Cassazione Penale Sent. Sez. 6 Num. 43802 Anno 2023 Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI Relatore: D'ARCANGELO FABRIZIO Data Udienza: 11/10/2023
Cassazione Penale Sent. Sez. 6 Num. 43802 Anno 2023
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: D'ARCANGELO FABRIZIO
Data Udienza: 11/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
B.E. , nato a C. il ;
avverso l'ordinanza emessa in data 3/04/2023 dal Tribunale di Palermo
visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Fabrizio D'Arcangelo;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giuseppe Riccardi, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo ha rigettato la richiesta
di riesame presentata da E.B. e ha confermato l'ordinanza
applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa in data 15
marzo 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo.
In questa ordinanza B. è ritenuto gravemente indiziato dei reati di
procurata inosservanza di pena e di favoreggiamento personale del latitante
Matteo Messina Denaro, entrambi aggravati ai sensi dell'art. 416 bis.1 cod. pen. e
commessi in Campobello di Mazara sino al 16 gennaio 2023.
E. B. , insieme alla moglie L. N. L., avrebbe
aiutato Messina Denaro, esponente di vertice dell'associazione mafiosa "cosa
nostra", a sottrarsi all'esecuzione delle pene detentive irrogate con sentenze
definitive e a eludere le investigazioni, ospitandolo in via continuativa presso la
propria abitazione, ove consumava abitualmente i pasti e incontrava altre persone
in condizioni di sicurezza; i coniugi B. avrebbero, inoltre, consentito al
latitante di sottrarsi ai servizi di osservazione posti in essere dalla polizia
giudiziaria anche per effetto della vigilanza che costoro avrebbero effettuato sulla
pubblica via.
2. L'avvocato Giuseppe Ferro, difensore del B. ha presentato ricorso
avverso tale ordinanza e ne ha chiesto l'annullamento, deducendo quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il difensore deduce l'erronea applicazione dell'art.
274 cod. proc. pen. e l'illogicità della motivazione sul punto, in quanto la
sussistenza del pericolo di recidiva sarebbe stata presunta dal Tribunale solo sulla
base dei titoli di reato contestati.
Ad avviso del difensore, tuttavia, non sarebbe possibile ipotizzare il concreto
e attuale pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio, in quanto
il B. avrebbe intrattenuto con Messina Denaro un rapporto esclusivo, diretto
ed amicale, e non avrebbe mai avuto conoscenza di alcuno altro degli appartenenti
all'associazione mafiosa.
Essendo stato, dunque, rescisso il rapporto con Messina Denaro, per effetto
del suo arresto, il pericolo di recidiva non sarebbe più attuale, in quanto
mancherebbe un'occasione prossima di reiterazione del reato.
La condotta del ricorrente si sarebbe, peraltro, limitata ad una «omertosa
compiacenza», che pur sconveniente sul piano etico, sarebbe penalmente non
sanzionata, in assenza di un obbligo di denuncia per il privato cittadino.
Sarebbe, inoltre, insussistente il pericolo di inquinamento probatorio, in
quanto le indagini sulla rete dei fiancheggiatori di Messina Denaro avrebbero tratto
origine proprio dalle dichiarazioni rese dai coniugi B. e gli elementi di prova
sarebbero stati già cristallizzati dalle videoriprese e dai sequestri eseguiti dalla
polizia giudiziaria.
2.2. Con il secondo motivo il difensore censura l'erronea applicazione dell'art.
275 cod. proc. pen., nonché la mancanza e l'illogicità della motivazione con
riferimento alla scelta della misura cautelare applicata.
Ad avviso del difensore, infatti, gli arresti domiciliari sarebbero la misura
coercitiva idonea a soddisfare il periculum libertatis ravvisato nel caso di specie in
ragione della mancanza di collegamenti del ricorrente con altri sodali, dei rapporti
circoscritti ed esclusivi intrattenuti con Messina Denaro, del ruolo marginale
assunto, dell'assenza di un'indole criminale e di precedenti penali.
2.3. Con il terzo motivo il difensore deduce la sussumibilità dei fatti
nell'ambito applicativo dell'unica fattispecie incriminatrice di cui all'art. 390 cod.
pen., in quanto, essendo il Messina Denaro stato condannato a pena definitiva,
non sarebbe più un soggetto nei cui confronti si svolgono le indagini, ormai già
esauritesi.
Il reato di procurata inosservanza di pena, del resto, non sarebbe che una
forma speciale di favoreggiamento e, dunque, i due reati non potrebbero
concorrere.
2.4. Con il quarto motivo il difensore censura la ritenuta sussistenza
dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa di cui all'art. 416 bis.1 cod. pen., in
quanto il ricorrente avrebbe recato ausilio al solo Messina Denaro.
