Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16/11/2021) 29-12-2021, n. 47245
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16/11/2021) 29-12-2021, n. 47245
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio - Presidente -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. LIUNI Teresa - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -
Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) L.M., nato a (OMISSIS);
Avverso la sentenza emessa il 18/12/2019 dalla Corte di assise di appello di Catanzaro;
Sentita la relazione del Consigliere Dr. Alessandro Centonze;
Sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale Dr. Casella Giuseppina, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentite, nell'interesse dell'imputato, le conclusioni dell'avvocato Salvatore Staiano, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 18/07/2016 la Corte di assise di Catanzaro giudicava L.M. colpevole dei reati ascrittigli ai capi 2 (art. 81 c.p., comma 2, artt. 110 e 605 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 2, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203), 3 (art. 81 c.p., comma 2, artt. 110 e 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1, n. 3, D.L. n. 152 del 1991, art. 7) e 4 (art. 81 c.p., comma 2, artt. 110 e 411 c.p., D.L. n. 152 del 1991, art. 7) e, esclusa l'aggravante della premeditazione contestata al capo 3, condannava l'imputato alla pena di trent'anni reclusione.
L'imputato L.M., inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia in carcere.
2. Con sentenza emessa il 18/12/2019 la Corte di assise di appello di Catanzaro, pronunciandosi sull'impugnazione proposta da L.M., confermava la decisione impugnata, condannando l'appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
3. Da entrambe le sentenze di merito, che risultano pienamente convergenti, emergeva che il (OMISSIS), L.M. - agendo in concorso con altri soggetti, tra i quali P.G., S.D., T.M. e i defunti S.V. e P.A. - uccideva T.G., dopo averlo fatto salire, contro la sua volontà, a bordo dell'autovettura Fiat Doblò, targata (OMISSIS), di cui P.G. aveva la disponibilità. Dopo l'omicidio, il cadavere della vittima veniva trasportato in un luogo, ubicato nella zona montana di (OMISSIS), per essere definitivamente occultato mediante il suo seppellimento, di cui si occupavano l'imputato L.M. e P.B..
Occorre premettere che, nella prima fase delle indagini preliminari, che precedeva l'apertura alla collaborazione di To.Do., To.Vi., P.B., D.P., A.G., C.G. e B.A. - le cui propalazioni costituiscono il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di L.M. le attività investigative traevano origine dalla denuncia di scomparsa di To.Gi., presentata alle ore 18.18 del 22/12/2009 da I.D., che era la compagna della persona offesa.
La denunciante, in particolare, riferiva che, la sera precedente, era tornata a casa, a bordo dell'autovettura Alfa Romeo 156 di proprietà di To.Vi., con il compagno, To.Gi., dopo essere stati in compagnia dello zio della vittima, To.Ra.; prima di arrivare nella loro abitazione, I.D. vedeva sopraggiungere una Fiat Doblò, alla quale il compagno si avvicinava per discutere brevemente con il conducente del mezzo; la vittima, quindi, le consegnava le chiavi del veicolo, invitandola a tornare a casa e dicendole che l'avrebbe raggiunta dopo una decina di minuti; subito dopo, la persona offesa saliva a bordo della Fiat Doblò e, a partire da quel momento, I.D. non l'aveva più vista.
Nella prima fase delle indagini preliminari, venivano anche esaminati i familiari di To.Gi. - tra cui To.Do., To.Vi. e To.Ra. - e altri soggetti, variamente coinvolti negli accertamenti investigativi, tra i quali occorre citare M.T.S., D.P., S.V., Du.Ni. e M.F., le cui deposizioni testimoniali, tuttavia, non si rivelavano utili per individuare i responsabili della scomparsa della vittima, limitandosi a ricostruire il contesto soveratese nel quale gravitava la persona offesa.
Da queste, iniziali, verifiche investigative si riusciva unicamente ad accertare che la vittima, prima della sua scomparsa, aveva avuto dei contrasti con S.V., causati dal mancato pagamento dell'onorario del cantante Do.Fa. - che aveva eseguito l'accompagnamento musicale del matrimonio di un componente della famiglia To. -, che S. riteneva dovesse essere effettuato dalla vittima, che, viceversa, non intendeva provvedere al saldo dell'artista. Tuttavia, la ricostruzione di tali contrasti personali non si rivelava utile allo sviluppo delle attività investigative, non risultando i dissidi tra To.Gi. e S.V., almeno in questa fase delle indagini, collegati, direttamente o indirettamente, alla scomparsa della persona offesa.
Successivamente, l'apertura alla collaborazione di To.Do., To.Vi., P.B., D.P., A.G., C.G. e B.A. forniva un nuovo impulso alle indagini, che venivano riaperte, consentendo agli investigatori di ricostruire gli accadimenti criminosi, così come contestati a L.M. ai capi 2, 3 e 4 della rubrica, che venivano ulteriormente chiariti grazie alle intercettazioni acquisite all'epoca dei fatti, che, unitamente alle dichiarazioni accusatorie rese dai citati collaboratori di giustizia, costituivano il nucleo essenziale del giudizio di responsabilità penale formulato dai Giudici di merito catanzaresi nei confronti dell'imputato.
Secondo i Giudici di merito, i fatti di reato si inquadravano nelle dinamiche della cosca 'ndranghetistica di Guardavalle, operante nella zona di Soverato ed egemonizzata, fin dai primi anni Duemila, da G.V. e N.C., i cui rapporti consortili si erano incrinati verso la fine del 2002, in conseguenza dell'iniziativa di N. di stringere un'alleanza con V.D., capo della cosca di (OMISSIS), confluita nella nascita di un locale autonomo; la direzione di quest'ultimo locale, a sua volta, era stata affidata a un cugino omonimo dello stesso V. e a T.M., che venivano affiancati da S.V. e L.M., il genero di P.F., che era a capo di un'altra consorteria criminale operante sul territorio di D.M..
A sua volta, G.V. si era organizzato con i suoi uomini di fiducia, costituendo sul territorio di Soverato un gruppo criminale autonomo e affidandone la guida a To.Do. e al figlio, To.Gi., che, nel frattempo, avendo intrapreso una relazione con I.D., si era legato alla famiglia I. di Guardavalle.
Ne era derivata l'esistenza di due cosche 'ndranghetistiche presenti nella. stessa area soveratese; l'una, facente capo a N.C. e V.D., capeggiata da T.M., l'altra, facente capo a G.V., che avevano convissuto pacificamente, fino a quando, nel periodo compreso tra il 2007 e il 2008, non erano. sorti dei contrasti nel settore del traffico di sostanze stupefacenti, che era gestito da To.Gi., S.V. e S.D..
In questo contesto consortile, l'omicidio di To.Gi. era stato inizialmente determinato dal mancato pagamento della prestazione artistica di Do.Fa., un cantante chiamato a svolgere il servizio di accompagnamento musicale in occasione del matrimonio della figlia di To.Do. con D.P..
Il pagamento del compenso spettante al cantante, in particolare, era stato richiesto a To.Gi. da S.V., che aveva informato della sua pretesa anche P.F. e To.Do..
Successivamente, su questo stato di tensione, si innestavano ulteriormente i contrasti consortili tra S.V. e To.Gi., dovuti alla pretese egemoniche sul traffico di sostanze stupefacenti gestito nell'area soveratese dalla cosche 'ndranghetistiche locali.
Per effetto di tali tensioni, To.Gi., d'intesa con To.Vi., To.Ra. e C.P., nel pomeriggio del (OMISSIS), qualche ora prima della sua scomparsa, organizzava un attentato in danno di S.V., danneggiando un veicolo di sua proprietà e, provocando, in questo modo, il risentimento della vittima, che costituiva la causale della vicenda criminosa oggetto di vaglio giurisdizionale, alla quale faceva seguito l'assassinio di C., che veniva eseguito il (OMISSIS), a distanza di un solo mese dall'omicidio di To..
Pertanto, la sera dell'attentato subito da S.V., quest'ultimo, T.M., S.D., P.A. e L.M. decidevano di punire To.Gi., organizzando un agguato, che prendeva le mosse alle ore 23 e si concretizzava poco prima di mezzanotte, quando la persona offesa, in compagnia della moglie, a bordo della sua autovettura, stava recandosi presso la sua abitazione, venendo ucciso prima di giungervi. L'orario dell'omicidio veniva indicato in prossimità della mezzanotte del (OMISSIS), in ragione del fatto che, a partire dal tale momento, le utenze cellulari utilizzate dai sicari, monitorati fino a quell'ora, erano diventate improvvisamente inattive, fino alle ore 0.35, quando veniva effettuata una chiamata senza risposta dal telefono di L.M. a quello di P.A..
