dichiarati, in tal modo procurando illegittimi risparmi di imposta alle società del Gruppo (tramite la deduzione dei costi gonfiati), la realizzazione di profitti non tassati (pari alle differenze tra quanto pagato alle società interposte e quanto da queste ultime effettivamente corrisposto alle società produttrici), l'artificioso incremento del prezzo dei farmaci con conseguente danno per il Servizio Sanitario Nazionale, da cui l'ipotesi di reato di truffa aggravata, nonché altre violazioni di legge.
Le indagini avevano tratto origine da un'ipotesi di ricettazione ad ampissimo raggio, connessa ad una serie di violazioni fiscali, e, sempre secondo l'ipotesi dell'accusa, i proventi dei reati sarebbero rimasti occultati nei cosiddetti paradisi fiscali e reintrodotti in Italia mediante “dichiarazioni
riservate di rimpatrio” per l'importo di € 1.092.520.782,00 (cosiddetto scudo fiscale di cui alla L 23.1 1.2001 n. 409).
E' opportuno ancora precisare che i fatti oggetto di indagine, che avrebbero avuto inizio a decorrere dall'ottobre 1983, sarebbero stati ancora in corso fino ad epoca prossima a quella di emissione della misura cautelare.
L'ordinanza ha respinto le deduzioni difensive in ordine alla illegittimità del sequestro, nonché la subordinata richiesta di riduzione dell'importo sequestrato per equivalente, fondate sul rilievo che i fatti oggetto di indagine, con specifico riferimento al reato di truffa aggravata, dovevano ritenersi
per la maggior parte prescritti con la conseguente inapplicabilità della misura cautelare finalizzata alla confisca. Era stata inoltre, in ogni caso, dedotta la inapplicabilità della confisca per equivalente ai reati commessi anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 640 quater c.p., L. 29 settembre 2000 n. 300, nonché l'esuberanza della somma sequestrata per equivalente rispetto all'importo del profitto riconducibile al solo reato di truffa aggravata; reato e profitti di cui peraltro, veniva contestata la sussistenza.
In punto di diritto l'ordinanza ha osservato che l'ipotesi di truffa aggravata oggetto di indagine deve essere configurata come reato a consumazione prolungata con la conseguenza che il momento consumativo del reato deve essere individuato in quello in cui sono venuti a cessare i pagamenti, anche se l'origine del rapporto è da ricondurre ad un artificio o raggiro posto in essere molto tempo prima. Pertanto, deve ritenersi applicabile il sequestro per equivalente anche ad ipotesi di reato antecedente all'entrata in vigore della L. n. 300/2001, ma la cui consumazione si sia protratta successivamente.
Nel merito, poi, è stato affermato che l'introduzione, nel 1994, del cosiddetto prezzo unico europeo dei farmaci non poteva considerarsi ostativa alla commissione del reato, così come dedotto dalla difesa dell'A., e che la somma sequestrata poteva ritenersi corrispondente all'illecito profitto del reato, disattendendo sul punto le deduzioni della difesa secondo le quali l'ammontare finale del profitto del reato di truffa, in base alla stessa consulenza del P.M., doveva quantificarsi in € 301.000.000,00 ovvero in € 64.714.727,00 per il periodo dal 2000 al 2003.
Avverso l'ordinanza hanno proposto ricorso i difensori dell'indagato, che la denunciano per violazione di legge.
Con il primo mezzo di annullamento, denunciando la violazione degli art. 321, comma 2 bis, c.p.p., 640 quater e 322 ter c.p., si deduce l'inesistenza di un qualsivoglia rapporto di pertinenza tra il valore dei beni sequestrati ed il presunto profitto del reato.
Si deduce, in sintesi, che non vi è alcuna correlazione tra il valore complessivo dei beni dei quali è stato disposto il sequestro per equivalente ed il profitto del reato di truffi aggravata. La pubblica accusa ed il G.I.P. hanno fatto coincidere il valore dei beni oggetto di sequestro sostanzialmente con l'importo per il quale l'A. si era avvalso dello scudo fiscale. Tale importo, però, secondo la stessa ipotesi accusatoria, costituiva il provento delle violazioni fiscali ascritte all'imputato e non del reato di truffa. Si ribadisce che secondo lo stesso c.t. del P.M., dr. P., il profitto del reato di truffa doveva essere quantificato in € 301.000.000, in base ad un calcolo, che, però, forma anche oggetto di ulteriore critica da parte della difesa del ricorrente.
