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Sentenza

Detenuto in sciopero della fame. Il PM può chiedere al Magistrato di Sorveglianza di imporre l'alimentazione forzata al detenuto?
Detenuto in sciopero della fame. Il PM può chiedere al Magistrato di Sorveglianza di imporre l'alimentazione forzata al detenuto?
Mag. Sorveglianza Padova, ord. 25 febbraio 2021. 
 
 UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PADOVA    
N. SIUS  
 
Il Magistrato di Sorveglianza 
 
Sulla  richiesta  del  PM  sede  del  24.2.2021  di  disporre  l'alimentazione coatta nei  confronti  del 
detenuto  XXX, nato in XXX, previo trasferimento presso la Sezione protetta del locale Ospedale 
civile, osserva quanto segue. 
 
Con nota del 23.2.2021 il sanitario della Casa di Reclusione del 23.2.2021 riferisce che il detenuto 
sta praticando lo sciopero della fame dal 10.2.2021 e rifiuta di sottoporsi a controlli prescrittigli a 
seguito di sostituzione di catetere vescicale in data 5.2.2021 (dopo sei mesi di rifiuto); il sanitario 
descrive  come  discrete  le  condizioni  di  salute  del  detenuto,  nei  limiti  di  una  valutazione  clinica 
svolta in assenza degli esami prescritti. 
  
Con la richiesta di cui in premessa PM ritiene necessario  il ricorso all'uso dei mezzi di coercizione 
fisica per prevenire una  compromissione delle condizioni di salute del detenuto e comunque  per 
legittimarne l'utilizzo nel momento in cui venisse a configurarsi un pericolo concreto ed attuale alla 
incolumità fisica; ritiene che il potere del Magistrato di Sorveglianza di procedere in tal senso trovi 
fondamento  nell'art.  41  co.  3  op  che legittima l'uso di mezzi di coercizione fisica non solo  per 
evitare danni a persone o cose ma anche "per garantire la incolumità dello stesso soggetto" (nello 
stesso senso il par. 39 della Racc. Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa 12.2.1987 recante 
"regole minime per il trattamento dei detenuti dei Paesi membri"). 
 