Rileva il ricorrente che sarebbe errata l'applicazione dell'aggravante, in
quanto la Corte di cassazione, con la sentenza n. 26230 del 2019, ha affermato
che la finalità agevolatrice dell'associazione mafiosa non può essere ritenuta
sussistente per il sol fatto che la condotta favoreggiatrice sia stata posta in essere
a vantaggio di un capo-clan.
3. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso
è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137
del 28 ottobre 2020 convertito in legge n. 176 del 18 dicembre 2020, prorogato
per effetto dell'art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito
con modificazioni dalla legge n. 15 del 25 febbraio 2022, e per le impugnazioni
proposte sino al 30 giugno 2023 dall'art. 94, comma 2, del d.lgs. 10/10/2022, n.
150.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 26 settembre
2023, il Procuratore generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto i motivi proposti sono manifestamente
infondati e, comunque, diversi da quelli consentiti dalla legge.
2. Con il terzo motivo, che assume rilievo preliminare, il difensore deduce
l'erronea applicazione del concorso formale di reati e la sussumibilità delle
condotte accertate nell'ambito applicativo dell'unica fattispecie incriminatrice di cui
all'art. 390 cod. pen.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, sussiste
il concorso formale fra il reato di favoreggiamento personale e quello di procurata
inosservanza di pena nelle situazioni in cui il soggetto favorito rivesta
contemporaneamente la qualità di condannato in via definitiva e di persona
sottoposta ad indagine per altro titolo (Sez. 6, n. 53735 del 02/12/2014, Costa,
Rv. 261691, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione
impugnata nella parte in cui aveva ravvisato il concorso formale tra i due reati
nella condotta di imputati che avevano favorito la latitanza di persona attinta da
un'ordinanza applicativa di misura custodiale, e da un ordine di carcerazione
relativi a fatti di reato diversi).
Mentre il reato di favoreggiamento personale ha come presupposto la
commissione, da parte di un diverso soggetto, di un altro delitto per il cui
accertamento siano in corso indagini, e si concreta con l'agevolazione prestata a
sottrarsi alle indagini stesse o alle ricerche conseguenti, il reato di procurata
inosservanza di pena si esplica con qualsiasi aiuto volontariamente prestato alla
persona già definitivamente condannata al fine di sottrarsi all'esecuzione della
pena inflitta, con la logica conseguenza che il concorso formale fra le due ipotesi
criminose è pienamente concepibile in tutte quelle situazioni - come quella nella
specie considerata - in cui il soggetto favorito rivesta contemporaneamente la
qualità di condannato in via definitiva e di persona sottoposta ad indagine per altro
titolo (da ultimo, v. Sez. 1, n. 44898 del 24/11/2005, La Barbera, Rv. 234061;
Sez. 1, n. 3861 del 30/05/1997, Piva, Rv. 207986; Sez. 1, n. 11057
del 18/10/1995, Sgaramella, Rv. 202862 - 01).
Il Tribunale del riesame di Palermo ha, pertanto, fatto buon governo di tali
consolidati principi, ritenendo sussistente il concorso di entrambi i reati contestati;
infatti, come risulta dal titolo genetico, cui l'ordinanza impugnata si richiama,
Messina Denaro era sottoposto ad indagine in relazione alla propria permanente
attività di direzione di "cosa nostra" e, al contempo, era latitante in relazione ai
provvedimenti di esecuzione di pene concorrenti n. 91/2016 SIEP emesso in data
16 gennaio 2023 dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo e n.
256/2008 SIEP emesso in data 17 novembre 2011 dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Marsala.
4. Con il quarto motivo il difensore censura la ritenuta sussistenza
dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, in quanto B. avrebbe posto in
essere condotte di ausilio solo in favore di Messina Denaro.
La finalità agevolatrice dell'associazione mafiosa non potrebbe, dunque,
essere ritenuta sussistente per il sol fatto che la condotta favoreggiatrice sia stata
posta in essere a vantaggio di un capo-clan.
5. Anche questo motivo è manifestamente infondato.
Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità,
richiamato dal Tribunale del riesame, in tema di favoreggiamento personale, è
configurabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa nella condotta di chi
consapevolmente aiuti a sottrarsi alle ricerche dell'autorità un capoclan operante
in un ambito territoriale in cui è diffusa la sua notorietà, atteso che la stessa, sotto
il profilo oggettivo, si concretizza in un ausilio al sodalizio, la cui operatività
sarebbe compromessa dall'arresto del vertice associativo, determinando un
rafforzamento del suo potere oltre che di quello del soggetto favoreggiato e, sotto
quello soggettivo, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo
riconosciuto, risulta sorretta dall'intenzione di favorire anche l'associazione (Sez.
6, Sent. n. 23241 del 11/02/2021, Barbato, Rv. 281522 - 02; Sez. 6, n. 32386
del 28/03/2019, Salvato, Rv. 276475; Sez. 2, n. 26589 del 26/05/2011, Laudicina,
Rv. 251000; Sez. 2, n. 37762 del 12/05/2016, Viglianisi, Rv. 268237 - 01; Sez.