Sulle fasi preparatorie dell'agguato mortale, si concentravano le verifiche investigative compiute dai carabinieri la sera del (OMISSIS), mediante l'esame delle immagini estrapolate da alcune telecamere di videosorveglianza, installate nei luoghi percorsi a bordo dei loro mezzi dagli attentatori, che consentivano di accertare il passaggio di due autovetture accostate, che procedevano in direzione opposta, una Volkswagen Golf e una Lancia Ypsilon, quest'ultima guidata da T.M., confermando la veridicità della versione dei fatti fornita dai familiari di To.Gi.; costoro, in particolare, riferivano di avere notato l'autovettura Alfa Romeo 156 guidata dal proprio congiunto, seguita da un'altra autovettura, una Volkswagen Golf, analoga a quella utilizzata dall'imputato L.M..
Eseguito l'omicidio, intorno alle ore 4 del (OMISSIS), dopo che S.V. e T.M. erano tornati a casa, L.M. si occupava dell'occultamento del cadavere della vittima, che si rivelava particolarmente difficoltoso, avvalendosi della collaborazione di P.B., che ricostruiva la fase conclusiva dell'attentato dopo la sua apertura alla collaborazione con la giustizia, precisando che la persona offesa veniva definitivamente seppellita nella zona montana di (OMISSIS) il giorno successivo all'assassinio.
Questi, convergenti, elementi probatori si riteneva ulteriormente corroborati dagli esiti della consulenza tecnica eseguita dal R.I.S. Carabinieri di Messina sull'autovettura Fiat Doblò - sequestrata ad P.A. il (OMISSIS), mentre il veicolo si trovava presso l'autolavaggio di tale P.G. - e sul materiale, gli oggetti e i reperti biologici rinvenuti all'interno dello stesso automezzo.
Il compendio probatorio che si è descritto veniva ritenuto dai Giudici di merito catanzaresi univocamente orientato in senso sfavorevole a L.M., sulla cui posizione processuale convergevano una pluralità di fonti di prova, che consentivano di individuare la causale dell'omicidio di To.Gi.; i soggetti che vi erano coinvolti; le modalità con cui era stato organizzato l'attentato in danno della persona offesa, il cui cadavere era stato seppellito il giorno dopo l'agguato, dopo un primo seppellimento effettuato a poche ore dall'accaduto.
Nè sussistevano dubbi sul fatto che L.M. era il soggetto che guidava l'autovettura Volkswagen Golf, che, poco prima della mezzanotte del (OMISSIS), seguiva l'autovettura Alfa Romeo 156, a bordo della quale viaggiavano To.Gi. e I.D.. Queste conclusioni, infatti, venivano confermate sia dalle attività di intercettazione eseguite all'epoca dei fatti sia dalle immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate nei pressi dei luoghi percorsi dai due veicoli in questione, poco prima dell'omicidio.
Si riteneva, inoltre, che le discrasie relative alle propalazioni del collaboratore di giustizia di P.B. erano superabili alla luce del compendio probatorio acquisito nei confronti di L.M., che, unitariamente inteso, consentiva di reputare marginali le contraddizioni, pur incontroverse, delle sue dichiarazioni accusatorie.
In questo modo, venivano superate le incongruità del narrato di P.B., che riguardavano l'impiego lavorativo svolto dal propalante all'epoca dei fatti presso il Parco eolico di (OMISSIS); le modalità con cui si era proceduto al duplice seppellimento del cadavere di To.Gi., che postulavano un'adeguata ricostruzione degli spostamenti effettati dal propalante il (OMISSIS) e dell'individuazione del luogo del seppellimento; le circostanze di tempo e di luogo nelle quali P. era stato coinvolto nelle operazioni di occultamento del cadavere della persona offesa.
Il contesto criminale nel quale era maturata la decisione di uccidere To.Gi., al contempo, imponeva di riconoscere la circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, che si riteneva integrata sia sul piano oggettivo sia sul piano soggettivo, attesa l'evidente strumentalizzazione dell'attentato all'affermazione della cosca S.- T.- P., imposta dall'attacco che era stato rivolto dalla vittima a S.V., concretizzatosi nel pomeriggio che precedeva l'omicidio, chiaramente riconducibile al protocollo criminale tipico delle organizzazioni criminali ndranghetistiche.
Doveva, invece, esclusa l'aggravante della premeditazione contestata al capo 3 della rubrica, atteso che l'agguato mortale conseguiva a una decisione estemporanea di T.M., che, nel pomeriggio del (OMISSIS), apprestava i mezzi e gli uomini necessari per l'esecuzione dell'omicidio, in un arco temporale immediatamente successivo al sorgere dell'intento di uccidere la vittima, passandosi senza soluzione di continuità all'azione, che traeva origine dal danneggiamento dell'autovettura di S.V., verificatosi nella stessa giornata dell'assassinio.
Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, l'imputato L.M. veniva condannato alle pene di cui in premessa.
5. Avverso la sentenza di appello l'imputato L.M. ricorreva per cassazione con due atti di impugnazione di cui occorre dare separatamente conto 5.1. Con il primo di tali atti di impugnazione, proposto dall'avvocato Salvatore Staiano, si deducevano tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 575 c.p. e art. 192 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere attendibili le dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia P.B., il cui narrato era stato censurato dalla difesa del ricorrente con argomentazioni con cui la Corte di assise di appello di Catanzaro aveva omesso di confrontarsi.
Si deduceva, in proposito, che l'attendibilità del narrato del collaborante P.B. non poteva ritenersi corroborato dalle propalazioni degli altri collaboratori di giustizia esaminati nei giudizi di merito ed era contraddetto dalle emergenze probatorie relative alle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari; ai controlli effettuati dai Carabinieri di D.M. nella serata del (OMISSIS); alle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza installati nella zona dove era stato eseguito il sequestro della vittima; alla causale dell'omicidio di To.Gi., rispetto alla quale le propalazioni del collaborante apparivano connotate da genericità.
Gli esiti delle attività di intercettazione, in ogni caso, laddove correttamente interpretate sul piano logico-temporale, non consentivano di ritenere che T.M. e L.M. erano alla ricerca di To.Gi. nelle ore che precedevano la sua scomparsa, non emergendo alcun collegamento, diretto o indiretto, tra i contatti telefonici registrati tra i due soggetti e l'uccisione della vittima, essendo evidente il travisamento effettuato dalla Corte territoriale catanzarese con il riferimento alla "pensata veloce", effettuato da T. nella conversazione delle ore 21 del (OMISSIS), apoditticamente collegato alla vicenda delittuosa in esame.
La Corte territoriale catanzarese, al contempo, non aveva tenuto conto del risentimento nutrito da P.B. nei confronti di L.M., che doveva ritenersi un dato circostanziale incontroverso, e che l'inattendibilità delle sue propalazioni derivava dal loro contenuto, avendo ammesso il collaboratore di giustizia di conoscere gli atti processuali relativi all'omicidio di To.Gi., sul quale riferiva dopo avere avuto conoscenza degli accertamenti giurisdizionali compiuti nei confronti del ricorrente e del compendio probatorio che lo riguardava.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano il riconoscimento dell'aggravante speciale oggetto di contestazione processuale, sulla cui configurazione si riscontrava una carenza assoluta di motivazione, a fronte delle specifiche censure difensive, relative all'insussistenza degli elementi costitutivi di tale circostanza, scaturendo la decisione di uccidere To.Gi. dai suoi contrasti personali con S.V., che erano maturati per ragioni estranee all'ambiente 'ndranghetistico soveratese.
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 62-bis c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato, che veniva censurato per la sua eccessività dosimetrica, derivante dal disconoscimento dell'aggravante della premeditazione di cui al capo 3 e dalla mancata concessione delle attenuanti generiche, che erano state negate al ricorrente sulla base dell'assertivo richiamo dei "fattori socio-culturali e del contesto di sviluppo" che connotavano l'omicidio di To.Gi., con un palese travisamento delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano concretizzati gli accadimenti criminosi.
Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata dall'avvocato Salvatore Staiano nell'interesse dell'imputato L.M..
