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Sentenza

Il Giudice che autorizza, durante le indagini, la proroga delle intercettazioni non può celebrare l'udienza preliminare.
Il Giudice che autorizza, durante le indagini, la proroga delle intercettazioni non può celebrare l'udienza preliminare.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 55231/18; depositata il 10 dicembre
SENTENZA 
sui ricorsi proposti da: 
1) C.F.P., nato a Palermo il .....
2)O.R.  nata a Palermo il ...... 
3) T.G.  nato a Palermo il ......
avverso l'ordinanza emessa in data 18/07/2018 dalla Corte d'Appello di Palermo 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal consigliere Vittorio Pazienza; 
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore 
generale Simone Perelli, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio 
della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti ad altra Sezione della Corte 
d'Appello per l'ulteriore corso 
RITENUTO IN FATTO 
1. Con ordinanza del 18/07/2018, la Corte d'Appello di Palermo ha rigettato 
le istanze di ricusazione proposte da C.F.P., O.R., L.P.G. e T.G.nei confronti del G.u.p. dr. 
Nicastro, avendo quest'ultimo svolto - nel medesimo procedimento a loro carico - 
funzioni anche di G.i.p., in particolare emettendo alcuni decreti di proroga delle 
intercettazioni telefoniche in corso, in accoglimento di richieste fondate su atti 
della Squadra Mobile di Palermo nei quali si faceva espresso riferimento ai predetti 
indagati. 
2. 
Ricorrono per cassazione il C., la O. e il T., a mezzo dei propri difensori, deducendo, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, 
violazione di legge e vizio di motivazione. 
2.1. Si lamenta in primo luogo la non corretta interpretazione dei motivi di 
ricorso nella parte in cui era stata dedotta l'incompatibilità funzionale del 
giudicante a tenere l'udienza preliminare, avendo svolto funzioni di G.i.p.: 
incompatibilità prevista dall'art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen., che nei commi 
successivi enuncia alcune ipotesi di deroga, che devono essere interpretate 
tassativamente: deve quindi escludersi la possibilità di inserire, tra le situazioni 
con implicanti incompatibilità a tenere l'udienza preliminare, l'adozione di 
provvedimenti autorizzativi o di proroga delle intercettazioni telefoniche o 
ambientali. 
2.2. Si censura inoltre la motivazione dell'ordinanza nella parte in cui aveva 
escluso che il G.i.p., nei provvedimenti di proroga, avesse valutato il compendio 
indiziario offerto a sostegno delle richieste. Nel ribadire l'illegittimità di 
un'interpretazione volta ad inserire la situazione in discorso tra quelle derogatorie 
dell'incompatibilità funzionale, i ricorrenti evidenziano l'illogicità della tesi per cui 
il G.i.p., nel verificare la permanenza degli indizi di reato legittimanti l'attività 
captativa e il rispetto dei presupposti normativi necessari per una legittima 
compressione di diritti di rilievo costituzionale, non abbia espresso considerazioni 
di merito. Nella specie, al contrario, nei provvedimenti di proroga era stata 
integralmente condivisa la prospettazione di fatti che, ovviamente, devono essere 
valutati in sede di udienza preliminare e di giudizio abbreviato. 
3. 
Con requisitoria del 18/10/2018, il Procuratore Generale ha sollecitato 
l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, condividendo l'impostazione del 
ricorso quanto alla natura tassativa delle eccezioni previste, nei 
commi 2-ter e 2-quater dell'art. 34 cod. proc. pen., alla incompatibilità funzionale 
contemplata nel comma 2-bis del medesimo articolo. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. 
Il primo motivo di ricorso proposto in ciascuna delle odierne impugnazioni 
(che possono quindi essere qui trattate congiuntamente) è fondato. 
2. 