In punto di diritto si cita, infine, la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la confisca per equivalente ed il sequestro che lo precede non possono avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato con la conseguente necessità di una precisa valutazione sul punto.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione degli art. 321, comma 2, c.p.p., 322 ter c.p., 1, comma 143, della L. n. 244/2007, 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione dei Diritti dell'Uomo; la illegittimità del decreto nella parte in cui non specifica i beni da sottoporre a sequestro preventivo; l'illegittimità dell'ordinanza per violazione del principio di proporzionalità. In sintesi, si deduce che la mancata individuazione dei beni da sottoporre a sequestro da parte del giudice che ha emesso il provvedimento, mancata individuazione che lo rende illegittimo, ha consentito al P.M. ed agli organi di polizia giudiziaria di sottoporre alla misura beni di valore di gran lunga eccedente l'importo per il quale sarebbe consentita la confisca per equivalente ed, in ogni caso, il profitto del reato di truffa, con la conseguente violazione del principio di proporzionalità tra il provvedimento privativo della proprietà ed il fine pubblico perseguito imposto dal citato art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione dei diritti dell'Uomo.
Con il terzo mezzo di annullamento, denunciando la violazione artt. 322 e 640 quater c.p. 3 e 16 della L. 29 settembre 2000 n. 300, si deduce la irretroattività delle norme che disciplinano il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Si osserva che la irretroattività della norma, che ha introdotto la possibilità di disporre la confisca per equivalente in relazione al reato di cui all'art. 640, comma secondo, c.p. è espressamente stabilita dall'art. 15 della L n. 300/2000 e, in ogni caso, è conseguenza del carattere eminentemente sanzionatorio dell'istituto, come affermato dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, e, per l'effetto, delle norme penalistiche sulla irretroattività delle misure afflittive, nonché secondo il principio di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione.
Nel prosieguo del motivo di gravame si osserva, mediante l'esame della giurisprudenza di questa Corte in materia, che l'ipotesi di truffa aggravata di cui alla contestazione, in cui è menzionato anche l'art. 81 c.p., non è riconducibile alla fattispecie del reato a consumazione prolungata, ma a quella del reato continuato, e che, anche ipotizzandosi la fattispecie del reato di truffa a consumazione prolungata, secondo l'elaborazione giurisprudenziale in materia, la confisca per equivalente è, in ogni caso, applicabile alle sole somme ed al conseguente profitto percepiti dopo l'entrata in vigore dell'art. 640 quater c.p.; profitto il cui importo, secondo le risultanze della stessa consulenza del P.M., che si contestano per eccesso, viene quantificato in € 64.714.727 o in € 80.435.891. Sul punto si deduce anche che secondo la predetta consulenza le disponibilità estere del ricorrente, che hanno formato oggetto di scudo fiscale, si sono formate nel corso di numerosi anni, a partire dall'inizio degli anni 80, e, pertanto, non possono essere sottoposte ad una misura sanzionatoria entrata in vigore successivamente alla loro formazione.
Con l'ultimo mezzo di annullamento, denunciando violazione degli art. 8, 157 e 158 c.p., si deduce la intervenuta prescrizione del reato posto a fondamento della misura cautelare con la conseguente illegittimità della stessa.
Con il mezzo di annullamento vengono sottoposti ad analitica critica i metodi di calcolo e le conclusioni cui è pervenuta la consulenza del dr. P. in tema di determinazione del prezzo dei farmaci prodotti dalla M. nel corso del tempo, pervenendo alla conclusione che la cosiddetta gonfiatura dei prezzi si è, in ogni caso, gradualmente assottigliata a seguito dell'introduzione, nel 1994, del Prezzo Medio Europeo dei farmaci per esaurirsi del tutto quanto meno dall'1 gennaio 2003, data di entrata in vigore del nuovo Prontuario, con la conseguente illegittimità della misura cautelare disposta per un reato già estinto per prescrizione.