5.2. Con il secondo degli atti di impugnazione depositati nell'interesse di L.M., proposto dall'avvocato Nicola Cantafora, si deducevano quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ritenere necessaria ai fini della decisione l'escussione del consulente tecnico della difesa, l'ingegnere A.D., e del luogotenente C.G., le cui deposizioni avrebbero consentito di confutare le dichiarazioni rese da To.Do. - il padre della vittima -, laddove affermava di avere visto dalla sua abitazione, nelle prime ore del (OMISSIS), T.M., P.A. e S.V., a bordo della stessa autovettura.
Secondo la difesa del ricorrente, era evidente la mendacità delle dichiarazioni rese dal padre di To.Gi., che aveva affermato di avere visto T.M. rientrare nella propria abitazione intorno alle ore 4 del (OMISSIS), perchè il dichiarante, dalla sua abitazione, non era in grado di scorgere chiaramente i movimenti di T. e dei soggetti in compagnia dei quali si trovava. Appariva, pertanto, evidente che la Corte di assise di appello di Catanzaro aveva trascurato il mendacio del genitore della vittima, non ammettendo la consulenza tecnica dell'ingegnere A.D., le cui conclusioni rendevano evidente la falsità delle dichiarazioni rese da To.Do. nel giudizio di primo grado, che, oltre a essere inquinate dal risentimento che animava il dichiarante, appariva dimostrata dalla progressione accusatoria incerta che le caratterizzava.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli artt. 575 c.p. e 192 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere attendibili le dichiarazioni accusatorie rese nei confronti di L.M. dal collaboratore di giustizia P.B., il cui narrato era stato censurato dalla difesa del ricorrente con argomentazioni con le quali, a fronte della loro evidente decisività, il provvedimento censurato non si era confrontato.
Secondo la difesa del ricorrente, l'attendibilità del narrato del collaborante P.B. non poteva ritenersi corroborato dalle dichiarazioni rese nel giudizio di primo grado dagli altri collaboratori di giustizia ed era contraddetto dalle emergenze probatorie relative alle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che non consentivano di ritenere dimostrato il coinvolgimento del ricorrente nelle attività di pedinamento della persona offesa, svolte la sera del (OMISSIS).
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del 'provvedimento impugnato, in riferimento al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano il riconoscimento dell'aggravante speciale oggetto di contestazione, sulla cui sussistenza si riscontrava una carenza assoluta di motivazione rispetto alle censure difensive, relative all'insussistenza degli elementi costitutivi di tale circostanza, scaturendo la decisione di uccidere To.Gi. dai suoi contrasti personali con S.V., maturati per ragioni estranee all'ambiente criminale soveratese.
Con il quarto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 62-bis c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato, che veniva censurato per la sua eccessività dosimetrica, derivante dalla mancata concessione delle attenuanti generiche, che si imponevano alla luce delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano concretizzati gli accadimenti criminosi.
5.3. Le argomentazioni esposte negli atti di impugnazione introduttivi del presente procedimento penale venivano richiamate e ulteriormente ribadite con i motivi nuovi, depositati congiuntamente dagli avvocati Nicola Cantafora e Salvatore Staiano, articolati in due censure difensive.
Con la prima di tali doglianze si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ritenere necessaria ai fini della decisione l'escussione del consulente tecnico della. difesa, l'ingegnere A.D., la cui audizione avrebbe consentito di confutare le dichiarazioni di To.Do., che riferiva di avere visto dalla sua abitazione, la notte del (OMISSIS), T.M., P.A. e S.V. a bordo del medesimo veicolo.
Con la seconda di queste censure difensive si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 575 c.p. e art. 192 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere attendibili le dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia P.B., il cui narrato era stato censurato dalla difesa del ricorrente con argomenti con cui la decisione censurata non si era confrontata. Tali censure, in particolare, riguardavano le modalità di occultamento del cadavere di To.Gi. - che dovevano essere esaminate alla luce delle conclusioni della consulenza tecnica redatta dall'ingegnere A.D. -; l'esame delle immagini estrapolate dalle telecamere di sorveglianza installate nei luoghi percorsi dall'autovettura della persona offesa la sera del (OMISSIS); le intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari.
5.4. Le considerazioni esposte negli atti di impugnazione depositati nell'interesse dell'imputato L.M. imponevano l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto L.M. è infondato.
2. In via preliminare alla disamina delle singole censure difensive, appare indispensabile richiamare i principi di carattere generale che ne consentono un corretto inquadramento sistematico, alla luce dei parametri ermeneutici di questa Corte.
2.1. La prima questione ermeneutica sulla quale occorre soffermarsi riguarda i principi generali applicabili alle chiamate in correità e in reità acquisite nel presente procedimento, riguardanti le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia esaminati nei giudizi di merito - To.Do., To.Vi., P.B., D.P., A.G., C.G. e B.A. -, che costituiscono il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte di assise di Catanzaro e dalla Corte di assise di appello di Catanzaro, mediante una "doppia conforme" giurisdizionale, pur dovendosi premettere che nella sentenza impugnata si attribuiva un rilievo probatorio preminente alle propalazioni del collaborante P..
Occorre, infatti, premettere che sulla verifica processuale delle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia P.B. e dagli altri collaboranti escussi nei giudizi di merito si incentrava una parte significativa delle censure difensive, prospettate, nell'interesse di L.M., negli atti di impugnazione in esame.
In questo ambito, innanzitutto, è necessario richiamare il principio di diritto affermato nell'ultimo arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite intervenuto in materia di chiamate in correità o in reità, applicabile nei confronti dei propalanti esaminati nel presente procedimento penale, secondo cui: "Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale" (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145-01).
Questo orientamento ermeneutico, com'è noto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai definitivamente consolidato, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: "In tema di chiamata in reità, poichè la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante e quella della attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono lungo linee separate, posto che l'uno aspetto influenza necessariamente l'altro, al giudice è imposta una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili; sicchè, in presenza di elementi incerti in ordine all'attendibilità del racconto, egli non può esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, in quanto - salvo il caso estremo di una sicura inattendibilità del dichiarato - il suo convincimento deve formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo" (Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 23615101; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, Pagnozzi, Rv. 262348-01; Sez. 2, n. 21599 del 16/02/1999, Emmanuello, Rv. 244541-01).
In questa cornice, le chiamate in correità o in reità, in quanto contenute nelle dichiarazioni eteroaccusatorie rese da uno dei soggetti processuali indicati nell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, non possono che soggiacere ai criteri di valutazione della prova previsti da tale disposizione, nel senso che la loro credibilità soggettiva e la loro attendibilità, intrinseca ed estrinseca, devono trovare conferma in altri elementi di prova, con la conseguente accentuazione, conformemente all'espressa previsione del comma 1 dello stesso articolo, dell'obbligo di motivazione del convincimento del giudice, da intendersi come espressione di un giudizio unitario e non frazionabile sulle propalazioni oggetto di vaglio giurisdizionale.
Tale arresto giurisprudenziale, inoltre, nel solco di un orientamento ermeneutico, collegato e parimenti consolidato, ribadisce che, ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si sta discutendo, la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere quella trifasica, fondata sulla valutazione della credibilità del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti con l'accusato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all'accusa nei confronti del chiamato; dalla valutazione dell'attendibilità intrinseca della chiamata effettuata dal propalante, fondata sui criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; dalla verifica esterna dell'attendibilità della dichiarazione accusatoria, effettuata attraverso l'esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa chiamata, idonei ad attestarne la veridicità (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 19246501).
Deve, tuttavia, evidenziarsi, in linea con quanto opportunamente precisato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, che tale sequenza trifasica non deve svilupparsi rigidamente - essendo espressione di un giudizio unitario, omogeneo e non frazionabile sulle propalazioni di volta in volta esaminate -, nel senso che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee separate, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al parì di quanto accade per ogni altra fonte di prova di natura dichiarativa, deve essere valutata unitariamente, conformemente ai criteri epistemologici generali e non prevedendo, per converso, la disposizione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica deroga. In questa direzione, le censure difensive proposte dalla difesa del ricorrente, con riferimento al vaglio processuale delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia P.B. - al quale i Giudici di merito attribuivano un rilievo probatorio prioritario - e dei collaboranti To.Do., To.Vi., D.P., A.G., C.G. e B.A. - al quale nelle sottostanti decisioni si attribuiva un rilievo probatorio secondario -, si muovono in una direzione esattamente inversa a quella prefigurata da questa Corte, tendente a parcellizzare i singoli segmenti dichiarativi dei vari propalanti, prospettando un'operazione di ermeneutica processuale che non è compatibile con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270367-01; Sez. 6, n. 47304 del 12/11/2015, Messina, Rv. 26535501; Sez. 6, n. 1472 del 02/11/1998, dep. 1999, Archesso, Rv. 213446-01).