Le censure dei ricorrenti, di tenore sostanzialmente sovrapponibile, hanno 
ad oggetto il percorso motivazionale compiuto dalla Corte d'Appello di Palermo nel 
rigettare le reiezione delle istanze di ricusazione del G.u.p. dr. Nicastro, formulate 
deducendo la sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità previste dal 
comma 2-bis dell'art. 34 cod. proc. pen., ai sensi del quale il giudice che, nel 
medesimo procedimento, ha esercitato funzione di giudice per le indagini 
preliminare non può - tra l'altro - tenere l'udienza preliminare. In particolare, 
l'incompatibilità del dr. Nicastro a tenere l'udienza preliminare trae origine - nella 
prospettiva dei ricorrenti - dal fatto che il predetto magistrato ha, nel corso delle 
indagini preliminari, emesso alcuni decreti di proroga delle intercettazioni 
telefoniche, motivati aderendo alle note della Squadra Mobile di Palermo (poste a 
base delle richieste di proroga del P.M.) che, tra l'altro, facevano espresso 
riferimento alla posizione dei ricorrenti. 
Nella più recente giurisprudenza di legittimità, la portata applicativa di tale 
disposizione, con riguardo ai provvedimenti emessi dal G.i.p., nel medesimo 
procedimento, in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è 
stata oggetto di soluzioni interpretative divergenti (nella diversa ipotesi di decreti 
emessi in altro procedimento, a carico di soggetti diversi dall'imputato ricusante, 
l'incompatibilità è stata esclusa da una recente decisione: cfr. Sez. 5, Sentenza n. 
11982 del 07/12/2017, dep. 2018, Di Marco, Rv. 272662). 
2.1. Secondo un primo indirizzo - espresso dalla Sesta Sezione di questa 
Suprema Corte e fatto proprio anche dal provvedimento della Corte d'Appello 
impugnato dai ricorrenti - l'incompatibilità in questione deve essere esclusa nelle 
ipotesi in cui il G.i.p. si sia limitato ad emettere decreti di proroga di intercettazioni 
telefoniche già autorizzate, o a convalidare l'attività captativa disposta in via 
d'urgenza dal P.M.: dovendo la predetta incompatibilità essere ravvisata «solo con 
riferimento ad attività e provvedimenti di natura giurisdizionale di carattere 
decisorio», ed esclusa, invece, «in relazione a provvedimenti che non incidono sul 
merito delle questioni oggetto del giudizio e ciò in ragione della finalità della causa 
di incompatibilità tra G.i.p. e G.u.p. che è quella della configurazione del G.u.p. 
come giudice terzo e quindi privo della conoscenza di atti in precedenza compiuti» 
(Sez. 6, n. 41776 del 05/07/2017, Di Giovanni). Tale decisione ha richiamato - a 
sostegno dell'insussistenza dell'incompatibilità per l'asserita mancanza, nei 
provvedimenti di proroga, di qualsiasi valutazione nel merito - altro precedente 
arresto (Sez. 1, n. 27838 del 08/04/2013, Tozzi, Rv. 256074), peraltro relativo ad 
una fattispecie diversa da quella che qui interessa, come avvertito dalla stessa 
sentenza Di Giovanni (era stata dedotta, in quel procedimento, la nullità del 
provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame composto anche dal giudice che, 
in quel procedimento, aveva in precedenza autorizzato la proroga delle 
intercettazioni telefoniche). 
2.2. In una diversa prospettiva, sostenuta dalla medesima Sezione in 
composizione parzialmente diversa e fatta  propria dal P.G. 
nella propria requisitoria, si è invece sostenuto che l'incompatibilità a tenere l'udienza 
preliminare, prevista dall'art. 34 per chi ha svolto funzione di G.i.p., trova 
eccezione unicamente nelle ipotesi previste nei commi successivi del medesimo 
art. 34: «si tratta di norme rigide, frutto di successivi interventi legislativi e 
caratterizzate dalla specificità e chiarezza dei riferimenti, alle quali l'interprete non 
può aggiungere in via analogica elementi ulteriori» (Sez. 6, n. 44687 del 
09/07/2015, Lamberti, che, muovendo da tali presupposti ermeneutici, ha ritenuto 
incompatibile a tenere l'udienza preliminare il magistrato che, nel medesimo 
procedimento, aveva proceduto agli adempimenti di cui al comma 6 dell'art. 268 
cod. proc. pen., ovvero all'acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti 
indicate dalle parti e ritenute non manifestamente irrilevanti). 
