Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14/06/2022) 05-09-2022, n. 32585
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14/06/2022) 05-09-2022, n. 32585
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CATENA Rossella - Presidente -
Dott. CANANZI Francesco - Consigliere -
Dott. BORRELLI Paola - rel. Consigliere -
Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere -
Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
C.P., nata a (OMISSIS) - parte civile;
nel procedimento a carico di:
C.D., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/03/2021 della CORTE APPELLO di TRENTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PAOLA BORRELLI;
udite le conclusioni del Procuratore generale Dr. PASQUALE SERRAO D'AQUINO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni dell'Avv. CLAUDIA ECCHER, per la parte civile ricorrente, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, riportandosi alla memoria depositata il 22 maggio 2022;
udite le conclusioni dell'Avv. JOSEPH MASE', per l'imputata, che ha insistito per il rigetto del ricorso della parte civile ricorrente, chiedendo altresì la condanna della medesima alla rifusione delle spese sostenute nel grado dall'imputata.
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata emessa il 17 marzo 2021 dalla Corte di appello di Trento, che - adita dalla parte civile - ha confermato la sentenza di assoluzione, perchè il fatto non sussiste, di C.D., imputata per diffamazione ai danni di C.P., ex moglie del proprio attuale compagno.
La diffamazione consisterebbe nella pubblicazione, sulla propria pagina Facebook, di una serie di messaggi in cui si invitava un soggetto di sesso femminile - che la Corte di appello ha ritenuto individuabile nella parte civile -ad andare a lavorare e a non pretendere un mantenimento e si rivendicava la propria dedizione al lavoro. La Corte territoriale ha confermato la sentenza di assoluzione del Giudice di prime cure ritenendo sussistente il requisito della continenza.
2. Contro l'anzidetta sentenza, la parte civile ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
L'unico motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto all'applicazione della scriminante di cui all'art. 51 c.p.. La sentenza impugnata sarebbe contrastante con la giurisprudenza di legittimità che riconosce l'elemento oggettivo del reato nelle offese tra coniugi da parte di chi si oppone al contenuto economico dei provvedimenti giudiziari. I messaggi, inoltre, soddisfano il requisito della comunicazione con più persone perchè il post, pubblicato su una bacheca ad accesso aperto, è suscettibile di essere percepito da più soggetti. Nel caso di specie, le espressioni superano il requisito della continenza, essendo inutilmente umilianti per la persona offesa, accusata di non lavorare, di non cercarsi un'occupazione e di essere una mantenuta, trasformando il suo diritto al mantenimento in un capriccio.
3. In vista dell'udienza, in cui le parti hanno discusso oralmente, sia il Procuratore generale che i difensori di imputata e parte civile hanno fatto pervenire memorie in cui hanno illustrato le rispettive conclusioni.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile siccome manifestamente infondato.
1. Effettivamente, come sostenuto nella sentenza impugnata, nei post "incriminati" addebitati all'imputata non vi è alcun utilizzo di termini quali "parassita" e "mantenuta", ma si adoperano argomentazioni più ampie per contestare la percezione dell'assegno di mantenimento da parte della C., in concomitanza - come si evince dalla sentenza impugnata - del provvedimento che aveva negato al suo ex marito (attuale compagno della C.) la revisione di detto assegno.
Ebbene, nel vaglio che, in tema di diffamazione è rimesso direttamente a questa Corte (Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, non massimata; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284), può convenirsi con quanto sostenuto dai Giudici di appello, secondo cui le espressioni adoperate, pur essendo sferzanti, non appaiono superare il limite della continenza, mantenendosi nell'ambito di una critica che non utilizza argumenta ad hominem, ma che esprime il proprio risentimento e la propria censura per la pretesa, validata alla decisione giudiziaria, di mantenere l'assegno di mantenimento già stabilito. Si tratta di una polemica, pur attuata con toni aspri, ironici e sferzanti, ma che non trascendono nell'attacco personale gratuito e che appaiono pertinenti rispetto alla polemica in atto circa l'entità dell'importo dell'assegno di mantenimento.
Peraltro la ricorrente non contesta quanto pure si legge nella sentenza impugnata, vale a dire che i post si inseriscono in un contesto dialettico già in essere tra le parti, tanto che la persona offesa aveva utilizzato proprio dei post di Facebook per provare il tenore di vita dell'ex coniuge e della nuova compagna.
Tale conclusione è in linea con l'approccio ermeneutico consolidato di questa Corte, che il Collegio condivide, a lume del quale, nella valutazione della continenza quale condizione necessaria ai fini del riconoscimento del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti e immotivatamente aggressivi dell'altrui reputazione, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Maffioletti, Rv. 273573; Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C., Rv. 267866; Sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, Marcialis, Rv. 264442).
2. Al fine di dare completo riscontro alle argomentazioni contenute nel ricorso, questa Corte osserva, inoltre, quanto segue.
2.1. Quanto al riferimento a Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016, dep. 2017, S., Rv. 269016, esso non è pertinente per due motivi.
In primo luogo, perchè in quel caso era stato utilizzato, in un vaglia postale, il termine "mantenuta", di cui non vi è traccia nei post riportati nel capo di imputazione.
In secondo luogo perchè la portata diffamatoria o la continenza del termine non erano in discussione in quel processo, nel quale i motivi di ricorso - su cui la Corte di cassazione era chiamata a pronunciarsi - riguardavano altri aspetti.
2.2. Quanto alla sentenza n. 37397 del 2016, non se ne trae il principio che la difesa del ricorrente ha intravisto, non essendo stata operata una perimetrazione dei limiti delle espressioni da adoperare in ragione del fatto che l'espressione sia o meno pronunziata in ambito familiare; ambito che, nel caso oggetto di quel processo, serviva solo a contestualizzare la vicenda che, appunto, riguardava espressioni pronunziate da un appartenente ad un nucleo familiare nei confronti dell'ex marito alla presenza di soggetti, in varia misura, collegati a quella famiglia.
3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).
All'esito odierno consegue, altresì, la condanna della parte civile ricorrente alla rifusione, a beneficio dell'imputata, delle spese sostenute nel presente grado, che si quantificano in complessivi Euro 3.600,00 oltre accessori di legge.
A questo proposito va ricordato l'insegnamento di questa Corte regolatrice, secondo cui l'inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di assoluzione in grado d'appello, proposto dalla persona offesa costituita parte civile, comporta la condanna di quest'ultima a rifondere all'imputato, che ne abbia fatto richiesta, le spese sostenute nel giudizio di legittimità; detta statuizione, ancorchè non prevista espressamente dal codice di rito penale, deve essere adottata in base al principio generale di causalità e di soccombenza, di cui sono espressione non solo l'art. 541 c.p.p., comma 2 e 592 c.p.p., comma 4, ma, più in generale, l'art. 91 c.p.c., che viene in causa trattandosi di un giudizio di impugnazione che, pur se ispirato da finalità anche di ordine penale, è stato comunque promosso a iniziativa di una parte privata rimasta soccombente nei confronti di un'altra (Sez. 1, n. 11175 del 22/01/2021, Capobianco Giovanna C/ Russo Simone, Rv. 280901; Sez. 6, n. 54641 del 27/09/2018, Giacopuzzi Emilia C/ Tazt Siegfried, Rv. 274635 - 02).
4. La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dall'imputata, liquidate in complessivi Euro 3.600,00 oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2022