In questi termini, ogni operazione di ermeneutica processuale tendente a frazionare i vari passaggi valutativi delle dichiarazioni dei chiamanti in correità o in reità escussi deve essere ritenuta inammissibile, atteso che, nel valutare le propalazioni di tali soggetti, eventuali riserve circa l'attendibilità del loro narrato devono essere superate, vagliandone la valenza probatoria alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti, attraverso un percorso argomentativo necessariamente unitario. Non è, pertanto, possibile parcellizzare le dichiarazioni accusatorie rese, in via prioritaria, dal collaboratore di giustizia P.B. e, in via secondaria, dai collaboranti To.Do., To.Vi., D.P., A.G., C.G. e B.A. nei confronti dell'imputato L.M., atteso che le loro propalazioni devono essere valutate unitariamente, alla luce del compendio probatorio acquisito, attraverso un percorso argomentativo omogeneo e non frazionabile (Sez. 1, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, cit.; Sez. 6, n. 47304 del 12/11/2015, Messina, cit.; Sez. 6, n. 1472 del 02/11/1998, dep. 1999, Archesso, cit.).
Quanto, infine, alla tipologia e all'oggetto dei riscontri probatori, la genericità del riferimento agli elementi di prova da parte dell'art. 192 c.p.p., comma 3, legittima l'interpretazione secondo cui, in questo ambito, vige il principio della libertà degli elementi di riscontro estrinseco, nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendendo non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo penale e idoneo, sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto bisognoso di conferma giurisdizionale (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, cit.).
Ne discende che il riscontro estrinseco alle chiamate in correità o in reità di un propalante può essere offerto anche dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più degli altri soggetti indicati nella richiamata disposizione, in termini analoghi a quanto si verificava nel caso in esame per le propalazioni dei collaboratori di giustizia P.B., To.Do., To.Vi., D.P., A.G., C.G. e B.A.. Infatti, qualunque elemento probatorio, diretto o indiretto che sia, purchè estraneo alle dichiarazioni che devono essere riscontrate, può essere legittimamente utilizzato a conferma della loro attendibilità, che dovrà essere vagliata rigorosamente dal giudice, verificando l'attendibilità intrinseca delle varie dichiarazioni e la loro attitudine a fungere da riscontro estrinseco di quella - o di quelle - che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria o paritaria rispetto alle altre, della propria decisione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, cit.).
Tenuto conto di questi parametri ermeneutici, occorre esaminare le propalazioni acquisite in relazione alle ipotesi delittuose contestate a L.M. ai capi 2, 3 e 4, allo scopo di vagliare la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di Catanzaro e dalla Corte di assise di appello di Catanzaro nel valutare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia escussi nei giudizi di merito, che costituiscono il nucleo essenziale del giudizio di responsabilità formulato nei confronti del ricorrente.
2.2. La seconda questione ermeneutica di carattere comune su cui occorre soffermarsi riguarda il tema del vizio del travisamento dell'atto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con specifico riferimento al compendio probatorio costituito dalle intercettazioni, telefoniche e ambientali, acquisite nel corso delle indagini preliminari, al quale fanno riferimento - con varietà di posizioni argomentative - entrambi gli atti di impugnazione depositati nell'interesse dell'imputato L.M..
Occorre premettere che sul compendio probatorio costituito dalle captazioni, telefoniche e ambientali, acquisite nel corso delle indagini preliminari si incentrava una parte consistente delle doglianze attinenti al merito delle vicende delittuose ascritte all'imputato L.M. ai capi 2, 3 e 4 della rubrica, che venivano prospettate dalle difese dei ricorrenti allo scopo di censurare la ricostruzione degli accadimenti criminosi effettuata dalla Corte di assise di appello di Catanzaro.
In questo ambito, occorre concentrarsi sul compendio probatorio costituito dalle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che venivano richiamate nelle sentenze di merito mediante citazioni testuali dei passaggi salienti di tali conversazioni, con riferimento alle verifiche processuali svolte in relazione alle ipotesi delittuose contestate ai capi 2, 3 e 4. Come si è detto, a questi elementi probatori fanno riferimento gli atti di impugnazione oggetto di vaglio, in termini di travisamento del significato attribuito alle captazioni acquisite, imponendo una ricognizione preliminare delle questioni ermeneutiche indispensabili per inquadrare le patologie processuali censurate con i ricorsi in esame.
Osserva, in proposito, il Collegio che il controllo di legittimità sul vizio di manifesta illogicità della motivazione viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti processuali. Ne consegue che, nella verifica della fondatezza dei motivi di ricorso formulati ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il giudice di legittimità non deve accertare la plausibilità e l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, proprie del giudizio di merito, ma soltanto stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione e fornito esauriente risposta alle deduzioni delle parti, applicando correttamente le regole processuali.
Pertanto, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento impugnato sia manifestamente carente sul piano motivazionale o logico, per cui non può essere ritenuto legittimo opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione una diversa e alternativa ricostruzione degli stessi, ancorchè altrettanto logica, perchè in tal caso verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito, come affermato dalle Sezioni Unite in un risalente e insuperato arresto giurisprudenziale (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945-01).
Infatti, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non è funzionale a stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento giurisdizionale (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304-01; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568-01; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369-01).
2.2.1. Passando a considerare il tema del vizio di travisamento dell'atto processuale, deve osservarsi che, a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), da parte della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la sua valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei sottostanti giudizi, deve ritenersi consentita la - deduzione del vizio di travisamento della prova, che ricorre nell'ipotesi in cui il giudice di merito fondi il suo convincimento giurisdizionale su una prova che non esiste o su un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, atteso che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se tali elementi sussistano (Sez. 3, n. 18521 dell'11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli, Rv. 236893-01; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559-01).
In questa cornice ermeneutica, si deve ulteriormente rilevare che, in tema di valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche o ambientali, gli indizi raccolti in tale ambito possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell'imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano gravi, precisi e concordanti, fermo restando che l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle singole conversazioni costituisce una quaestio facti, che è rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità, laddove risulti motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza, alla verifica dei quali questo Collegio si deve attenere scrupolosamente (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389-01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 25816401; Sez. 6, n. 15396 dell'11/12/2007, dep. 2008, Sitzia, Rv. 23963601).
Ne discende che, in sede di legittimità, non è possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto delle intercettazioni acquisite nei giudizi di merito, essendo una tale operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente al seguente principio di diritto: "In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650-01; Sez. 1, n. 3643 del 26/05/1997, Scotto, Rv. 208254-01).
In questo contesto, occorre ribadire il consolidato principio di diritto secondo cui, a seguito della riformulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, non è consentito dedurre il vizio di travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la sua valutazione delle risultanze processuali a quella che è stata compiuta nei giudizi di merito. Se così non fosse, si domanderebbe a questa Corte il compimento di un'operazione ermeneutica palesemente estranea al giudizio di legittimità, come quella della reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623-01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215-01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167-01).
Discorso, questo, che vale anche con riferimento alla lettura del contenuto delle conversazioni e delle comunicazioni captate durante le indagini preliminari, rispetto alle quali è stato tratteggiato nei due atti di impugnazione depositati nell'interesse dell'imputato L.M., in termini sostanzialmente assimilabili, un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti coinvolti in quelle intercettazioni, che costituisce una questione esclusivamente fattuale, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se e nella misura in cui le valutazioni effettuate dai giudici di merito risultano logiche e coerenti in rapporto alle massime di esperienza utilizzate per l'interpretazione di tali captazioni. Sul punto, allo scopo di circoscrivere con maggiore puntualità gli ambiti di intervento del giudice di legittimità in relazione all'operazione di ermeneutica processuale compiuta dai Giudici di merito catanzaresi sui risultati delle intercettazioni, si ritiene necessario richiamare il seguente principio di diritto: "In tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione" (Sez. 6, n. 29530 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414-01; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, Acampa, Rv. 278611-01).
Questa posizione ermeneutica, da ultimo, è stata ribadita dalle Sezioni Unite, che, in linea con la giurisprudenza che si è richiamata, hanno affermato il principio di diritto, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui: "In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità" (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01).