3. Ritiene il Collegio che debba darsi seguito al secondo indirizzo interpretativo, 
per la sua maggiore aderenza all'assetto normativo delineato dai plurimi interventi 
del legislatore succedutisi, a partire dal 1998, sull'art. 34 cod. proc. pen. 
3.1. Com'è noto, la portata applicativa della incompatibilità delineata dal 
secondo comma dell'art. 34 (che precludeva, in origine, solo la partecipazione al 
giudizio del giudice che aveva emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza 
preliminare, il decreto di giudizio immediato, il decreto penale di condanna, ovvero 
che aveva deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere) 
è stata oggetto di numerosi interventi additivi della Corte costituzionale, 
soprattutto nei primi anni dall'entrata in vigore del codice Vassalli. 
Nell'ovvia impossibilità di ripercorrere in questa sede le tappe di tale 
evoluzione, ci si limita qui a ricordare che le decisioni della Consulta hanno 
individuato una serie di ulteriori ipotesi di incompatibilità, in buona parte 
riconducibili a provvedimenti adottati dal giudice per le indagini preliminari, 
ritenuti "pregiudicanti" - non solo in relazione al giudizio dibattimentale, ma anche 
alla definizione del procedimento con i riti alternativi - perché connotati da una 
significativa "pregnanza contenutistica", e non meramente formale, della 
valutazione operata (basti qui richiamare le sentenze concernenti il rigetto 
dell'istanza di patteggiamento, l'ordine di formulazione dell'imputazione coatta, il 
rigetto della domanda di oblazione per la diversità del fatto, l'applicazione di 
misure personali). 
3.2. Altrettanto noto è il fatto che, dinanzi ai ripetuti interventi additivi della 
Corte costituzionale, il legislatore ha fissato - in sede di istituzione del giudice 
unico di primo grado - il principio della "alterità soggettiva" tra giudice per le 
indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare, operando in una duplice 
direzione. 
Da un lato, su un piano strettamente ordinamentale, il d.lgs. n. 51 del 1998 
ha modificato l'art. 7-ter ord. giud., introducendo - nel quadro dei criteri obiettivi 
e predeterminati per l'assegnazione degli affari al G.i.p. - l'obbligo della 
"designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice 
dell'udienza preliminare". 
D'altro lato, il principio dell'alterità tra G.i.p. e G.u.p. è stato stabilito dal 
legislatore del 1998 anche all'interno del processo, attraverso appunto 
l'introduzione, al comma 2-bis dell'art. 34 cod. proc. pen., dell'incompatibilità a 
tenere l'udienza preliminare (oltre che ad emettere il decreto penale di condanna 
e a partecipare al giudizio, anche fuori dei casi di cui al comma 2) del giudice che, 
nel medesimo procedimento, ha esercitato funzioni di giudice per le indagini 
preliminari. 
3.3. La drastica scelta legislativa di non ricorrere a criteri "casistici" 
nell'individuazione dell'incompatibilità, ma di optare seccamente per la necessaria 
"alterità soggettiva" tra G.i.p. e G.u.p. (con conseguente rinuncia alla verifica, in 
concreto, dell'effettivo carattere "pregiudicante" dell'attività anteriormente svolta 
in funzione di G.i.p.), era stata apprezzata in dottrina perché «soprattutto faceva 
chiarezza, semplificando, almeno in parte, il quadro frastagliato e pur sempre 
inevitabilmente "aperto" risultante dalla giurisprudenza costituzionale». 
Peraltro, l'assolutezza di quella scelta ha ben presto indotto il legislatore ad 
intervenire ulteriormente, temperandone il rigore attraverso l'individuazione di 
alcune ipotesi di deroga all'incompatibilità "funzionale" delineata dal comma 2-bis 
dell'art. 34. 
In particolare, ai sensi del comma 2-ter del predetto articolo (introdotto dalla 
I. n. 479 del 1999, e modificato dalla I. n. 95 del 2004), le incompatibilità previste 
dal comma 2-bis non si applicano al giudice che, nel medesimo procedimento, ha 
emesso i provvedimenti previsti da specifiche disposizioni in tema di ordinamento 
penitenziario (autorizzazioni sanitarie, permessi di colloquio, corrispondenza 
telefonica, controllo sulla corrispondenza, permessi), ovvero provvedimenti di 
restituzione nel termine ex art. 175 cod. proc. pen., o di dichiarazione della 
latitanza ex art. 296 dello stesso codice. 
