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Sentenza

Lecce. Cane maltrattato ed abbandonato dal padrone: legittimo il sequestro.
Lecce. Cane maltrattato ed abbandonato dal padrone: legittimo il sequestro.
Cass. pen., sez. III, ud. 28 aprile 2021 (dep. 13 ottobre 2021), n. 37133

Presidente Lapalorcia – Relatore Galterio

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 22.1.2021 il Tribunale di Lecce, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo di un cane meticcio disposto nei confronti del proprietario M.G. per aver detenuto l'animale, rinvenuto all'esito di sopralluogo presso la sua abitazione, ferito ad una zampa mai medicata ed in precarie condizioni igieniche, in uno stato incompatibile con la sua natura e produttivo di gravi sofferenze integrante la contravvenzione di all'art. 727 c.p., così riqualificando la condotta che il GIP aveva ritenuto configurare il reato di cui all'art. 544 ter c.p..

2. Avverso il suddetto provvedimento l'indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo deduce che la motivazione resa dal Tribunale del Riesame, secondo cui il cane, trovato all'esito di due successivi sopralluoghi all'interno di un cortile facente parte dell'abitazione dell'indagato ingombro dii

rifiuti con una ferita derivante da dermatite ad una zampa senza aver medio tempore neppure provveduto a medicare la piaga nè a ripulire l'ambiente, non fosse adeguatamente assistito dal padrone, non contiene alcuna autonoma valutazione ai sensi dell'art. 292 c.p.p. delle esigenze cautelari evidenziate prima dalla Polizia Municipale e poi dal PM e pedissequamente riprodotte dal GIP, configurando perciò, malgrado la derubricazione del reato originariamente contestato nella contravvenzione ex art. 727 c.p., una motivazione soltanto apparente.

2.2. Con il secondo motivo lamenta l'omessa disamina da parte dei giudici della cautela di due certificati prodotti dalla difesa, l'uno redatto dal veterinario che ha da sempre avuto in cura il cane attestante che l'animale era affetto da dermatite, insorta sin dai primi mesi di vita e ricorrente alla muta del pelo, la cui terapia comporta solo la necessità di spazzolarne il manto e di somministrargli un antibiotico, prescrizioni cui l'indagato si era sempre attenuto, e l'altro, proveniente da uno specialista in etologia applicata e benessere animale, che asseriva le buone condizioni fisiche e la corretta nutrizione del quadrupede in relazione all'età raggiunta, pari a dodici anni, la mancanza di segni di fastidio, irritazione o prurito in relazione alla lesione della zampa, ricoperta da crosta e dunque in via di guarigione, il temperamento docile e fiducioso nei confronti degli umani, segno che esclude la configurabilità di preesistenti maltrattamenti nonché di una pregressa condizione di sofferenza. Sostiene, invece, che lo stato di patimento del cane constatato dallo specialista veterinario fosse stato provocato dall'essere stato collocato in un canile municipale all'interno di un box, ovverosia di uno spazio ristretto cui non era avvezzo, e lontano dal padrone. Deduce altresì di aver depositato all'udienza una serie di fotografie che riproducevano le condizioni dell'abitazione dell'indagato e dell'annesso cortile interamente ripulito ed ordinato, le quali erano state anch'esse del tutto tralasciate dal Tribunale leccese, fermo restando che non vi era alcuna prova che l'animale vivesse stabilmente nel cortile e non invece in casa, con conseguente inconfigurabilità del pericolo di aggravamento delle conseguenze della contravvenzione contestata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Va infatti rilevato che il principio dell'autonoma valutazione delle esigenze cautelari, di cui all'art. 309 c.p.p., comma 9 richiamato dall'art. 324 c.p.p., comma 7 per i provvedimenti di sequestro, non può ritenersi utilmente invocato, non avendo mai costituito oggetto di doglianza innanzi al Tribunale del riesame, al quale la difesa aveva esclusivamente devoluto la diversa questione relativa alla mancanza di autonoma valutazione in ordine alla sussistenza del fumus del reato ipotizzato. Questione debitamente affrontata dai giudici della cautela che hanno riqualificato il fatto ai sensi dell'art. 727 c.p..