Osserva  questo Magistrato che:  
- la limitazione della libertà personale connessa all'esecuzione della pena detentiva comprime 
alcuni diritti ma non  priva il detenuto dell'esercizio dei diritti personalissimi e inviolabili quali 
il diritto alla salute,  che trova tutela nell'art. 3 oltre che nell'art. 32 della Costituzione; 
- il  diritto  alla  salute  comprende,  in  negativo,  il  diritto  a  rifiutare  i  trattamenti  sanitari,  come 
prevede espressamente l'art. 32 comma 2 cost: "Nessuno può essere obbligato a un trattamento 
sanitario se non per disposizioni di legge" (fermo restando che questa "... non può in ogni caso 
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana"); la disposizione normativa pone così 
una riserva di legge a tutela della libertà di autodeterminazione terapeutica degli individui; 
- il principio in esame ha trovato attuazione con l'art. 33 della legge 833 del 1978 istitutiva del 
SSN  che  afferma  il  carattere  di  regola  volontario  del  trattamento  sanitario  e  individua  il 
fondamento della liceità del trattamento nel consenso informato del paziente; 
- il  principio  ha  trovato  parimenti  nella  legge  219  del  2017  che,  in  materia  di  disposizioni 
anticipate trattamentali, ha dato rilievo alla libertà della persona di rifiutare trattamenti sanitari 
fino a legittimare la scelta della persona di morire, anticipando la fine di una vita dalla stessa 
non ritenuta più conforme alla dignità della persona;  l'art. 1 della  legge 219/2017   stabilisce 
infatti che "Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o perseguito se privo del consenso 
libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge"; il comma 
5 statuisce che "ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare in tutto o in parte qualsiasi 
trattamento sanitario indicato dal medico" precisando che " ai fini della presente legge sono 
considerati  trattamenti  sanitari  la  nutrizione  artificiale e l'idratazione artificiale in quanto 
somministrazione su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi medici; il comma 6 
dell'art. 1 stabilisce  che  "il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa del paziente di 
rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e in conseguenza di ciò è esente 
da responsabilità civile o penale" , l'art. 3 al comma 5 prevede solo nel caso di persone minori, 
interdette  o  inabilitate  o  soggette  ad  amministratore  di  sostegno  (estesa  anche  all'ambito 
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sanitario), nel caso di decisione di rifiuto alle cure da parte del legale rappresentante ex lege che 
non sia condivisa dal medico (che ritenga invece le cure appropriate e necessarie), la possibilità 
di rimettere la questione al giudice tutelare; 
- il diritto di autodeterminazione terapeutica, in conclusione, è un diritto personalissimo  che non 
incontra limiti neppure ove il suo esercizio possa condurre al sacrificio del bene della vita; ciò 
peraltro si giustifica alla luce del principio personalistico che anima l'ordinamento giuridico e 
che conduce a una nuova dimensione della salute non più intesa come assenza di malattia ma 
come  stato  di  completo  benessere  fisico  e  psichico  e  che  quindi  coinvolge,  in  relazione  alla 
percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal 
soggetto nella sua esperienza;  
- i trattamenti sanitari obbligatori costituiscono una eccezione sicché gli stessi sono ammissibili 
solo se autorizzati da specifiche disposizioni di legge  quali gli artt. 34 e 35 della l. 833 del 1978 
che consentono il trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di persone affette da malattie 
mentali; 
- l'ordinamento penitenziario non  contiene  disposizioni  che  autorizzino  il  trattamento  sanitario 
obbligatorio per superare il dissenso dell'interessato, non potendosi ritenere tale l'art. 41 co. 3 
ord penit;  tale disposizione, che giustifica l'utilizzo dei mezzi di coazione fisica, oltre che "per 
evitare  danni  a  persone  o  cose", anche "...a  tutela  della  incolumità  della  persona"  mira  a 
fronteggiare  il pericolo all'incolumità del detenuto derivante da contegni violenti  e commissivi 
del medesimo (gesti autolesivi) e non a rimuovere una condotta meramente passiva dello stesso 
quale è il rifiuto di cure o di alimentarsi;  
- anche a ritenere, come sostenuto da più voci, che l'art. 41 op fondi una posizione di garanzia, il 
diritto di autodeterminazione del detenuto, per quanto sopra esposto,  rappresenta un limite alla 
rilevanza  della  stessa  ferma  restando  la  necessità  che  il  detenuto,  compos  sui,  sia  reso  edotto 
delle conseguenze del rifiuto, dei pericoli per la salute e che sia posta in essere una attività di 
supporto anche psicologico. 
 
Nel caso in esame, in conclusione,  non si giustifica un intervento di questo Magistrato  nei termini 
indicati dal PM non ritenendosi che l'art. 41 comma 3 op legittimi l'utilizzo di mezzi di coercizione 
per imporre trattamenti sanitari o comunque la nutrizione e/o l'idratazione rifiutate dal detenuto del 
quale si ritiene di approfondire le attuali condizioni di salute psichica che, oltre ad  eventuali interventi 
ex  artt. 34 e 35 delle legge 833 del 1978 o  ex art. 404 e ss cc,  ove integranti un profilo di grave 
infermità psichica potrebbero legittimare un intervento ex art. 47 ter co 1 ter op come modificato con 
sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 201,. 
 
PQM 
 
dichiara non luogo  a provvedere sulla richiesta del PM. 
Si  comunichi  anche  alla  Direzione  della  Casa  di  Reclusione  e  all'Area Sanitaria presso la  Casa  di 
Reclusione di Padova con richiesta di relazionare sulle condizioni di salute psichica del detenuto. 
Padova, 25.2.2021. 
         Il Magistrato di Sorveglianza 
         dott.ssa Tecla Cesaro
Avv. Antonino Sugamele

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