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Sentenza

Trapani. Integra il delitto di diffamazione l'invio di una lettera di contestazione in cui un dipendente venga qualificato come "clochard" in modo dispregiativo in relazione all'aspetto ritenuto trasandato, non potendo ritenersi configurabile l'esimente del diritto di critica, in quanto tale appellativo, pur in sé non offensivo, assume tale valenza ove venga utilizzato in maniera dispregiativa, con riferimento al vestiario ed alle sembianze, e con modalità del tutto gratuite ed eccentriche rispetto al contesto espressivo di riferimento.
Trapani. Integra il delitto di diffamazione l'invio di una lettera di contestazione in cui un dipendente venga qualificato come "clochard" in modo dispregiativo in relazione all'aspetto ritenuto trasandato, non potendo ritenersi configurabile l'esimente del diritto di critica, in quanto tale appellativo, pur in sé non offensivo, assume tale valenza ove venga utilizzato in maniera dispregiativa, con riferimento al vestiario ed alle sembianze, e con modalità del tutto gratuite ed eccentriche rispetto al contesto espressivo di riferimento.
Cass. pen. Sez. V Sent., 14/10/2020, n. 33115 (rv. 279965-01)
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo - Presidente -

Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere -

Dott. SCARLINI Enrico - Consigliere -

Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere -

Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 23/10/2018 del TRIBUNALE di TRAPANI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Miccoli Grazia;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Tassone Kate, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l'avv. Andrea Mannino, in sostituzione dell'avvocato Alessandro Finazzo, difensore della parte civile Fa.Fi., il quale ha concluso depositando note; udito l'avvocato Claudio Fiori, in sostituzione dell'avvocato Calogera Falco, difensore del ricorrente F.F., il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 ottobre 2018 il Tribunale di Trapani, in funzione di giudice di appello, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado emessa dal Giudice di Pace di Alcamo, ha dichiarato F.F. responsabile nei confronti della parte civile appellante Fa.Fi. e lo ha condannato al risarcimento in via equitativa di complessivi Euro 1000,00.

Al F. era stato contestato il reato continuato di diffamazione "per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, posto in essere nella sua qualità di geometra dipendente del Comune di (OMISSIS), comunicando con più persone mediante l'invio di una missiva a sua firma.....alle sedi dell'ENEL di (OMISSIS)...., di Palermo e di Roma, offeso la credibilità e la reputazione di Fa.Fi., dipendente della sede ENEL di (OMISSIS) (che in data (OMISSIS) si era recato, su disposizione dell'ENEL, in (OMISSIS), al fine di ivi eseguire un sopralluogo tecnico presso edifici scolastici) e, per tale motivazione, persona incaricata di un pubblico servizio, affermando, nel corpo dell'anzicennata missiva autografa, che: "....alla presentazione del Sig. FA. ho notato la mancanza di tesserino di riconoscimento e la mancanza di idoneo abbigliamento che individuasse la ditta di appartenenza, perchè dal vestiario usato e dalle sembianze sembrava più un clochard che un dipendente ENEL...non posso pensare che il modo arcaico di ragionare del Sig. FA. è stato imposto dai dirigenti dell'ENEL e non credo che la politica dell'ENEL è quella di pensare solo ai guadagni propri, danneggiando i propri clienti, perchè altrimenti il Comune di (OMISSIS) sarà costretto ad individuare altra società".

Con la stessa sentenza il Tribunale ha rigettato la domanda proposta dalla parte civile nei confronti del Comune di (OMISSIS), in qualità di responsabile civile.

2. Ha proposto ricorso il difensore di F., denunziando violazione di legge in relazione alla applicazione dell'art. 595 c.p..

Ha dedotto che non v'era alcuna volontà di offendere nelle parole utilizzate dal F. nelle missive oggetto del capo di imputazione. Era stato, infatti, esercitato il diritto di critica dell'operato del gestore dell'energia elettrica, che -secondo lui- aveva anteposto i propri interessi a quelli degli utenti.

Il riferimento all'abbigliamento da "clochard" stava solo a indicare che il Fa. era vestito in maniera tale da non essere identificabile quale dipendente dell'ENEL. Il ricorrente, inoltre, si è doluto dell'esclusione della responsabilità del Comune di (OMISSIS), tenuto conto del fatto che gli erano state contestate le aggravanti relative alla qualità di funzionario dello stesso comune.

