Il casco del motociclista può essere considerata arma impropria? La Cassazione dice si, se usato per provocare lesioni personali. Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. Sent. del 02.08.2011, n. 30572
Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. Sent. del 02.08.2011, n. 30572
Ritenuto in fatto
S. V. e D. A. propongono ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d'appello di Firenze che, in riforma della sentenza di primo grado, li condannava alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione ciascuno per i reati di lesioni personali volontarie aggravate ex articolo 585, comma due, numero due e per violazione di domicilio aggravata dalla violenza alla persona.
A sostegno dei ricorsi adducevano i seguenti motivi comuni:
1. inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all'articolo 522, comma due, del codice di procedura penale; violazione di legge in relazione all'articolo 585, comma due, numero due del codice penale; manifesta illogicità della motivazione;
2. contraddittorietà della motivazione in violazione dei criteri di valutazione della prova in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 585, comma due, numero due del codice penale;
3. violazione di legge in relazione all'articolo 614 del codice penale; contraddittorietà e comunque manifesta illogicità della motivazione in relazione al contenuto dei verbali di sommarie informazioni testimonia li.
Per i motivi esposti i ricorrenti chiedono l'annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
Con il primo motivo i ricorrenti ritengono insussistente l'aggravante contestata dell'uso dell'arma impropria - nel caso di specie un casco da motociclista - in quanto mancherebbe il divieto assoluto di portare tale strumento e il porto del casco in quella circostanza era giustificato dal fatto che i due imputati erano giunti presso l'abitazione dell'A. in sella ad un motociclo.
Il motivo è infondato; il porto del casco, così come di ogni altro oggetto non destinato per sua natura ad offendere, cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione e l'oggetto viene utilizzato in guisa di arma impropria. Per tale motivo questa Corte ha ritenuto, ad esempio, arma impropria, anche ai fini dell'applicazione delle circostanze aggravanti del delitto di rapina e dei delitti di lesione e di omicidio, un bloccapedali per automobile, se utilizzato al fine di colpire in contesto aggressivo e, quindi, divenuto strumento atto ad offendere (Cass. Penale Sez. II 16/06/2009, n. 2995); analogamente, si è ritenuta ricorrente la circostanza aggravante del fatto commesso con armi quando il soggetto agente faccia uso di una catena di ferro rientrando la stessa nella nozione d'arma impropria (Cass. Pen. Sez. V, 06.11.2008 n. 43759).
E' del tutto evidente, dunque, che anche un casco, per le sue caratteristiche di massa e durezza, possa diventare un'arma impropria se utilizzato per offendere, avendo una potenziale idoneità lesiva non certo indifferente.
D'altronde, questa stessa sezione ha già affermato che il reato di lesioni volontarie commesso con armi improprie deve ritenersi aggravato, ai sensi dell'art. 585 c.p., anche se l'arma sia stata portata per giustificato motivo, in quanto la legittimità del porto non influisce sulla esistenza dell'aggravante in questione (Cassazione penale, sez. V, 05/10/2000, n. 11872).
Con il secondo motivo lamentano i ricorrenti che la Corte d'appello avrebbe ritenuto sussistente l'uso del casco per offendere in forza delle deposizioni testimoniali dei signori S. e C., mentre - secondo la difesa - entrambi questi testi avrebbero dichiarato di non ricordare se gli imputati avessero nell'occasione con sè il casco (come da copia dei verbali allegati al ricorso).
Sul punto, rileva questa Corte che nella sentenza impugnata sembra darsi per scontata la presenza del casco, senza che siano evidenziate in modo preciso le relative fonti di prova; ed in effetti, come indicato dalla difesa, nelle deposizioni dei testi S. e C. non vi è alcun riferimento certo alla presenza di un casco da motociclista, essendosi espressi entrambi in senso dubitativo (i testi hanno dichiarato di non ricordare questa circostanza).
La contestazione originaria contenuta nel capo di imputazione deriva probabilmente dalle dichiarazioni della persona offesa A. T., contenute nella denuncia querela, la quale, però, è stata acquisita solo ai fini della procedibilità ed è stata successivamente rimessa dalla persona offesa, che pure si è rifiutata di rispondere al dibattimento (ciò risulta dalla stessa sentenza impugnata). La prova dell'esistenza del casco influisce non solo sulla determinazione della pena, in quanto costituisce elemento indefettibile dell'aggravante, ma sulla stessa procedibilità del reato di lesioni, dato che vi è stata remissione e che il reato, nella sua forma semplice, non è procedibile d'ufficio.
Pertanto, essendovi incertezza in ordine alla presenza del casco (incertezza che la motivazione non risolve, essendo carente sul punto), la decisione concernente il reato di cui al capo C deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze; il giudice di rinvio dovrà valutare - eventualmente risentendo i testi e fermo restando che il casco costituisce arma impropria - se effettivamente il caso c'era, traendone le opportune conseguenze (se il casco c'era ed è stato utilizzato per procurare le lesioni, il reato è aggravato ed è, dunque, procedibile d'ufficio; se il casco non c'era, il reato è improcedibile per mancanza di querela).
Con il terzo motivo si deduce violazione dell'articolo 614 del codice penale per avere il tribunale ritenuto sussistente la violazione dl domicilio in forza delle dichiarazioni rese dai signori S. e C.
Quest'ultimo motivo è infondato per la parte in cui contesta l'esistenza di un logico apparato giustificativo della decisione, che invece esiste; non consentito per la parte in cui pretende di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali.
Proprio dalla rilettura dei verbali di sommarie informazi allegata al ricorso si evinve che i due imputati si erano trattenuti presso l'abitazione dell' A., contro la sua volontà, circostanza resa evidente, a tacer d'altro, dalla ripetizione più volte, da parte della persona offesa della frase “fuori da casa mia”. Ne' vi può essere alcun dubbio sulla sussistenza dell'aggravante della violenza sulle persone, dal momento che èpacifico che in detta occasione l'A.i fu percosso violentemente (con o senza casco) tanto che la stessa teste S. dichiara che lo vide uscire con la camicia macchiata di sangue, proprio dopo aver urlato ripetutamente agli imputati “uscite da casa mia”.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo C), con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello dl Firenze per nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto il ricorso.
Depositata in Cancelleria il 02.08.2011
08-08-2011 00:00
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