Materiale pedopornografico condiviso in chat. Non c’è concorso tra detenzione e cessione
Materiale pedopornografico condiviso in chat. Non c'è concorso tra detenzione e cessione
Corte di Cassazione Sez. Terza Pen. - Sent. del 03.10.2011, n. 35696
Ritenuto in fatto
La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 22 febbraio 2010, ha confermato la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato dal G.I.P. presso il Tribunale di Firenze il 26 febbraio 2008, che aveva condannato P.R. alla pena di un anno di reclusione e 1800 Euro di multa, per i reati di cui all'art. 600 ter, c. 4. (così derubricato il capo a), 600 quater c.p. ed unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, commessi in Sesto fiorentino sino al 26 ottobre 2005. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il proprio difensore, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
1. Inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 600 ter c. 4 c.p. e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte cui è stata ritenuta corretta la riqualificazione dei fatti contestati al capo a) dell'imputazione, ed è stata ritenuta raggiunta la prova della consumazione del reato di cui all'art. 600 ter c. 4 c.p., ritenendo che la conversazione per via telematica (c.d.”in chat”) intercorsa tra l'utente con username (…) e il suo interlocutore, avrebbe consentito ai due di condividere materiale avente ad oggetto contenuto pedopornografico, mentre la norma richiamata prevede solo la condotta di offerta e cessione reciproche. Nel caso di specie l'invio di materiale ritenuto a carattere pedopornografico, era invece avvenuto unidirezionalmente da parte del computer dell'interlocutore a quello del ricorrente, cessionario delle immagini, di fatti non esisteva prova di invio di files da parte del ricorrente stesso.
2. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 600 quater c.p. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione: nella sentenza impugnata non sarebbe stata data risposta al terzo motivo di appello con il quale si poneva in evidenza la mancanza di prova dei fatti.
3. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 350 c. 5, 6, 7; 191; 442 c.p.p.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, nella parte in cui non è stata ritenuta, ex art. 350 c. 6 c.p.p., l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato nell'immediatezza dei fatti in assenza del difensore e riversate nell'annotazione di P.G., in quanto l'individuazione del ricorrente è stata effettuata solo su tale base.
4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale penale e violazione ed erronea applicazione degli artt. 592 e 605 c.p.p., in quanto la Corte di appello, pur ritenendo errata da parte del Giudice di primo grado l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua prevista dall'art. 600 septies comma 2 c.p. come risulta dalla parte motiva della sentenza, non ne ha fatto cenno nel dispositivo della sentenza. Tale pena accessoria è stata introdotta dall'art. 5 Legge 6.2.2006 n. 38, e quindi in epoca successiva alla commissione dei reati contestati.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, non è infatti possibile ritenere, come asserito dal ricorrente, che la “condivisione di files”, attuata nel caso di specie tramite chat, sia esclusa dalla fattispecie tipizzata al comma 4 dell'art. 600 ter c.p., che incrimina l'offerta o la cessione gratuita di materiale pedopornografico. In molte pronunce l'elemento della divulgazione via internet attraverso programmi di files sharing, è stato proprio individuato in diversità con la situazione di scambio in un semplice rapporto “a due” (cfr. sez. 3, Sentenza n. 24788 del 5 febbraio 2009, R.E.F.), e la riflessione giurisprudenziale ha concluso affermando che “quando il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione di cartelle, archivi, documenti contenenti foto pornografiche, deve ritenersi integrato il delitto di cui all'art. 600 ter c.p., c. 3. Laddove, per contro, il prelievo del ridetto materiale avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, ovvero si tratti di cessione meramente occasionale, si versa nella più lieve ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., c. 4″ (cfr. Sez. 3, n. 18678 del 19/3/2008, Minetti; si veda anche Sez. 3, 7/12/2006 n. 593, Melia, relativo alla cessione di fotografie pornografiche minorili attraverso una chat-line; Sez. 5, 11/12/2002 n. 4900, Cabrini).
La condivisione, insomma, altro non è che una forma di scambio di documenti informatici, tramite internet, rientrante appieno nella fattispecie di cui trattasi. Orbene, i giudici di merito hanno ricostruito i fatti addebitati al ricorrente che si concretizzarono nell'invio e ricezione di materiale pedopornografico con un solo altro utente: le immagini venivano visionate insieme all'interlocutore al fine di soddisfacimento reciproco e contestuale, tramite masturbazione. I giudici di appello hanno condiviso le valutazioni della sentenza di primo grado offrendo puntuale risposta alle doglianze avanzate in grado di appello e qui riproposte, essendo principio giurisprudenziale consolidato quello dell'integrazione in un unico compendio motivazionale delle sentenza impugnata con quella conforme di primo grado.
2. Risultano quindi infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, posto che la valutazione di utilizzabilità nel rito abbreviato delle dichiarazioni di cui al comma 7 dell'art. 350 c.p.p. risulta in linea con la giurisprudenza di legittimità (da ultimo, cfr. Sez. 5, n. 18064 del 19/01/2010, Avietti, Rv. 246865).
3. Peraltro questo Collegio osserva che è evidente che l'ipotesi di offerta o cessione di materiale pedopornografico (art. 600 ter, c.4. c.p.) contiene dal punto di vista concettuale quella di detenzione inclusa nell'imputazione di cui all'art. 600 quater c.p. (procurarsi o detenere): infatti la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in via generale, che anche la stessa divulgazione di materiale illecito presuppone la sua detenzione, perché non si può evidentemente divulgare volontariamente “materiale pedopornografico” se non si è in possesso e non si detiene consapevolmente il materiale stesso (cfr., Sez.3, n. 11169 del 07/11/2008 Gaudino Rv. 242992). È stato quindi, in relazione allo specifico, escluso il concorso tra il delitto di cessione di materiale pedopornografico e quello di detenzione dello stesso materiale, “in quanto la condotta di detenzione rappresenta un antefatto non punibile rispetto a quella di cessione, rimanendo assorbita in quest'ultima” (Sez. 3, n. 36364 del 10/7/2008, De Pietro, Rv. 241036).
Pertanto, all'esito della derubricazione effettuata dal giudice di primo grado del reato di divulgazione contestato ab origine al P. al capo a), nella fattispecie di cui all'art. 600 ter, c. 4 c.p., l'ipotesi di cui al capo b), descrittiva di un comportamento che necessariamente è compreso nella condotta riconosciuta al capo precedente per effetto della derubricazione, deve essere considerata assorbita in quella sub a).
Quindi la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato sub b), perché assorbito in quello sub a) e, conseguentemente, non sussistendo più la continuazione prima computata, la decisione deve essere rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze che provvederà a rideterminare la pena.
4. Quanto all'ultimo motivo di ricorso, lo stesso è fondato: con chiarezza nella parte motiva della sentenza i giudici hanno dato atto che al P. non potevano essere applicate le pene accessorie ex art. 609 septies c.p., in quanto la disposizione in questione era stata introdotta successivamente al tempus commissi delicti. Nel dispositivo la affermazione non risulta riprodotta e pertanto la sentenza, nella parte relativa alla condanna alle citate pene accessorie, deve essere annullata senza rinvio, con conseguente venir meno anche della condanna dell'appellante alle spese del grado.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato sub b), perché assorbito in quello sub a). Annulla detta sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze per la rideterminazione della pena. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine alle applicate pena accessorie, pene che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Depositata in Cancelleria il 03.10.2011
06-10-2011 00:00
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