In data 4 marzo 2019 il difensore del F. ha depositato una memoria con la quale ha denunziato violazione di legge in relazione all'ammissibilità dell'appello della parte civile.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

1. Va preliminarmente detto che il motivo dedotto con la memoria del 4 marzo 2019 è tardivo, giacchè le censure rappresentate dal ricorrente in ordine alla inammissibilità dell'appello della parte civile non risultano formulate nè dinanzi al Tribunale nè con il ricorso tempestivamente depositato.

2. I motivi di ricorso, invece, sono inammissibili per genericità e, comunque, per manifesta infondatezza.

Il Tribunale ha riformato la sentenza di primo grado sottolineando che la missiva scritta dal F. era stata impostata per l'invio a una platea numerosa di potenziali destinatari, sicchè infondata era l'affermazione del Giudice di Pace sull'insussistenza dell'elemento oggettivo della diffusione fra più persone del contenuto del giudizio lesivo della sfera personale dell'onore.

Inoltre, il Tribunale ha evidenziato che l'utilizzo del termine clochard, per indicare la presunta mancanza di decoro nell'abbigliamento da lavoro indossato dal Fa., travalica il limite della continenza espressiva, non potendo ritenersi peraltro che tale termine sia stato adoperato in un contesto scherzoso e bonario.

Con tale percorso argomentativo il ricorso in esame non si confronta, limitandosi ad asserire che l'utilizzo del termine clochard sarebbe stato riferito al fatto che il Fa. indossava un abbigliamento poco consono all'impresa rappresentata.

Il ricorrente ha poi tentato di sminuire la portata offensiva del termine, con ulteriore spiegazione del tutto svincolata dal contesto narrativo della missiva oggetto del capo d'imputazione: "Il clochard è un individuo che non ha appartenenza per cui, il soggetto, così vestito e senza tesserino, non era individuabile come dipendente ENEL....." (pagg. 2 e 3 del ricorso).

3. E' bene ribadire che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva dell'altrui reputazione perchè è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, Fabi Miriam, Rv. 27814501) Orbene, nella specie, la valutazione del tenore dell'espressione utilizzata nella missiva, nell'ambito di una critica generalizzata all'operato del Fa. quale dipendente ENEL, smentisce gli assunti difensivi, ove solo si consideri che la censura sulla "mancanza di idoneo abbigliamento che individuasse la ditta di appartenenza" è stata rafforzata con l'ulteriore espressione "perchè dal vestiario usato" e addirittura "dalle sembianze sembrava più un clochard che un dipendente ENEL".

E, nel contesto di critica più ampia relativa ai rapporti tra l'ENEL e il Comune di (OMISSIS), come delineati nella missiva del F., le suddette espressioni offensive riferite al solo Fa. non risultano strettamente funzionali alla finalità di disapprovazione dell'operato del suddetto ente, essendo invece sintomatiche di una gratuita ed immotivata aggressione della reputazione del dipendente incaricato del sopralluogo cui ha partecipato l'imputato (si veda nello stesso senso, ex multis, Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Lunghini Claudio, Rv. 27913301).

Peraltro, va sottolineato come il riferimento alla categoria dei clochard non sia da ritenersi offensivo in senso astratto, giacchè in tale categoria rientrano le persone senzatetto, senza casa o senza fissa dimora, per le quali - come è noto - è usata a volte la parola francese clochard, altre volte quella inglese homeless e altre ancora quella italiana di barboni.

Va detto, tuttavia, che le persone rientranti nella suddetta categoria sono spessissimo oggetto di gratuito e anacronistico disprezzo sociale, scaturente da una cultura caratterizzata da aporofobia ovvero da odio, repulsione e, in molti casi, violenta ostilità di fronte ai soggetti che vivono in stato di indigenza.

E' del tutto evidente, allora, che nella specie il F. abbia utilizzato il suddetto termine solo per disprezzare il Fa., riferendolo gratuitamente al suo abbigliamento e, addirittura, alle sue "sembianze".

Insomma, dal contesto della missiva in cui è contenuta l'espressione offensiva riferita al Fa. è palese la carica dispregiativa che il F. ha attribuito al termine clochard; e ciò è sufficiente a configurare anche l'elemento soggettivo del reato ascritto, dovendo peraltro ribadirsi in proposito che, in tema di diffamazione, è sufficiente il dolo generico (che può anche assumere la forma del dolo eventuale), il quale comunque implica l'uso consapevole, da parte dell'agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, Verratti, Rv. 25894301; Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012, Arcadi, Rv. 25439001; Sez. 5, n. 7597 del 11/05/1999, Beri Riboli E., Rv. 21363101).