Con memoria depositata il 13.7.2011 la difesa del ricorrente ha reso noto che il PM a seguito dell'accordo intervenuto tra l'A. e l'Agenzia delle Entrate per la definizione delle contestazioni di natura fiscale mediante il versamento della somma di € 323.416.626,37 ha disposto il
dissequestro dei beni sottoposti alla misura cautelare per un valore corrispondente a detta somma. Nel prosieguo, con la prospettazione di motivi aggiunti correlati a quelli già proposti con il ricorso, nella sostanza si ribadiscono le censure in ordine alla carenza di motivazionedella ordinanza sul punto della qualificazione della somma sequestrata quale profitto del delitto di truffa, piuttosto che di altre ipotesi criminose per le quali non sarebbe stato possibile disporre il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Sul punto si deduce che, secondo la descrizione del meccanismo illecito ipotizzato dalla pubblica accusa contenuta nell'imputazione, le somme accumulate all'estero e reintrodotte in Italia grazie allo scudo fiscale dovrebbero costituire il provento delle frodi fiscali, mentre il profitto della truffa era destinato a restare in Italia, sicché tale profitto è stato erroneamente identificato con l'intero patrimonio detenuto all'estero dall'indagato e non si è proceduto alla corretta quantificazione del suo ammontare. Si ribadiscono poi le deduzioni in ordine alla inapplicabilità retroattiva delle disposizioni in materia di confisca per equivalente in relazione al reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, per le somme percepite prima dell'entrata in vigore della legge, anche nell'ipotesi in cui detta fattispecie si configuri quale reato a consumazione prolungata. Si ribadiscono, infine, con riferimento alla intervenuta prescrizione dei reati, le deduzioni, con le quali si era affermato che il reato di truffa aggravata non era più configurabile a seguito dell'introduzione del prezzo medio europeo dei farmaci e le censure alla consulenza del P.M.
Il ricorso è fondato.
Principio di diritto cardine, su cui si fonda il provvedimento impugnato, per giustificare la applicazione del sequestro per un valore corrispondente al profitto del reato di truffa aggravata a decorrere dalla fase iniziale dell'attività illecita, è l'inquadramento dell'ipotesi criminosa ascritta all'indagato nella fattispecie del reato a consumazione prolungata.
Osserva, quindi, il Collegio che detta fattispecie è stata configurata dalla giurisprudenza di questa Corte per ricondurre le condotte successivamente poste in essere dall'imputato, che si concretano nella mera percezione di importi corrisposti in forma rateizzata dalla pubblica amministrazione o da altri soggetti, all'ipotesi tipica del reato di truffa.
E' stato, infatti, osservato sul punto che il soggetto palesa fin dall'inizio la volontà di realizzare un evento destinato a durare nel tempo. “Ne discende che il momento consumativo coincide con la cessazione dei pagamenti che segna anche la fine dell ‘aggravamento del danno” (sez. lI, 20.12.2005 n. 3615 del 2006, Jolly Mediterraneo S.r.l.).
E' stato anche osservato in via alternativa che, all'atto della percezione indebita delle rate di volta in volta erogate dalla pubblica anuninistrazione, “l'agente reitera la condotta truffaldina in tutte le sue componenti, incluso l ‘artificio o raggiro impliciti nello sfruttare lo stato di ingannevole
rappresentazione della realtà in cui tuttora versi il soggetto passivo. (v. Sent. cit.).
La fattispecie del reato a consumazione prolungata è stata, pertanto, configurata esclusivamente con riferimento all'ipotesi della erogazione di contributi, finanziamenti ed altro, in forma rateale da parte della pubblica amministrazione, che trovino il loro fondamento in un unico provvedimento di concessione di erogazioni pubbliche, di cui all'ipotesi del reato previsto dall' art. 640 bis c.p. (sez. lI, 24.4.2007 n. 26256, Cornello ed altri, RV 237299; Sez. II 9.7.2010 n. 2883 Battaglia ed altri, RV 247671), ovvero, con riferimento all”ipotesi della truffa ex art. 640 c.p., allorché l'ingiusto profitto con altrui danno, destinato a prolungarsi o reiterarsi nel tempo, trovi la propria fonte in un unico fatto genetico (sez. 11, 15.102009 n. 43347, Casagli ed altri, RV 245598). Orbene, l'inquadramento dell'ipotesi di truffa aggravata ascritta all'imputato nella fattispecie del reato a consumazione prolungata, così come delineata dalla giurisprudenza di questa Corte, non appare ictu oculi coerente con la formulazione dell'imputazione a carico dell'A. relativa al reato di cui agli art. 110, 81 cpv., 640, comma secondo, 61 n. 7 c.p. (capo b), contenuta nella richiesta di sequestro, nella quale si fa menzione di una pluralità di condotte, realizzate in tempi diversi, per far risultare documentahnente al Comitato Interministeriale Prezzi - Commissione Prezzi Farmaci, nonché al Ministero della Sanità costi maggiori per l'acquisto delle materie prime necessarie per la produzione di determinati farmaci rispetto a quelli effettivamente sostenuti.
Né l'ordinanza, nel disattendere l'eccezione di prescrizione formulata dall'istante per il riesame, a fronte del contrasto tra i termini in cui appare formulata l'imputazione, nella quale sembra ipotizzarsi la reiterazione nel corso del tempo di condotte finalizzate alla fraudolenta determinazione del prezzo dei farmaci, e la figura del reato a consumazione prolungata, chiarisce le ragioni per le quali la truffa aggravata di cui alla contestazione debba qualificarsi a consumazione prolungata, rendendosi all'uopo necessaria la dettagliata analisi ed illustrazione dei meccanismi attraverso i quali nel corso degli anni si sarebbe verificato un ingiusto profitto dell'imputato in danno della pubblica amministrazione, da ricondursi ad un unico originario rapporto genetico delle successive erogazioni.
Osserva inoltre il Collegio che, anche nell'ipotesi di reato a consumazione prolungata, la giurisprudenza di questa Corte, non contrastata da decisioni di segno opposto, ha escluso che la confisca per equivalente sia applicabile con riferimento a somme che siano state percepite anteriormente all'entrata in vigore delle norme che la consentono (sez. Il, 14.6.2006 n. 31988, Chetta, RV 235357; sez. 11, 21.12.2006 n. 316 del 2007, Spera ed altri, RV 235363; sez. li, 21.5.2008 n. 25910, Comensoli, RV 240623).
Questa Corte non ravvisa ragioni per discostarsi dal citato principio di diritto, osservando che lo stesso costituisce puntuale applicazione del disposto dell'art. 15 della medesima legge 29.9.2000 n. 300, che ha introdotto l'art. 640 quater c.p., e dei generali principi di diritto vigenti in materia penale, essendo stato già reiteratamente e definitivamente affermato che la confisca per equivalente ha natura sanzionatoria e non di misura di sicurezza patrimoniale - (Sez. Un. 25.l0.2005 n. 41936, Muci; sez. II, 12.12.2006 n. 3629 del 2007, Ideal Standard Italia srl, rv 235814; sez. III 24.9.2008 39173, P.M. in proc. Tiraboschi, RV 241034; Corte Costituzionale, Ordinanza n. 331 20.112009).
La inapplicabilità retroattiva delle disposizioni che prevedono la confisca per equivalente, preclude ovviamente la possibilità di disporre il sequestro di beni di reato conseguito anteriormente all'entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge citata. Costituisce, infine, consolidato principio di diritto, reiteratamente affermato da questa Suprema Corte che la confisca per equivalente, e così anche il sequestro, non possono avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice di merito deve individuare l'effettivo profitto del reato e, quindi, procedere, anche in sede di sequestro, alla valutazione della equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto (sez. V, 9.10.2009 n. 2101 del 2010, Sortino e altro, RV 245727; sez. VI, 17.3.2009 n. 26176, Paggiaro, RV 244522; sez. VI, 23.11.2010 n. 45504, Marini, RV 248956).
Orbene, l'ordinanza non contiene alcuna indicazione in ordine ai criteri in base ai quali è stato quantificato il profitto del reato di truffa aggravata, né il riferimento a specifiche risultanze delle indagini, malgrado le puntuali contestazioni dell'istante per il riesame e pur riferendosi il capo di imputazione ad una pluralità di fattispecie illecite.
Le questioni esaminate appaiono assorbenti delle ulteriori deduzioni del ricorrente, che peraltro attengono alla valutazione di merito delle risultanze probatorie.
L'ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo giudizio che riesamini il provvedimento di sequestro e le deduzioni dei ricorrenti alla luce degli esposti principi di diritto.
P.Q.M.
La Corte annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze.
Depositata in Cancelleria il 01.08.2011
04-08-2011 00:00
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