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Approfondimento

La discussione finale.
La discussione finale.
La Discussione Finale
L’art. 523 del c.p.p., rubricato “Discussione finale”, detta la disciplina dell’epilogo estremo del dibattimento. Secondo il precetto legale da questa disposizione – “esaurita l’assunzione delle prove, il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato formulano e illustrano le rispettive conclusioni.” Durante la vigenza del vecchio rito istruttorio la discussione finale costituiva il momento più significativo del contraddittorio tra le parti. Dal 1988, invece, il nuovo rito accusatorio ha fatto sì che l’intera istruzione probatoria si svolgesse nel contraddittorio tra le parti. La discussione finale, che ha inizio una volta terminata l’assunzione dei mezzi di prova, è diretta dal Presidente dell’organo giudicante, che ha il potere di impedire ogni divagazione, ripetizione ed interruzione. La suddetta fase, conclusiva del dibattimento, si svolge mediante l’illustrazione orale delle conclusioni che ciascuna parte consacra a sostegno delle sue ragioni. Ad ognuna di queste è certamente riconosciuta la facoltà di presentare delle memorie difensive scritte, agevolando in tal modo l’attività del giudicante. Tale facoltà non può estendersi sino al punto di permettere l’introduzione nel processo di nuove fonti di prova. Soltanto la parte civile è onerata della presentazione di conclusioni scritte, dove vengono rese note le richieste di risarcimento del danno e la determinazione del suo ammontare. Il mancato assolvimento di tale adempimento comporta la revoca della costituzione della stessa parte civile, ai sensi dell’art. 82, II comma, c.p.p. L’omessa determinazione, nelle conclusioni scritte, dell’ammontare dei danni non comporta alcuna nullità, potendo il giudice decretare la condanna generica al risarcimento del danno (cfr. Cassazione Penale, sez. III, 14.04.2009 n. 27500). Il codice disciplina l’ordine di intervento delle parti, garantendo che quello della pubblica e della privata accusa precedano l’intervento del difensore dell’imputato. Il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare una sola volta. Tale facoltà è ammessa nei limiti strettamente necessari alla confutazione delle argomentazioni avversarie. In ogni caso all’imputato e al suo difensore è riconosciuta, a pena di nullità, la possibilità di prendere la parola per ultimi, qualora la richiedano. La giurisprudenza di legittimità ha altresì chiarito che il diritto di replica e di prendere la parola per ultimo spetta all’imputato solo nel giudizio, mentre, nei procedimenti camerali tale diritto non è riconosciuto (Cassazione Penale, sez. VI, 13.02.2009 n. 19810; sez. IV, 02.02.2011 n. 12482). In tale ipotesi, secondo il Supremo Collegio, la nullità consegue solo nell’ipotesi prevista dal combinato disposto dall’art. 127, III e V comma, del c.p.p., qualora il difensore comparso non sia sentito. L’orientamento appena delineato non risulta pienamente condivisibile. Il diritto di replica e l’ordine di intervento stabiliti dall’art. 523 del c.p.p. offrono all’imputato l’opportunità di controbattere per ultimo alle argomentazioni prospettate dalle parti contrapposte. L’ordine in tale articolo delineato, quindi, non è per nulla casuale. In definitiva, le caratteristiche di snellezza che connotano la procedura camerale non possono interferire con il diritto di difesa garantito dalla Carta Costituzionale. La discussione finale può essere interrotta solo per motivi di assoluta necessità (cfr. Cassazione Penale, sez. I, 21.01.2010, n. 17702). Qualora l’assunzione di nuove prove imponga la sua interruzione, la stessa deve essere rinnovata “ab initio” a pena di nullità. Le parti, infatti, possono formulare le loro conclusioni solo dopo avere esaurito l’attività istruttoria. Una volta conclusa la discussione finale, il Presidente dichiara chiuso il dibattimento ed il collegio si ritira in camera di consiglio per deliberare.
Avv. Antonino Sugamele

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