Posa per il fotografo nuda e atteggiamenti disinibiti. Violenza sessuale ma di minore gravità
Posa per il fotografo nuda e atteggiamenti disinibiti. Violenza sessuale ma di minore gravità
Corte di Cassazione Sez. Terza Pen. - Sent. del 19.10.2011, n. 37752
Motivi della decisione
In parziale riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza 7 ottobre 2010, ha ritenuto B. M. responsabile del reato previsto dall'art. 609 bis c.p. e, ritenuta la ipotesi della minore gravità, lo ha condannato alla pena di anni due di reclusione.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici, si sono basati sulle dichiarazioni della parte lesa, S. S., che aveva denunciato condotte abusive dell'attuale imputato fotografo di una agenzia di provini finalizzati allo inserimento di giovani aspiranti nel mondo dello spettacolo e della pubblicità. La donna ha dichiarato di essersi recata, disposta a posare nuda, nello studio del B. e, a richiesta di costui si era masturbata per una migliore resa emotiva delle immagini fotografiche ad un certo momento, repentinamente l'imputato le aveva infilato un dito in vagina e chiesto prestazioni sessuali che aveva in parte praticato in uno stato di confusione ed incapace di reagire come indifesa nei confronti della condotta dell'imputato.
Costui non ha negato gli atti sessuali con la donna, ma ha precisato che vi fosse il consenso di entrambi.
In tale contesto, i Giudici hanno ritenuto attendibile e credibile il racconto accusatorio della S. evidenziando che la donna, per il miraggio del mondo dello spettacolo, era disponibile alla cosciente partecipazione a condotte disinibite, ma “fino ad un certo punto” e non era consenziente agli approcci sessuali.
La Corte ha reputato plausibile che la inaspettata situazione avesse causato nella donna una transitoria debolezza psicologica che la rendeva manipolabile da parte dell' imputato che, in posizione dominante, l'ha indotta a prestazioni sessuali non volute.
Lo stato di turbamento interiore e di inibizione ad agire spiega - a parere della Corte - le circostanze che la donna non si sia allontanata quando l'imputato è andato a rispondere al citofono ed al telefono e non abbia chiesto aiuto al fidanzato che l'attendeva in strada.
I Giudici hanno osservato che la mancanza di lesioni fosse compatibile con lo svolgesi dei fatti narrato dalla parte lesa ed hanno disatteso la prospettazione difensiva di un racconto calunnioso.
A corroborare le accuse della donna, vi era la testimonianza di tale B., già collaboratore del B. (che ha riferito di spregiudicare richieste sessuali dell'imputato alle clienti) del fidanzato che ha notato la ragazza turbata dopo i fatti in esame.
Per l'annullamento della sentenza, il Procuratore Generale ha proposto ricorso per Cassazione deducendo come nella fattispecie concreta non fosse concedibile l'attenuante della minore gravità.
Anche l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione sulla ritenuta credibilità della S., in particolare, rilevando:
- non vi è stata violenza fisica né alcuna coartazione di tipo ambientale o psicologico: la situazione oggettiva - le condizioni di tempo, luogo, persone - non potevano intimorire la donna (tenuto conto che sotto la finestra del locale ove si sono svolti i fatti, sito era al piano terreno, vi era il fidanzato della S. pronto ad intervenire);
- la descrizione della violenza fornita dalla parte lesa - tra l'altro non sempre omogenea, ma arricchita nel tempo - non trova riscontro nei certificati medici ed è incoerente;
- che la donna era consenziente ai rapporti intimi o, comunque, non aveva opposto un chiaro dissenso;
- che era sostenibile il motivo calunnioso a fondamento della querela dal momento che l'imputato, mal giudicando le foto scattate, aveva disilluso le aspettative di carriera della S.;
- che le emergenze processuali dimostrano come sia stato il fidanzato ad indurre nella donna il convincimento di essere stata molestata sessualmente;
- che era necessaria la rinnovazione del dibattimento per sottoporre ad analisi scientifiche le dichiarazioni della S.;
- che il B. era stato licenziato ed aveva motivi di rancore nei suoi confronti;
- che, con argomentazione non congrua, sono state negate le attenuanti generiche.
Nei motivi aggiunti, l'imputato rileva che le cesure del ricorso in Cassazione del Procuratore Generale sono carenti di specificità.
È appena il caso di ricordare come non sia compito di questa Corte effettuare una nuova valutazione del coacervo probatorio e della attendibilità dei testimoni, ma solo verificare se la conclusione dei Giudici di merito su tali temi sia sorretta da motivazione non mancante o non manifestamente illogica.
In esito a questa circoscritta disamina, la Corte rileva che la sentenza impugnata non presenta vizi motivazionali, deducibili nel giudizio di legittimità, sulla affidabilità del racconto accusatorio della parte lesa per quanto concerne la sua non disponibilità agli atti sessuali.