Del resto, la contestazione così come formulata, lamentando il ricorrente la mancata disamina di documentazione prodotta per la prima volta nel giudizio di riesame, quale risulta la documentazione medico-veterinaria composta da due certificati e le fotografie della abitazione dell'indagato nonché dell'annesso cortile, contraddice di per sé l'asserita mancanza di autonoma valutazione che, essendo riferita dall'art. 292 c.p.p., lett. c) al provvedimento genetico rispetto alla richiesta dell'emissione del provvedimento formulata dal Pubblico Ministero, mai potrebbe essere rivolta al GIP che ha emesso la misura, al quale la suddetta documentazione non è stata mai sottoposta. Nè riveste alcun fondamento normativo l'obbligo adombrato dalla difesa di autonoma valutazione da parte dei giudici del riesame rispetto al provvedimento impugnato, sancito dall'art. 292 c.p.p. a salvaguardia delle rispettive sfere di autonomia tra l'organo dell'accusa da cui promana la richiesta della misura e l'autorità deliberante, che non ha ragion d'essere per il giudice del riesame chiamato a verificare il fondamento della misura impugnata.

2. In ordine alla mancata disamina da parte del Tribunale leccese della documentazione prodotta dalla difesa2 l'assunto difensivo è platealmente smentito, quanto al certificato del Dott. Ma.Gi. , dalla lettura del provvedimento impugnato che, nel fare espresso riferimento alla dermatite da cui è affetto il cane, diagnosticata proprio dal suddetto veterinario di fiducia del ricorrente, ha escluso che la condotta dell'indagato fosse stata causa della ferita alla zampa dell'animale, ritenendo ciò nondimeno che l'incuria e la negligenza da costui mostrata nel prestargli le cure prescrittegli dallo specialista integrasse la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 727 c.p., comma 2: non è del resto in discussione che sia stato lo stesso imputato ad aver dichiarato di non avere avuto, nei venti giorni intercorsi tra il primo ed il secondo sopralluogo, malgrado l'invito espressamente rivoltogli dai vigili all'esito della prima ispezione, il tempo per adempiere alle necessarie incombenze, ovverosia alla somministrazione dell'antibiotico prescritto dal veterinario curante a fronte del riemergere della patologia.

Con tale pregressa condotta configurante, quanto meno a livello di fumus, la detenzione dell'animale in condizioni incompatibili con la sua natura e produttiva di gravi sofferenze, la difesa omette ogni confronto, limitandosi ad affermare che il M. fosse ben consapevole della dermatite dell'animale e delle prescrizioni da somministrargli, conoscenza questa che non esclude affatto, ma al contrario rimarca la negligenza della sua condotta a fronte dell'accertamento da parte del Tribunale del riesame, neanch'esso oggetto di alcuna confutazione, che fosse stato il veterinario, cui era stato portato il cane subito dopo il sequestro, a somministrargli una terapia antibiotica ed antinfiammatoria.

Quanto alla relazione della Dott.ssa Ra.Fe. , specialista in etologia e benessere animale, è vero che l'ordinanza impugnata non ne contiene alcuna menzione, ma trattasi di documentazione che non incide sul pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato, costituito dalle precarie condizioni igieniche del cortile in cui l'animale è stato trovato nel corso dei due sopralluoghi della polizia municipale, ma semmai sull'adeguatezza della misura, profilo questo che tuttavia non risulta essere stato oggetto della presente impugnativa.

In ordine, infine, alle fotografie prodotte dalla difesa, trattasi di immagini relative alle condizioni dell'abitazione del prevenuto successive ai due sopralluoghi eseguiti dalla Polizia Municipale e che pertanto nulla documentano in ordine al pregresso stato di incuria e degrado in cui versava, così come accertato dai giudici della cautela, l'immobile al momento del disposto sequestro e del conseguente pericolo di aggravamento delle conseguenze dannose del reato, potendo semmai costituire un presupposto valutabile ai fini della richiesta di restituzione dell'animale, esulante dalla cognizione del Tribunale del riesame.

Segue all'esito del ricorso la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, non potendosi ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Motivazione semplificata.
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Avv. Antonino Sugamele

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