Inoltre, ai sensi del comma 2-quater dell'art. 34 (introdotto dal di. n. 82 del 
2000, conv. con mod. dalla I. n. 144 del 2000), le disposizioni del comma 2-bis 
non si applicano al giudice che, nel medesimo procedimento, ha adottato uno dei 
provvedimenti previsti dalle disposizioni in tema di incidente probatorio. 
Si è osservato, in dottrina, che le fattispecie di deroga all'operatività del 
comma 2-bis appaiono accomunate «dall'assenza, nelle corrispondenti decisioni; 
di qualsivoglia coefficiente di valutazione contenutistica dell'ipotesi accusatoria». 
Tale connotazione, di intuitiva evidenza quanto alle ipotesi individuate dal comma 
2-ter dell'art. 34, può dirsi riscontrabile anche nella deroga all'incompatibilità 
correlata all'adozione di provvedimenti in sede di incidente probatorio: nel valutare 
la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della relativa richiesta (art. 398 
cod. proc. pen.), nell'adottare i provvedimenti necessari all'espletamento 
dell'incidente (artt. 399, 400) e nella stessa assunzione della prova in 
contraddittorio (art. 401), l'attività del giudice risulta priva di momenti valutativi 
in ordine all'intrinseca configurabilità e consistenza dell'ipotesi accusatoria, 
essendo funzionale unicamente all'assicurazione della prova in vista della fase 
dibattimentale. 
Il quadro fin qui delineato trova riscontro in una decisione della Corte 
costituzionale (sent. n. 153 del 21 giugno 2012), secondo cui il comma 2-bis 
dell'art. 23 «sancisce, in termini generali, l'incompatibilità alla funzione di giudizio 
(oltre che alla funzione di giudice dell'udienza preliminare o all'emissione del 
decreto penale di condanna) del magistrato che, nel medesimo procedimento, 
abbia esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari, fatta eccezione per 
le ipotesi in cui si sia limitato ad assumere uno dei provvedimenti (di marginale 
rilievo o anticipatori dell'istruzione dibattimentale) specificamente elencati nei 
successivi commi 2-ter e 2-quater. Con tale disposizione - come emerge dalla 
relazione al d.lgs. n. 51 del 1998 - il legislatore ha inteso recepire le numerose 
dichiarazioni di illegittimità costituzionale pronunciate in precedenza da questa 
Corte in tema di incompatibilità del giudice per le indagini preliminari [...] 
accorpandole in una previsione unitaria di più immediata leggibilità, che peraltro 
ne supera l'ambito con la configurazione di una incompatibilità di tipo "funzionale", 
nella precipua prospettiva di prevenire ulteriori pronunce del medesimo segno» 
(cfr. § 4 del "Considerato in diritto"). 
4. Tale assetto normativo induce a ritenere non condivisibile l'orientamento 
interpretativo accolto nell'ordinanza impugnata, che attribuisce un pregiudiziale 
quanto dirimente rilievo, per l'affermazione dell'incompatibilità del giudice a tenere 
l'udienza preliminare ai sensi del comma 2-bis dell'art. 34, alla verifica del 
carattere decisorio, con incidenza nel merito, del provvedimento adottato da quel 
magistrato in funzione di giudice per le indagini preliminari (cfr. Sez. 6, n. 41776 
del 2017, cit.). 
Se è vero infatti che tale criterio ha concorso a guidare il percorso compiuto 
dalla Consulta, con le richiamate sentenze dichiarative della illegittimità 
costituzionale dell'art. 34 (cfr. supra, § 3.1.), altrettanto vero è che la scelta 
legislativa seguita a quel percorso" - con la quale l'indirizzo qui avversato non 
sembra confrontarsi compiutamente - è stata quella di recepire quelle decisioni, 
ma al contempo di superare la prospettiva "casistica" conseguente ai plurimi 
interventi della Corte costituzionale: si è infatti optato per la configurazione, al 
comma 2-bis dell'art. 34, di una incompatibilità direttamente correlata alla 
funzione esercitata dal giudice (non a caso definita «incompatibilità di tipo 
funzionale» dalla sentenza n. 153 del 2012), peraltro successivamente mitigata 
dalle ipotesi derogatorie specificamente indicate nei commi 2-ter e 2-quater 
dell'art. 34. 
