Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Trapanese gravemente indiziato di fare parte di Cosa Nostra. E' accusato di avere coadiuvato i capi mafia nella direzione ed organizzazione delle attività illecite del mandamento mafioso di Trapani, tra le quali il procacciamento dei voti in occasione delle consultazioni elettorali mantenendo, attraverso lo scambio di comunicazioni, nonché il collegamento costante con altri associati, anche di altri contesti territoriali, assicurando attività di mediazione per la composizione di controversie anche economiche.
Trapanese gravemente indiziato di fare parte di Cosa Nostra. E' accusato di avere coadiuvato i capi mafia nella direzione ed organizzazione delle attività illecite del mandamento mafioso di Trapani, tra le quali il procacciamento dei voti in occasione delle consultazioni elettorali mantenendo, attraverso lo scambio di comunicazioni, nonché il collegamento costante con altri associati, anche di altri contesti territoriali, assicurando attività di mediazione per la composizione di controversie anche economiche.
Cassazione Penale Sent. Sez. 5   Num. 47267  Anno 2019Presidente: PEZZULLO ROSARelatore: CALASELICE BARBARAData Udienza: 15/07/2019
SENTENZA sul ricorso proposto da: O.F. nato a T. il .......... avverso l'ordinanza del Tribunale di Palermo in funzione di riesame emessa in data 25/03/2019 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere B. Calaselice; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, F. Lignola, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avv. V. Galluffo, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. 
RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo, in funzione di riesame, ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede ha applicato a F. O. la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato del reato di cui all'art. 416- bis, commi 1, 3, 4, 5, 6, cod. pen. (per avere in concorso con altri, anche già giudicati con sentenza irrevocabile, tra cui M.M.D.e S.C., fatto parte dell'associazione di tipo mafioso denominata cosa nostra, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, in particolare per aver coadiuvato P. e F. V.  ). 2. Avverso l'ordinanza descritta ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'indagato, tramite il difensore di fiducia, denunciando violazione degli artt. 273, 274, 275, 192, comma 2, cod. proc. pen., 416-bis cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, sia per la gravità indiziaria, sia quanto alle esigenze cautelari. 2.1. Sotto il primo profilo quanto al reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. mancherebbe la prova dell'elemento soggettivo, della consapevolezza dei metodi dell'associazione e dei fini della stessa, onde assicurare un consapevole contributo al programma criminoso. L'indagato è stato condannato per appartenenza ad associazione di stampo mafioso nel 2000 e ha scontato la pena nel 2008, successivamente ha lavorato prima in macelleria, poi presso il bar della moglie. Non è significativo, per il ricorrente, che: -O. ha conservato il ruolo di uomo d'onore riservato (posto che dopo il 2008 era cessata detta posizione); -la comunicazione da parte del C., all'O., dell'apertura di una attività commerciale, trattandosi di soggetto già condannato per mafia che non aveva bisogno dell'autorizzazione del predetto O. per operare; -O. abbia chiesto, per il matrimonio della figlia, uno sconto sul prezzo (e non avere il servizio gratis); -il ricorrente abbia svolto un ruolo di mediatore tra l'uomo d'onore C.S. e il fornitore all'ingrosso di frutta D.G., trattandosi di intervento diretto soltanto a chiedere una rateizzazione del prestito; -O. abbia frequentazioni con soggetti indicati come associati (il V. ed il S.) in quanto avvenute sempre in pubblico e parlando di vicende generiche, di nessun rilievo penale. Inoltre si deduce che non sarebbe precisa la dichiarazione accusatoria di L.C., poi deceduto, assumendo, peraltro, che quanto riferito era stato appreso da terzi, nemmeno indicati con certezza (sembra da G.). Per le elezioni regionali, poi, O. non avrebbe nemmeno votato e non si è mostrato interessato alle sollecitazioni di L.M.. 