2, n. 24753 del 09/03/2015, Sciortino, Rv. 264218 - 01; Sez. 5, n. 26699 del
25/02/2015, Maione, Rv. 263989 - 01; Sez. 2, n. 15082 del 12/02/2014,
Cuttone, Rv. 259558 - 01).
Il Tribunale del riesame di Palermo, richiamando questo orientamento, non
ha ritenuto sussistente l'aggravante sulla base di un mero automatismo, ma ha
rilevato che la condotta del ricorrente aveva consentito a Messina Denaro di
svolgere appieno il proprio attuale e perdurante ruolo di vertice organizzativo e
decisionale della cosca mafiosa.
Nella valutazione non illogica del Tribunale del riesame, dunque, il
prolungato sostegno a Messina Denaro prestato dal ricorrente aveva favorito non
solo il latitante, ma anche l'attività dell'intera associazione mafiosa operante nella
provincia di Trapani.
6. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto l'erronea applicazione dell'art.
274 cod. proc. pen. e l'illogicità della motivazione sul punto, in quanto la
sussistenza del pericolo di recidiva sarebbe stata presunta solo sulla base della
gravità dei titoli di reato contestati.
7. Il motivo, oltre a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito
della diagnosi cautelare in sede di legittimità, è manifestamente infondato.
La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere, di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è
prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall'art.
274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti
dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente,
salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (ex multis,
Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, Andreano, Rv. 282865).
Il Tribunale di Palermo ha, inoltre, congruamente rilevato che dal compendio
probatorio non sono emersi elementi idonei a vincere la doppia presunzione di
esistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in
carcere, ma sono, anzi, stati riscontrati elementi sintomatici della sussistenza
concreta e attuale dei pericula di cui all'art. 274, comma 1, lett. a) e c), cod. proc.
pen., quali: le dichiarazioni rese dall'indagato e contraddette dalle emergenze
investigative relative alla conoscenza della reale identità del Messina Denaro e
della frequenza del loro rapporto; l'omertosa compiacenza assicurata dall'indagato
al boss; l'ampia protrazione nel tempo delle condotte di ausilio e il pieno
inserimento delle stesse in una salda e collaudata rete di complicità con altri
coindagati; la reiterazione di tali condotte anche di recente.
Il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, peraltro, non va inteso
come pericolo di reiterazione dello stesso fatto di reato, atteso che l'oggetto del
periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto
fatto reato oggetto di contestazione (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019,
Pedato, Rv. 274403 - 02); sicché non rileva che l'aiuto della latitanza sia stato
prestato nei confronti del solo Messina Denaro.
Parimenti la rescissione del rapporto con Messina Denaro per effetto del suo
arresto non elide il pericolo di recidiva, come è stato correttamente rilevato dal
Tribunale di Palermo.
Il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto
espressamente dalla legge 16 aprile 25, n. 47 nel testo dell'art. 274, lett. c), cod.
proc. pen., deve, infatti, essere inteso non come imminenza del pericolo di
commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi,
fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo
di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella
riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi
reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi
(ex plurimis: Sez. 6, n. 24779 del 10/05/2016, Rando, Rv. 267830; Sez. 2, n.
536345 del 08/09/2016, Lucà, Rv. 268977).
8. Con il secondo motivo il ricorrente censura l'erronea applicazione dell'art.
275 cod. proc. pen., nonché la mancanza e l'illogicità della motivazione con
riferimento alla scelta della misura cautelare applicata.
9. Anche questo motivo è manifestamente infondato.
La regola generale contenuta nell'art. 275, comma 3-bis, cod. proc. pen.,
secondo cui il giudice, nel disporre la custodia in carcere, deve indicare le
specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti
domiciliari con le procedure di controllo elettronico, non trova applicazione quando
la custodia in carcere venga disposta per uno dei delitti per i quali opera la
presunzione relativa di adeguatezza di tale misura, ai sensi dei terzo comma del
predetto art. 275 (ex plurimis: Sez. 2, n. 3899 del 20/01/2016, Rv. 265598; conf.
Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, Rv. 266651).
Il Tribunale del riesame ha, inoltre, non incongruamente rilevato
l'inadeguatezza dell'applicazione di misure coercitive meno afflittive della custodia
cautelare in carcere, evidenziando che anche la misura degli arresti domiciliari non
consentirebbe il costante monitoraggio della rete di relazioni criminali che sono
state alla base della condotta illecita dell'indagato e nemmeno la salvaguardia delle
esigenze cautelari ritenute sussistenti, proprio in ragione del ruolo, tutt'altro che
marginale, che B. ha avuto nell'intera vicenda e nell'agevolazione della
latitanza dello stesso.
10. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616, comma
1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza
«versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», secondo
quanto sancito dalla sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n.
186, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma I-
ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2023.