Sembra del resto opportuno porre in evidenza che, se davvero si dovesse 
espungere per via interpretativa, dal tenore apparentemente onnicomprensivo 
dell'incompatibilità delineata dal comma 2-bis dell'art. 34, tutti i provvedimenti del 
G.i.p. non implicanti una valutazione nel merito dell'ipotesi accusatoria, 
risulterebbe alquanto arduo comprendere il senso delle disposizioni derogatorie di 
cui ai commi 2-ter e 2-quater, essendo queste ultime accomunate - come già 
osservato - proprio dall'assoluta assenza di aspetti valutativi della fondatezza 
dell'accusa. Si tratterebbe anzi di disposizioni totalmente superflue, in quanto 
l'insussistenza dell'incompatibilità sarebbe stata agevolmente ricavabile, pur in 
assenza dei commi 2-ter e 2-quater, facendo appunto leva sulla mancanza di 
contenuto valutativo (nel senso indicato) che caratterizza i provvedimenti di 
rimessione in termini, di dichiarazione di latitanza, di ammissione dell'incidente 
probatorio, di autorizzazione ai sensi degli artt. 11, 18, 18-ter, 30 ord. pen. 
Al contrario, il senso e la finalità dell'introduzione dei predetti commi si coglie 
e si apprezza compiutamente laddove si consideri che il legislatore, con il loro 
inserimento, ha inteso temperare gli effetti della riforma, limitando la portata 
applicativa di una incompatibilità "funzionale" che il d.lgs. n. 51 del 1998 aveva 
inteso delineate (come espressamente chiarito nella Relazione ministeriale) con 
caratteri di assolutezza. 
5. Alla luce di quanto fin qui esposto, deve ritenersi, da un lato, che l'attività 
di proroga delle intercettazioni svolta dal dr. Nicastro nel procedimento a carico 
dei ricorrenti rientri appieno nell'esercizio della funzione di giudice per le indagini 
preliminari, presa in considerazione dal comma 2-bis dell'art. 34 quale situazione 
di incompatibilità a tenere l'udienza preliminare; d'altro lato, risulta del tutto 
evidente che la predetta attività non sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi 
derogatorie contemplate dai commi 2-ter e 2-quater dello stesso articolo. 
È necessario chiedersi se tali previsioni siano suscettibili di interpretazione 
analogica, o se sia comunque possibile individuare - pur nel silenzio del legislatore 
- ulteriori ipotesi in cui all'adozione di provvedimenti in funzione di G.i.p. non 
consegua «l'incompatibilità di quel magistrato a tenere l'udienza preliminare, ad 
emettere il decreto penale di condanna, a partecipare al giudizio. 
A tale quesito, i ricorrenti e lo stesso Procuratore Generale hanno risposto in 
senso negativo, argomentando anzitutto dal divieto previsto dall'art. 14 disp. prel. 
cod. civ.; anche la sentenza Lamberti ha escluso la possibilità di estensioni per via 
interpretativa, sottolineando il carattere rigido delle disposizioni e la specificità e 
chiarezza dei riferimenti operati dalle norme derogatorie. 
Al riguardo, deve osservarsi che, anche a voler ritenere superabile l'ostacolo 
rappresentato dall'art. 14 delle preleggi, e a voler concordare quindi con 
l'impostazione dottrinale e giurisprudenziale favorevole ad integrare il "catalogo" 
delle deroghe all'incompatibilità, per esigenze di ragionevolezza correlate alla 
incompletezza del catalogo stesso, non potrebbe che aversi riguardo - per intuitive 
ragioni di carattere sistematico - alle sole ipotesi pienamente assimilabili a quelle 
individuate dal codice: ovvero, come sottolineato in dottrina, ai soli «casi che 
davvero non pongano in dubbio l'effettiva assenza di apprezzamenti 
contenutistici». 
In tale prospettiva è stata appunto esclusa, in giurisprudenza, l'incompatibilità 
a partecipare al giudizio dibattimentale del magistrato «che abbia esercitato, nel 
medesimo procedimento, le funzioni di G.i.p., conferendo un incarico peritale per 
la verifica, ai sensi dell'art. 299, comma quarto-ter, cod. proc. pen., della 
compatibilità delle condizioni di salute di un coindagato con il regime custodiale 
carcerario» (Sez. 6, n. 18525 del 26/04/2012, De Stefano, Rv. 252717. Sulla 
possibilità di escludere l'incompatibilità ex art. 34 comma 2-bis, estendendo ai 
provvedimenti effettivamente adottati dal giudice la medesima 
ratio sottesa alle ipotesi derogatorie previste dai commi 2-ter e 2-quater dello stesso art. 34, cfr. 
anche Sez. 5, a n. 371 del 12/12/2007, dep. 2008, Ruffoni, Rv. 238336). 
6. Appare peraltro superfluo, a questo Collegio, soffermarsi sull'impossibilità di 
ricondurre, in tale ambito di sostanziale omogeneità alle ipotesi codificate di 
deroga, i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche o ambientali, o di 
proroga dell'attività captativa già autorizzata, emessi dal G.i.p. nell'ambito del 
medesimo procedimento. 
È noto infatti che, per legittimare la compressione di un diritto di rilievo anche 
costituzionale, quale quello alla segretezza delle comunicazioni, il G.i.p. è tenuto 
a verificare tra l'altro - alla luce degli elementi acquisiti e dedotti dal P.M. a 
sostegno della richiesta di intercettazione o di proroga - la sussistenza/persistenza 
di gravi indizi di reato (art. 267 cod. proc. pen.), ovvero, nelle ipotesi di cui all'art. 
13 I. n. 203 del 1991, di sufficienti indizi di reato. Trattasi, con ogni evidenza, di 
attività nn assimilabile in alcun modo alle ipotesi codificate di deroga 
all'incompatibilità, proprio perché caratterizzata da una valutazione contenutistica 
dell"ipotesi accusatoria, operata nel medesimo procedimento (pur se al solo fine 
di autorizzare le captazioni, e pur se non necessariamente ancorata 
all'individuazione delle responsabilità di un determinato soggetto): ovvero proprio 
da quelle connotazioni che, invece, mancano totalmente nelle fattispecie elencate 
ai commi 2-ter e 2-quater dell'art. 34. 
In buona sostanza, il G.i.p. che autorizza l'intercettazione, o la proroga 
dell'attività captativa, non si limita ad un intervento di natura formale o comunque 
estraneo all'oggetto dell'imputazione, né si limita a "conoscere" il contenuto degli 
atti procedimentali acquisiti a sostegno di un'ipotesi accusatoria: egli è tenuto ad 
una delibazione delle risultanze allegate a sostegno della richiesta, in funzione 
squisitamente valutativa della configurabilità, su quelle basi, di gravi (o sufficienti) 
indizi del reato ipotizzato dal P.M. richiedente. Né può dubitarsi dell'effettivo 
esercizio di tali attività nella fattispecie in esame, avendo il dr. Nicastro autorizzato 
la proroga delle intercettazioni con una motivazione 
per relationem al contenuto della richiesta del P.M. e delle note della Squadra Mobile di Palermo, nelle quali si 
fa - tra l'altro - espresso riferimento al C. (all. 1, 2, 3 al ricorso), alla 
O. (all. 1, 2) e al T. (all. 4, 5. Sulla legittimità di una motivazione 
per relationem del decreto di autorizzazione o di proroga, mediante il richiamo al 
provvedimento del pubblico ministero e alle note di polizia, con implicito giudizio 
di adesione ad essi, cfr. ad  es. Sez. 1, n. 9764 del 10/02/2010, Femia, Rv. 
246518). 
7. Le considerazioni fin qui svolte rendono ultroneo l'esame delle ulteriori 
doglianze prospettate, imponendo l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza 
impugnata, e la restituzione degli atti alla Corte d'Appello di Palermo. 
P.Q.M. 
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la restituzione degli 
atti alla Corte d'Appello di Palermo. 
Così deciso il 28 novembre 2018 
Il Consigliereestensore 
Il Presidente
Avv. Antonino Sugamele

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