2.3. La terza questione ermeneutica comune sulla quale occorre soffermarsi preliminarmente riguarda il rapporto tra la motivazione della sentenza di primo grado e la motivazione della sentenza di secondo grado, che deve essere valutato in stretta correlazione al tema dell'ammissibilità della motivazione per relationem del provvedimento di appello che ci si trova a giudicare in sede di legittimità. Tale questione, ai presenti fini, assume uno specifico rilievo in relazione alla posizione processuale di L.M., per la quale le sottostanti decisioni di merito risultano tra loro concordanti, dando luogo a un'ipotesi di "doppia conforme" giurisdizionale.
Deve, innanzitutto, osservarsi che, nel valutare la congruità del giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte di assise di appello di Catanzaro - in senso conforme alla sentenza emessa dalla Corte di assise di Catanzaro il 18/07/2016 - nei confronti dell'imputato L.M., occorre tenere conto dell'unitarietà del complesso motivazionale costituito da entrambe le decisioni di merito, che, nel nostro caso, è imposta dall'esistenza di una "doppia conforme" giurisdizionale (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Tudino, Rv. 277758-01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
I provvedimenti decisori oggetto di vaglio giurisdizionale, infatti, per effetto della loro convergenza, prefigurano un'ipotesi di "doppia conforme" e si sviluppano secondo linee logiche e giuridiche concordanti, con la conseguenza che - sulla base dell'orientamento ermeneutico consolidato di questa Corte - la motivazione della sentenza di primo grado si salda necessariamente con quella della decisione di appello, formando un corpo motivazionale unitario e inscindibile, a prescindere da eventuali richiami censori a singoli passaggi argomentativi della decisione impugnata, pur pregevoli, effettuati dalla difesa del ricorrente per evidenziarne l'incongruità argomentativa. Da questo punto di vista, si ritiene indispensabile richiamare il principio di diritto, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui: "Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata" (Sez. 3, n. 13926 dell'01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 37925 del 12/06/2019, Pellegrino, Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 10613 dell'01/02/2002, Lombardozzi, Rv. 221116-01).
Ne discende che i singoli passaggi motivazionali della sentenza emessa dalla Corte di assise di Catanzaro il 18/07/2016 devono necessariamente integrarsi con gli omologhi passaggi esplicitati nella sentenza di appello, pronunciata dalla Corte di assise di appello di Catanzaro il 18/12/2019, componendo i due provvedimenti decisori, per effetto della ricorrenza di un'ipotesi di "doppia conforme" giurisdizionale, un percorso argomentativo unitario rispetto alla responsabilità penale dell'imputato L.M..
Tale percorso argomentativo, dunque, risulta adeguato rispetto alle emergenze processuali e conforme ai parametri ermeneutici consolidati di questa Corte, secondo cui: "Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione" (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv, 236181-01; Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 2014, Albergamo, Rv. 192250-01).
In questa cornice, non è nemmeno possibile ipotizzare che la sentenza in esame, per il semplice richiamo, in alcuni casi obiettivamente sintetico, a singoli passaggi motivazionali del provvedimento decisorio sottostante, possa ricondursi alla categoria degli atti per relationem, atteso che, nel giudizio di appello, la valutazione della specificità dei motivi di impugnazione si pone in termini differenti e meno stringenti rispetto a quanto è necessario per il ricorso per cassazione, in ragione del carattere di mezzo di gravame di tipo devolutivo del primo dei due rimedi, atto a provocare un nuovo esame del merito. Tutto questo non può che comportare una valutazione meno rigorosa dei singoli passaggi motivazionali di volta in volta considerati (Sez. 6, n. 3721 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 265827-01; Sanna, Sez. 2, n. 8345 del 23/11/2013, dep. 2014, Pierannunzio, Rv. 258529-01; Sez. 1, n. 1445 del 14/10/2013, dep. 2014, Spada, Rv. 258357-01).
Ferme restando tali considerazioni, che impongono di escludere la sussistenza nel caso di specie di una sentenza di secondo grado motivata dalla Corte di assise di appello di Catanzaro per relationem, nei casi di "doppia conforme" giurisdizionale, per il semplice riferimento a singoli passaggi processuali del sottostante giudizio di merito, si deve rilevare conclusivamente che, nel nostro sistema, deve ritenersi comunque ammissibile la motivazione per relationem delle decisioni di appello, in presenza dei presupposti - certamente ricorrenti nel nostro caso - canonizzati dal seguente principio di diritto: "La motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione" (Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 26183901; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Salcini, Rv. 274252-01; Sez. 4, n. 4181 del 14/11/2008, Benincaca, Rv. 238674-01).
3. Passando a considerare le singole censure difensive, occorre prendere le mosse dall'atto di impugnazione depositato dall'avvocato Salvatore Staiano, articolato in tre censure difensive.
3.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, così come integrato dai motivi nuovi depositati dagli avvocati Nicola Cantafora e Salvatore Staiano, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 575 c.p. e art. 192 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere attendibili le dichiarazioni accusatorie rese nei confronti dell'imputato L.M. dal collaboratore di giustizia P.B., il cui narrato era stato censurato dalla difesa del ricorrente con argomentazioni logico-processuali con cui la Corte di assise di appello di Catanzaro, a fronte della loro evidente decisività, aveva omesso di confrontarsi.
Osserva il Collegio che tale censura costituisce una riproposizione, pur pregevolmente prospettata, delle doglianze poste a fondamento dell'atto di appello - alle quali la Corte di assise di appello di Catanzaro rispondeva in termini ineccepibili - e appare smentita dalle risultanze processuali.
Al contempo, tale censura difensiva, che deve essere esaminata nel più ampio contesto del compendio probatorio costituito dalle dichiarazioni accusatorie rese, oltre che dallo stesso P.B., dai collaboratori di giustizia To.Do., To.Vi., D.P., A.G., C.G. e B.A., mirando a parcellizzare i singoli segmenti dichiarativi delle propalazioni del collaborante P., propone un'operazione di ermeneutica processuale incompatibile con i principi che si sono richiamati nel paragrafo 2.1, cui si deve rinviare (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, cit.; Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, cit.).
In questa cornice, non può non ribadirsi, in linea con quanto affermato dalla Corte di assise di appello di Catanzaro, che la chiamata in reità diretta effettuata da P.B. nei confronti dell'imputato non presenta alcuna incertezza ricostruttiva, avendo appreso il collaboratore di giustizia delle dinamiche sottese all'omicidio di To.Gi. da L.M., che era uno degli autori dell'attentato, con il quale, tra l'altro, aveva partecipato alle operazioni di occultamento del cadavere della vittima. Tali propalazioni, dunque, venivano ritenute pienamente attendibili sulla base dei parametri ermeneutici ai quali ci si è riferiti nel paragrafo 2.1, sopra citati, nel più ampio contesto delle dichiarazioni confessorie rese da P.B. quale affiliato della cosca P.- S.- T..
In questo contesto, sulla base di un percorso argomentativo ineccepibile, nella sentenza impugnata venivano esplicitate le ragioni della conferma del giudizio di colpevolezza formulata nei confronti dell'imputato L.M., rappresentando, logicamente ed esaustivamente, che il giudizio di credibilità e di attendibilità del collaboratore di giustizia P.B. e degli altri collaboranti non veniva affermato assertivamente, ricevendo compiuta trattazione e corretta definizione nella sentenza di primo grado, ottenendo una compiuta verifica giurisdizionale nel ragionamento probatorio svolto all'esito al giudizio di secondo grado.
La Corte di assise di appello di Catanzaro, dunque, rimarcava l'elevata valenza probatoria, attribuibile alla chiamata in reità diretta del collaboratore di giustizia P.B., che aveva partecipato personalmente alla fase successiva all'omicidio di To.Gi. - sviluppatasi in complesse operazioni di seppellimento e disseppellimento, che si svolgevano tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) -, finalizzata all'occultamento del cadavere della vittima, sottolineando il sicuro supporto probatorio del propalante, derivato dal giudizio di riconducibilità dell'assassinio al ricorrente e agli altri coimputati, che lo avevano coadiuvato.
Non può, in ogni caso, non rilevarsi che le propalazioni del collaborante P.B. non venivano valutate isolatamente, ma in correlazione alle ulteriori emergenze probatorie, tra le quali peculiare rilievo veniva attribuito ai dati ricavabili dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari - che coinvolgevano personalmente L.M. -, che consentivano di monitorare le attività di pedinamento effettuate dagli attentatori nei confronti di To.Gi., che precedevano il suo sequestro e il suo assassinio.