Va quindi conclusivamente affermato che, sebbene l'attribuzione della qualità di clochard a un soggetto non sia offensiva in via astratta, è configurabile il reato di diffamazione nella condotta di chi utilizza tale termine in maniera dispregiativa e con modalità del tutto gratuite ed eccentriche rispetto al contesto espressivo di riferimento.

4. Inammissibile per genericità è pure la censura relativa all'esclusione della responsabilità del Comune di (OMISSIS), che secondo il ricorrente non sarebbe legittima in quanto sono state ritenute sussistenti le aggravanti relative alla sua qualità di dipendente del suddetto Comune. Il Tribunale ha correttamente applicato i principi affermati da questa Corte in materia, motivando in maniera articolata il rigetto della domanda della parte civile nei confronti del Comune di (OMISSIS) (pagg. 4 e 5 della sentenza).

In proposito, va ricordato che la responsabilità indiretta di cui all'art. 2049 c.c. per il fatto dannoso commesso da un dipendente postula l'esistenza di un rapporto di lavoro ed un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e le mansioni da questi espletate, senza che sia, all'uopo, richiesta la prova di un vero e proprio nesso di causalità, risultando sufficiente, viceversa, l'esistenza di un rapporto di "occasionalità necessaria", da intendersi nel senso che l'incombenza svolta abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo gli ordini ricevuti, purchè sempre entro l'ambito delle proprie mansioni (Sez. 1, Sentenza n. 2574 del 20/03/1999, Rv. 5243490).

Questa Corte ha già chiarito come sia configurabile la responsabilità civile della P.A. anche per le condotte dei dipendenti pubblici dirette a perseguire finalità esclusivamente personali mediante la realizzazione di un reato doloso, quando le stesse sono poste in essere sfruttando, come premessa necessaria, l'occasione offerta dall'adempimento di funzioni pubbliche, e costituiscono, inoltre, non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio di tali funzioni, in applicazione di quanto previsto dall'art. 2049 c.c. (Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, P e P.C., Rv. 27120901; Sez. 6, n. 13799 del 20/01/2015, P.C. in proc. Pinzone, Rv. 26294501).

Si è pure precisato che la P.A. dev'essere ritenuta civilmente responsabile, in base al criterio della cosiddetta "occasionalità necessaria", degli illeciti penali commessi da propri dipendenti ogni qual volta la condotta di costoro non abbia assunto i caratteri dell'assoluta imprevedibilità ed eterogeneità rispetto ai loro compiti istituzionali, sì da non consentire il minimo collegamento con essi (Sez. 3, n. 33562 del 11/06/2003, Cordaro, Rv. 22613201).

Non si ignora il diverso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate deve essere escluso quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commette un illecito penale per finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell'ente pubblico di appartenenza ed, anzi, in contrasto con queste ultime (Sez. 6, n. 44760 del 04/06/2015, Cantoro e altri, Rv. 265356; Sez. 3, Sentenza n. 21408 del 10/10/2014, Rv. 632581).

Tuttavia, nel caso di specie, non può dirsi che l'esercizio delle funzioni pubbliche abbia comunque agevolato la produzione del danno nei confronti della persona offesa, circostanza questa che sarebbe sufficiente per ritenere sussistente il requisito dell'occasionalità necessaria e quindi la responsabilità ex 2049 c.c. della Pubblica amministrazione (ex multis, Sez. III, Sentenza n. 12939 del 04/06/2007, Rv. 597727; Sez. L, Sentenza n. 22343 del 18/10/2006, Rv. 592333).

Come si è detto, nel contesto critico della missiva inviata all'ENEL dal F., le espressioni offensive in danno del Fa. si caratterizzano come imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle funzioni esercitate dall'imputato, essendo del tutto scollegate ed eterogenee rispetto all'esercizio funzionale del compito istituzionale esercitato.

5. Alla pronunzia di inammissibilità consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione del tenore delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00.

Il F. va pure condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nelle misura qui di seguito indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020
Avv. Antonino Sugamele

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