Per la ricostruzione storica dei fatti posti alla base del processo, i Giudici si sono trovati nella situazione, comune in materia di reati sessuali, di doversi confrontare con le sole dichiarazioni dei protagonisti della vicenda; la donna, che asseriva di avere subito atti erotici intrusivi non accettati, e l'imputato che sosteneva che tali atti erano consenzienti.
In questo contesto, le dichiarazioni della donna dovevano essere sottoposte ad un rigoroso esame critico che non è mancato nella impugnata sentenza.
L'assunto difensivo su di un uso strumentale e calunnioso della giustizia penale è stata presa nella dovuta considerazione dai Giudici, confutata e disattesa con congruo iter argomentativo che non può essere messo in discussione in questa sede.
Per quanto concerne la tesi fondamentale della difesa, incentrata sul consenso della donna, la Corte territoriale ha evidenziato che la S. era disponibile a posare nuda per foto spinte e ad atteggiamenti disinibiti per rendere realistiche le immagini, ma non a spingersi oltre in comportamenti sessuali; questo convincimento è reso plausibile dalla circostanza che la ragazza aveva accettato la presenza del fidanzato sotto la finestra dello studio per proteggerla da eventuali avances all'evidenza non volute, del fotografo.
L'imputato, invece, si è comportato nello errato ed immotivato convincimento che la donna, accettando di posare nuda, fosse anche disponibile a rapporti sessuali. In questo fraintendimento, ha posto in essere il primo atto che deve essere inquadrato nella categoria della c.d. violenza impropria in quanto, per la sua repentinità, ha sorpreso la vittima impedendole di manifestare il suo dissenso ed inibendole ogni fattiva reazione (ex plurimis: Cass. Sez.3 , 6 febbraio 2006, Giuliani).
Il comportamento successivo della donna è più difficilmente spiegabile dal momento che era edotta che la situazione in cui si era messa era a rischio (tanto è vero che il fidanzato l'aveva avvertita e la controllava) e non vi è stata alcuna coartazione fisica; di conseguenza, la S. non avrebbe dovuto essere sorpresa fino allo annichilimento di ogni reazione possibile (quale quella di allontanarsi dal luogo o chiedere aiuto).
Tuttavia, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, le reazioni di fronte a situazioni di pericolo sono mutevoli e soggettive e lo stato di turbamento interiore può portare alla inibizione ad agire oppure ad essere manipolabili dall'agressore; sotto questo profilo, i Giudici di merito hanno reputato spiegabile la accettazione degli atti sessuali dopo il primo.
La motivazione sul tema non è carente (perché ad essa è dedicata buona parte della articolata sentenza) ed è plausibile (in quanto il meccanismo psicologico di blocco reattivo è riscontrabile) e, di conseguenza, non inficiata da manifesta illogicità.
Una volta dato per accertato che la S. sia veritiera quando asserisce di non essere stata disponibile ad atti sessuali, il problema di sposta nel verificare se si sia comportata in sintonia con la sua intima volontà ed abbia reso palese il suo dissenso e la sua “transitoria debolezza psicologica” (così è definito lo stato d'animo della giovane nella impugnata sentenza) all'imputato.
Questa area tematica non è stata approfondita dalla Corte territoriale.
La prospettazione del ricorrente, il quale sostiene di avere agito nella ragionevole convinzione del presunto consenso della donna, non è accettabile per il primo atto sessuale posto in essere con modalità insidiosa senza dar modo alla vittima di estrinsecare la sua indisponibilità; l'assunto è sostenibile per i residui atti sessuali in quanto il comportamento della S. che non è stata solo passiva, ma ha partecipato agli atti sessuali fino a masturbare l'imputato poteva essere equivocato e valutato come assenso.
Questa precisazione, con conseguente limitazione della condotta punibile (unita alla considerazione della Corte di Appello sulla non grave “vitttimizzazione sessuale” della parte lesa), giustifica la concessione della speciale attenuante dell'art. 609 bis ultimo comma c.p.
Sul punto, il ricorso del Procuratore Generale (che non presenta il carattere dell'aspeciflcità segnalato dal ricorrente) deve essere disatteso perché si fonda sul presupposto, non vero, che le modalità dell'azione dell'imputato, oltre che ad essere subdole, fossero anche violente.
Relativamente al regime sanzionatorio, la Corte ha giustificato il mancato esercizio del suo potere discrezionale sulla concessione della attenuanti generiche con motivazione congrua, completa, corretta; sul tema, l'imputato non segnala elementi a suo favore diversi da quelli cha hanno consentito l'applicabilità della fattispecie dell'art. 609 bis ultimo comma c.p..
Le residue censure dell'atto di ricorso erano già state sottoposte al vaglio della Corte territoriale e confutare con esaustiva motivazione; i relativi motivi di ricorso si risolvono nella richiesta, inammissibile in sede di legittimità, di una rinnovata ponderazione delle prove alternativa a quella correttamente effettuata dai Giudici di merito.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 19.10.2011
22-10-2011 00:00
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