Tali elementi probatori, a loro volta, si ritenevano corroborati dai filmati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza installate nei pressi della gioielleria " C." di (OMISSIS), posta all'inizio del (OMISSIS), che riprendevano alcuni passaggi delle operazioni di pedinamento della vittima propedeutici al suo assassinio, nelle quali risultava personalmente coinvolto L.M., che, del resto, ammetteva il suo coinvolgimento nel colloquio intrattenuto con P.B. durante le operazioni di seppellimento di To.Gi..
Questi, convergenti, elementi probatori inducevano a ritenere le dichiarazioni rese da P.B. intrinsecamente attendibili ed estrinsecamente riscontrate dalle ulteriori emergenze probatorie, che imponevano di ritenere certo il coinvolgimento dell'odierno ricorrente nell'assassinio di To.Gi., che si evinceva dal complesso delle acquisizioni processuali che si sono richiamate, rispetto alle quali le censure difensive, pur pregevolmente prospettate, non appaiono idonee a disarticolare il percorso argomentativo posto a fondamento del giudizio di colpevolezza censurato.
Appaiono, quindi, condivisibili le conclusioni alle quali giungeva la Corte di assise di appello di Catanzaro, che, a proposito dell'attendibilità delle propalazioni di P.B., nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 67 della sentenza impugnata, evidenziava che "le notizie fornite dal P. in relazione all'occultamento del cadavere di To.Gi. derivano da diretta percezione dei fatti narrati, avendovi egli preso parte personalmente; sono, invece, notizie de relato quelle afferenti agli esecutori dell'omicidio". Per questo secondo segmento delle dichiarazioni accusatorie di P.B., in particolare, la Corte territoriale catanzarese osservava che "in questo caso la fonte è rappresentata dallo stesso L. e si presenta altamente attendibile, avendo egli preso parte direttamente al delitto e risultando plausibile che abbia narrato la vicenda al cognato, al quale, all'epoca, aveva buoni rapporti ed era legato da cointeressenza delinquenziale, facendo entrambi parte della medesima consorteria mafiosa".
Pertanto, nel ribadire ulteriormente che tale censura difensiva costituisce una riproposizione, pur elegantemente prospettata, delle doglianze poste a fondamento dell'atto di appello, non può non rilevarsi che nessuna incongruenza argomentativa è ravvisabile nei passaggi motivazionali censurati dalla difesa di L.M., che appaiono pienamente rispettosi delle emergenze probatorie acquisite nei giudizi di merito.
3.1.1. Le censure difensive, per altro verso, trascurano sia l'attendibilità intrinseca del narrato del collaboratore di giustizia P.B., sia l'univocità delle dichiarazioni accusatorie effettuate nei giudizi di merito, sulla cui rilevanza probatoria, per le ragioni che si sono esposte nel paragrafo precedente, non è possibile nutrire dubbi di sorta.
Non è, invero, dubitabile che risponda a canoni logico-processuali la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti da un collaboratore di giustizia - nel caso di specie rappresentate dalle propalazioni di P.B. -, per cui la loro attendibilità, anche se negata per una parte del racconto, non ne coinvolge necessariamente le altre, che reggano alla verifica del riscontro probatorio, per essere avvalorate da elementi di natura estrinseca al resoconto, che consentano di eseguire un frazionamento valutativo delle propalazioni acquisite. Si tratta, allora, di ribadire la legittimità di un'operazione di ermeneutica processuale che, laddove correttamente eseguita dai giudici di merito, come nel caso in esame, non può essere censurata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Non può, in proposito, non rilevarsi che il collaboratore di giustizia P.B. forniva una ricostruzione degli accadimenti criminosi che, nel suo nucleo essenziale, è corroborata dal compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito, su cui la Corte di assise di appello di Catanzaro si soffermava in termini ineccepibili. Il collaborante, infatti, pur incorrendo in alcune contraddizioni dovute alla difficoltà di collocare mnemonicamente la vicenda processuale, verificatasi diversi anni prima delle sue propalazioni -, ricostruiva l'assassinio di To.Gi. in termini intrinsecamente attendibili e riscontrati dagli elementi probatori acquisiti nei confronti di L.M., tra i quali un rilievo preminente doveva essere attribuito alle intercettazioni acquisite tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), richiamate nel paragrafo precedente, che confermavano il coinvolgimento del ricorrente nelle attività propedeutiche all'esecuzione dell'attentato.
Le incongruenze mnemoniche riscontrate nel narrato di P.B., del resto, derivavano dalle modalità estemporanee con cui il ricorrente veniva coinvolto nelle operazioni di seppellimento del cadavere di To.Gi., atteso che, secondo quanto riferito dallo stesso propalante, non aveva alcuna consapevolezza dell'agguato che era stato eseguito qualche ora prima del suo intervento. Infatti, solo dopo essere arrivato nel cantiere di (OMISSIS), a bordo del suo furgone, P.B. si rendeva conto di essere stato chiamato per aiutare L.M., insieme al quale scavava una buca dentro la quale veniva gettato il corpo esamine di To.Gi., che, in quel momento, non riconosceva.
Si riteneva, quindi, correttamente di superare le incongruità del narrato del collaboratore di giustizia di P.B., che riguardavano l'impiego lavorativo di escavatorista svolto all'epoca dei fatti presso il Parco eolico di (OMISSIS); le modalità con cui si era proceduto al duplice seppellimento del cadavere di To.Gi., che postulavano un'adeguata ricostruzione degli spostamenti del propalante e dell'individuazione del luogo della sepoltura nelle due occasioni; le circostanze di tempo e di luogo nelle quali P.B., la mattina del (OMISSIS), era stato coinvolto nelle operazioni di occultamento del cadavere della persona offesa.
Ne discende che su tali, come detto non decisive, discrasie dichiarative la Corte di assise di appello di Catanzaro si soffermava correttamente, compiendo un vaglio ineccepibile delle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia P.B., che venivano correlate al compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito, che appariva univocamente orientato nel ritenere l'imputato L.M. pienamente coinvolto nell'esecuzione dell'omicidio di To.Gi., così come contestato al capo 3.
Sul punto, non si possono che citare le conclusioni alle quali giungeva la Corte di assise di appello di Catanzaro, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 57 della sentenza impugnata, che richiamava la sottostante decisione, evidenziava che "la capacità di contestualizzazione degli eventi rassicurano sull'affidabilità del narrato della fonte, vieppiù a considerare lo sforzo mnemonico cui la stessa è stata chiamata, avendo il P. ricostruito diversi anni di carriera criminale, che, a suo dire, era iniziata già prima che ricevesse il battesimo, che ha collocato nel periodo compreso tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008"; considerazioni, queste, che valevano "a giustificare quei difetti rievocativi caduti su circostanze affatto accessorie, in specie il tempo di percorrenza per arrivare sul luogo in cui era stato occultato il cadavere, le modalità con le quali il L. aveva raggiunto il suddetto luogo, le condizioni metereologiche".
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Catanzaro, pertanto, appare rispettoso della giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui "è legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie relative ad una parte del racconto, soprattutto quando i fatti narrati siano per lo più lontani nel tempo e si riferiscano ad una serie di episodi talora appresi non direttamente, ma solo in conseguenza delle rivelazioni degli autori materiali dei singoli reati" (Sez. 1, n. 41585 del 20/06/2017, Maggi, Rv. 271253-01).
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale risalente nel tempo e ormai definitivamente consolidato, secondo cui, per le dichiarazioni accusatorie rese da chiamanti in correità o da chiamanti in reità, è "sempre ammissibile la cosiddetta "frazionabilità", nel senso che la attendibilità della dichiarazione accusatoria anche se denegata per una parte del racconto, non ne coinvolge necessariamente tutte le altre che reggano alla verifica giudiziale del riscontro; così come, per altro verso, la credibilità ammessa per una parte dell'accusa non può significare attendibilità per l'intera narrazione in modo automatico" (Sez. 6, n. 4162 del 02/11/1994, dep. 1995, Aveta, Rv. 200904-01).
Non può, pertanto, non ribadirsi conclusivamente, che, nelle ipotesi di chiamate in correità o in reità effettuate da un collaboratore di giustizia, è certamente legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie relative a una parte del narrato, quando i fatti descritti dal propalante si riferiscono a episodi che non sono appresi direttamente dal dichiarante, ma in conseguenza delle rivelazioni degli autori materiali dei reati. Tuttavia, il procedimento di valutazione frazionata postula l'individuazione del nucleo essenziale delle dichiarazioni accusatorie oggetto di vaglio, sul quale deve concentrarsi il giudizio di credibilità soggettiva, di attendibilità intrinseca e di attendibilità estrinseca del narrato del propalante, su cui il giudice di merito si deve soffermare analiticamente - in termini analoghi a quanto effettuato dalla Corte di assise di appello di Catanzaro con riferimento alla posizione di L.M. -, non essendo ammissibile, a sostegno del giudizio positivo di frazionabilità, il ricorso a formule di stile o ad affermazioni di contenuto assertivo.
3.1.2. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso.
3.2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano il riconoscimento dell'aggravante speciale oggetto di contestazione, sulla cui configurazione si riscontrava una carenza assoluta di motivazione, a fronte delle specifiche censure difensive, relative all'insussistenza degli elementi costitutivi di tale circostanza, scaturendo la decisione di uccidere To.Gi. dai suoi contrasti personali con S.V., che erano maturati per ragioni estranee all'ambiente 'ndranghetistico soveratese.
Osserva il Collegio che le ipotesi delittuose contestate a L.M. ai capi 2, 3 e 4 della rubrica venivano collegate alla sfera di operatività della cosca P.- S.- T., nella quale sia l'imputato sia i complici gravitavano, nel più ampio contesto della criminalità organizzata 'ndranghetistica, alle cui logiche egemoniche devono essere ricondotti gli episodi criminosi oggetto di contestazione, che si innestavano nei rapporti di aspra conflittualità sviluppatisi tra S.V. e To.Gi..
Nè sussistono dubbi sulle ragioni, collegate alla cosca P.- S.- T., che inducevano L.M. e i suoi complici a organizzare l'omicidio di To.Gi., dovendosi, in proposito, richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 71 della sentenza impugnata, nella quale la Corte di assise di appello di Catanzaro evidenziava correttamente: "La causale dell'omicidio è stata correttamente individuata nella reazione di S.V., T.M. ed i loro accoliti avverso l'attentato subito dal primo nello stesso giorno del (OMISSIS), in orario non accertato, della cui commissione il S. ha indicato come responsabili To.Gi. e C.P.; ciò in ragione dell'elevarsi dello scontro, prima latente che aveva connotato negli ultimi tempi i rapporti tra To.Gi. e S.V., rivendicando quest'ultimo la supremazia sul territorio".
L'eliminazione di To.Gi., dunque, era funzionale al perseguimento degli obiettivi di affermazione territoriale della cosca P.- S.- T., attiva nell'area soveratese, della quale S.V. era uno degli esponenti di spicco, che si ponevano in stretta correlazione con le modalità con cui l'agguato mortale veniva eseguito, su cui ci si è soffermati nei paragrafi 3.1 e 3.1.1, ai quali occorre rinviare.
Questi, incontroversi, elementi probatori devono ritenersi idonei a fare ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell'aggravante speciale di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, essendo evidente che il rafforzamento sul territorio della consorteria nella quale gravitava L.M. veniva perseguito attraverso l'esecuzione di un attentato realizzato con modalità tipicamente 'ndranghetistiche. A conferma della correttezza del riconoscimento dell'aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 da parte della Corte di assise di appello di Catanzaro, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203, è necessario accertare e porre in evidenza sia i concreti tratti esteriori del comportamento criminoso dell'agente, che devono essere connotati dall'efficacia intimidatrice e dalla forza di pressione tipiche degli assetti organizzativi mafiosi; sia anche la diretta incidenza agevolatrice di tale comportamento sulle attività proprie del sodalizio criminale, tanto da risultare oggettivamente funzionale a queste ultime" (Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014, Imbalzano, Rv. 258808-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 44903 del 13709/2017, Cocuzza, Rv. 271062-01; Sez. 5, n. 34242 dell'01/07/2009, Palmiero, Rv. 244915-01).
Nè potrebbe essere diversamente, atteso che, per la configurazione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, correttamente riconosciuta dalla Corte territoriale catanzarese, era indispensabile accertare con quali modalità il delitto veniva eseguito dall'imputato L.M., atteso che tale circostanza "ha natura soggettiva, in quanto incentrata su una particolare motivazione a delinquere, desumibile anche dalle modalità dell'azione, rilevanti quali parametri rivelatori del substrato psicologico di detta aggravante; tuttavia, ai fini della sua configurabilità, occorre valutare l'oggettiva idoneità del delitto ad agevolare, non necessariamente il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio, ma l'attività dell'associazione stessa, ovvero una delle manifestazioni esterne della vita della medesima" (Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, Barallo, Rv. 273538-01).
Queste considerazioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso.
3.3. Deve, infine, ritenersi inammissibile il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 62-bis c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato, che veniva censurato per la sua eccessività dosimetrica, derivante dal disconoscimento dell'aggravante della premeditazione di cui al capo 3 e dalla mancata concessione delle attenuanti generiche, che erano state negate al ricorrente sulla base dell'assertivo richiamo dei "fattori socio-culturali e del contesto di sviluppo" che connotavano l'omicidio di To.Gi., con un palese travisamento delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano concretizzati gli accadimenti criminosi.
Osserva il Collegio che il giudizio dosimetrico formulato nei confronti del ricorrente è suffragato dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di assise di appello di Catanzaro, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, dei reati contestati al ricorrente ai capi 2, 3 e 4, sulla base delle quali applicava al ricorrente l'aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 ed escludeva il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Queste conclusioni discendevano da una verifica immune da censure motivazionali, che teneva conto dell'elevato disvalore dei reati contestati a L.M. ai capi 2, 3 e 4 della rubrica e dell'inserimento delle vicende delittuose sottoposte alla cognizione della Corte di assise di appello di Catanzaro in un contesto consortile di particolare pervasività territoriale, rappresentato dall'operatività della cosca P.- S.- T., nel cui contesto erano maturati i dissidi tra S.V. e To.Gi..
Ne discende che, tenuto conto della condizione soggettiva dell'imputato e del disvalore dei fatti delittuosi contestati, nella sentenza impugnata veniva compiuta una valutazione dosimetrica conforme ai parametri previsti dall'art. 133 c.p., nel considerare la quale non si può non rilevare che - al contrario di quanto dedotto dalla difesa di L.M. sull'eccessività della pena, quantificata in trent'anni di reclusione - il trattamento sanzionatorio risulta congruo rispetto alla particolare gravità delle ipotesi delittuose ascritte all'imputato ai capi 2, 3 e 4, che riguardavano un agguato di matrice 'ndranghetistica, all'esito del quale veniva assassinato To.Gi..
Quanto, infine, alla mancata concessione delle attenuanti generiche, deve rilevarsi che tali circostanze rispondono alla funzione di adeguare la pena al caso concreto, nella globalità degli elementi, oggettivi e soggettivi, che la connotano, sul presupposto del riconoscimento di situazioni fattuali, eventualmente riscontrate con riferimento alla posizione dell'imputato. La necessità di un giudizio che coinvolga tale posizione nel suo complesso - e che impediva la concessione a L.M. delle attenuanti generiche sulla scorta delle argomentazioni richiamate - è sintetizzata dal seguente principio di diritto: "Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena" (Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, Catone, Rv. 212804-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv. 260054-01; Sez. 6, n. 8668 del 28/05/1999, Milenkovic, Rv. 214200-01).
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che è possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto: "Le attenuanti generiche non possono essere intese come una benevola e discrezionale "concessione" del giudice ma come il riconoscimento di situazioni, non contemplate specificamente (art. 62 c.p.), che non sono comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 ovvero che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione; situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento della quantità del reato e della capacità a delinquere dell'imputato, sicchè il loro riconoscimento consenta di pervenire ad una più valida e perspicace valutazione degli elementi che segnano i parametri per la determinazione della pena da irrogare in concreto" (Sez. F, n. 12280 del 28/08/1990, Poliseri, Rv. 185267-01).
Queste ragioni impongono di ribadire l'inammissibilità del terzo motivo di ricorso.
3.4. Le considerazioni esposte impongono di ritenere infondato l'atto di impugnazione depositato dall'avvocato Salvatore Staiano nell'interesse dell'imputato L.M..
4. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per l'atto di impugnazione proposto dall'imputato L.M., a mezzo dell'avvocato Nicola Cantafora, articolato in quattro censure difensive.
4.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, così come integrato dai motivi nuovi depositati dagli avvocati Nicola Cantafora e Salvatore Staiano, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano di ritenere necessaria ai fini della decisione l'escussione del consulente tecnico della difesa, l'ingegnere A.D., e del luogotenente C.G., le cui deposizioni avrebbero consentito di confutare le dichiarazioni rese da To.Do. - il padre della vittima -, laddove affermava di avere visto dalla sua abitazione, nelle prime ore del (OMISSIS), T.M., P.A. e S.V. a bordo della stessa autovettura.
Osserva il Collegio che il compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito non consentiva di ritenere necessario l'esame del consulente tecnico della difesa, l'ingegnere A.D., e del luogotenente C.G., invocato dalla difesa del ricorrente ex art. 603 c.p.p., che postulava una rivalutazione degli accadimenti criminosi incompatibile con le dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia P.B. e con le intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che costituiscono il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dell'imputato L.M., in linea con quanto si è affermato nei paragrafi 3.1 e 3.1.1, cui si deve rinviare ulteriormente.
Rispetto a questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'espletamento di ulteriori verifiche dibattimentali, incentrate sulle deposizioni dell'ingegnere A.D. e del luogotenente C.G., tenuto conto dell'univocità del compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito nei confronti dell'imputato L.M., non era idoneo, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., a disarticolare il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Catanzaro.
Pertanto, le richieste di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate nel giudizio di secondo grado nell'interesse di L.M., ai sensi dell'art. 603 c.p.p., non erano meritevoli di accoglimento, dovendosi ribadire, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si può ricorrere "solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonchè quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza" (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228-01).
Non è, del resto, dubitabile che alla rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello, disposta ex art. 603 c.p.p., si può ricorrere solo quando il giudice ritenga che i dati probatori acquisiti nel giudizio di merito siano insufficienti e, per converso, che l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso di eliminare le eventuali incertezze ovvero di inficiare ogni altra, contraria, risultanza. La disposizione dell'art. 603 c.p.p., dunque, consente al giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione di L.M., di ammettere l'integrazione probatoria richiesta, sull'assunto che l'incombente istruttorio possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione alternativa degli accadimenti criminosi, come costantemente affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Novarese, Rv. 228920-01; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca, Rv. 227494-01).
Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso.
4.2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, prospettato in termini sovrapponibili al primo motivo dell'atto di impugnazione depositato dall'avvocato Salvatore Staiano, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 575 c.p. e art. 192 c.p.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere attendibili le dichiarazioni accusatorie rese nei confronti di L.M. dal collaboratore di giustizia P.B., il cui narrato era stato censurato dalla difesa del ricorrente con argomentazioni con le quali, a fronte della loro evidente decisività, il provvedimento censurato non si era confrontato.
Secondo la difesa del ricorrente, l'attendibilità del narrato del collaborante P.B. non poteva ritenersi riscontrata dalle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia ed era contraddetta dalle ulteriori emergenze probatorie relative alle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari; ai controlli effettuati dai Carabinieri della Stazione di D.M. la sera del (OMISSIS); alle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza installati nella zona dove era stato eseguito il sequestro della vittima; all'incerta causale dell'omicidio.
Si tratta, come detto, di una doglianza che risulta prospettata in termini assimilabili al primo motivo dell'atto di impugnazione proposto nell'interesse dell'imputato L.M. dall'avvocato Salvatore Staiano, postulando una rivalutazione complessiva del compendio probatorio acquisito nei confronti del ricorrente, che si è passato in rassegna nei paragrafi 3.1 e 3.1.1, al quale occorre rinviare per la compiuta ricognizione delle ragioni che impongono di ritenere infondata la censura difensiva in esame.
A queste, pur dirimenti, considerazioni deve aggiungersi che le marginali discrasie riscontrabili nel narrato del collaboratore di giustizia P.B. che, peraltro, trovano la loro giustificazione nello sviluppo dell'attentato in danno di To.Gi. e nelle modalità con cui il propalante veniva coinvolto nelle operazioni di occultamento del cadavere la mattina del (OMISSIS) - non inficiano il nucleo essenziale delle sue propalazioni, che appare convergente nel descrivere la fase successiva all'omicidio della vittima, che deve essere collegata alla scelta di eseguire l'agguato dopo il danneggiamento dell'autovettura di S.V..
Le censure difensive, in ogni caso, trascurano sia l'attendibilità intrinseca del narrato del collaboratore di giustizia P.B. sia l'univocità delle sue dichiarazioni accusatorie, sulla cui rilevanza probatoria, alla luce dei parametri ermeneutici che si sono richiamati nel paragrafo 3.1.1 (Sez. 1, n. 41585 del 20/06/2017, Maggi, cit.; Sez. 6, n. 4162 del 02/11/1994, dep. 1995, Aveta, cit.), non è possibile nutrire alcun dubbio.
Occorre, pertanto, evidenziare che risponde a canoni di ragionevolezza logico-processuale la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti da uno o più collaboratori di giustizia - come nel caso delle propalazioni di P.B. -, per cui la loro attendibilità, anche se negata per una parte del racconto, non ne coinvolge necessariamente le altre, che reggano alla verifica del riscontro probatorio, per essere avvalorate da elementi di natura estrinseca al resoconto, che consentano di eseguire un frazionamento valutativo del narrato.
Si tratta, allora, di ribadire conclusivamente la legittimità di un'operazione di ermeneutica processuale, fondata sulla frazionabilità delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che, laddove correttamente eseguita dai giudici di merito, come nel caso in esame, non è censurabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
4.3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il terzo motivo di ricorso, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato L.M. dall'avvocato Salvatore Staiano, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano il riconoscimento dell'aggravante speciale oggetto di contestazione, sulla cui sussistenza si riscontrava una carenza assoluta di motivazione rispetto alle censure difensive, relative all'insussistenza degli elementi costitutivi di tale circostanza, scaturendo la decisione di uccidere To.Gi. dai suoi contrasti personali con S.V., maturati per ragioni estranee all'ambiente criminale soveratese.
Si tratta, come detto, di una doglianza che risulta prospettata in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato L.M. dall'avvocato Salvatore Staiano, postulando una rivalutazione complessiva del compendio probatorio acquisito nei confronti del ricorrente, che si è passato analiticamente in rassegna nei paragrafi 3.1 e 3.1.1, ai quali occorre rinviare per la ricognizione delle ragioni che impongono di ritenere infondata la censura difensiva in esame, relativamente alle ipotesi delittuose di cui ai capi 2, 3 e 4 della rubrica.
Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del terzo motivo di ricorso.
4.4. Deve, infine, ritenersi inammissibile il quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 62-bis c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato, che veniva censurato per la sua eccessività dosimetrica, derivante dalla mancata concessione delle attenuanti generiche, che si imponevano alla luce delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano concretizzati gli accadimenti che avevano portato all'uccisione di To.Gi., con cui la Corte di assise di appello di Catanzaro non si era confrontata.
Si tratta, come detto, di una doglianza che risulta prospettata in termini assimilabili al terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato L.M. dall'avvocato Salvatore Staiano, postulando una rivalutazione complessiva del giudizio dosimetrico formulato dalla Corte territoriale catanzarese nei confronti del ricorrente, che si è esaminato nel paragrafo 3.3, al quale occorre rinviare per la ricognizione delle ragioni che impongono di ritenere inammissibile la censura difensiva in esame.
Non si può, pertanto, non ribadire che, tenuto conto della posizione processuale dell'imputato L.M. e dell'elevato disvalore dei delitti che gli venivano contestati ai capi 2, 3 e 4 della rubrica, nella sentenza impugnata veniva formulato un giudizio dosimetrico congruo e conforme alle emergenze probatorie.
Si consideri, in ogni caso, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato L.M., che le circostanze attenuanti generiche rispondono alla funzione di adeguare la pena al caso concreto, sul presupposto del riconoscimento di situazioni fattuali, correttamente non riscontrate per la posizione del ricorrente, in linea con quanto si è affermato nel paragrafo 3.3, al quale si deve rinviare (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, cit.; Sez. 6, n. 8668 del 28/05/1999, Milenkovic, cit.; Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, Catone, cit.).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del quarto motivo di ricorso.
5. Per queste ragioni, il ricorso proposto da L.M. deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2021