2.2. Mancherebbe, per il ricorrente, la motivazione sull'attualità e concretezza delle esigenze cautelari, tenuto conto che il tempo trascorso dai fatti corrisponde ad un affievolimento delle esigenze cautelari, in considerazione delle condotte dell'indagato non espressione di perdurante pericolosità. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile. 2. Il primo motivo devolve una censura inammissibile in sede di legittimità. Quanto alla dedotta violazione di legge, in sostanza, si chiede una rivisitazione degli elementi indiziari, già valutati, in modo conforme, dai giudici della cautela, inibita in sede di legittimità, tenuto conto della motivazione esauriente e non apparente del provvedimento censurato. 2.1. Sotto il primo profilo censurato, quanto al reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., si osserva che l'ordinanza impugnata attribuisce risalto al consolidato ruolo di uomo d'onore riservato, rivestito nella cosca, per il quale O. aveva già subito condanna irrevocabile per condotte accertate con pronuncia del 2011. Sul punto si osserva che secondo il recente indirizzo ermeneutico di questa Corte, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non è necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del sodalizio ed aderisca consapevolmente al programma criminoso, accrescendo per ciò solo la potenziale capacità operativa e la temibilità dell'associazione. Il reato in questione, secondo quest'orientamento, si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio con la c.d. messa a disposizione, in quanto idonea ad accrescere, per ciò solo, la potenziale capacità operativa ed intimidatoria dell'associazione criminale (Sez. 2, n. 56088 del 12/10/2017, Agostino, Rv. 271698; Sez. 2, n. 27394 del 10/05/2017, Pontari, Rv. 271169). In ogni caso si rileva che il Tribunale non si è sottratto all'indicazione di concreti elementi indiziari, espressione dell'attuale adesione agli scopi del sodalizio, oltre ad indicare l'esistenza di numerosi indici del consapevole costante impegno dell'O., assicurato agli interessi di terzi sodali, anche in posizione apicale, indicando, inoltre, i suoi abituali rapporti con esponenti del mandamento, nonché il diretto intervento assicurato per risolvere controversie tra privati, nonché la significativa e consapevole attività di coadiutore del capo mandamento, nell'ambito delle scelte politiche e di sostegno elettorale del sodalizio. A ciò si aggiunga che la prospettazione alternativa proposta dalla Difesa circa gli elementi gravemente indizianti, già valutati dal Tribunale con motivazione non apparente, logica ed esaustiva, è inibita in questa sede. In materia di provvedimenti de libertate, il sindacato del giudice di legittimità non può estendersi alla revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alla rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all'adeguatezza delle misure. Si tratta di apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale con funzione di riesame. La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, dunque, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la logica seguita dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244; di cui si riprendono le argomentazioni; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 1, n. 6972, del 7/12/1999 - dep. 2000, Alberti, Rv. 215331). 2.2. Quanto al profilo della carenza di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, tenuto conto del tempo trascorso dai fatti, si rileva che la censura è manifestamente infondata. In ragione del titolo di reato contestato all'indagato, in via provvisoria, la presunzione (relativa) di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., può essere superata, pur alla luce della previsione di cui all'art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. come novellato dalla Legge n. 47 del 16 aprile 2015, solo in caso di dimostrata inattualità di situazioni di pericolo cautelare (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180; Sez. 5, n. 35848 del 11/06/2018, Trifirò, Rv. 273631; Sez. 5, n. 35847 del 11/06/2018, C., Rv. 274174; Sez. 5, n. 48285 del 12/07/2016, Girardo, Rv. 268413). Orbene il Tribunale ha correttamente applicato il descritto canone interpretativo, valorizzando, in particolare, l'esame delle condotte emerse nell'ambito del presente procedimento cautelare, nel periodo temporale compreso tra il 2010 ed il 2017, con specifico riferimento ai tentativi di condizionamento, assieme al capo della cosca F.V., delle recenti consultazioni elettorali, espressione di un consolidato concreto rapporto di collaborazione con il capo mandamento e di controllo diretto del territorio di riferimento, permanente anche all'attualità e, dunque, espressione del perdurante pericolo di recidiva. 3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma indicata in dispositivo, determinata equitativamente in ragione dei motivi devoluti, non ricorrendo le condizioni di cui alla sentenza della Corte Cost. n. 186 del 13 giugno 2000. 3.1. Non conseguendo dalla presente decisione la liberazione del ricorrente deve disporsi — ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale — che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo 94. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso, il 15/07/2019
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza