Trapani. Tratto in arresto da operatori della sezione di Polizia Giudiziaria di Trapani, nella flagranza del reato di tentata estorsione, di cui all'art. 56, art. 629, comma 2, con riferimento all'art. 628 c.p., comma 3, n. 1. Seguiva la convalida dell'arresto e l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, quest'ultima sostituita, con ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo, con quella degli arresti domiciliari fino alla revoca di quest'ultima misura con applicazione della misura dell'obbligo di dimora nel comune di residenza. Il Tribunale di Trapani lo condannava e la Corte di Appello di Palermo riformava la condanna in assoluzione per mancanza della querela.
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25/02/2020) 29-07-2020, n. 22824
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -
Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. TANGA A. L. - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.V., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 20/19 del giorno 03/06/2019, della Corte di Appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Leonardo Tanga;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BARBERINI Roberta, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. In data 15/11/2010, M.V. veniva tratto in arresto da operatori della sezione di Polizia Giudiziaria di Trapani, nella flagranza del reato di tentata estorsione, di cui all'art. 56, art. 629, comma 2, con riferimento all'art. 628 c.p., comma 3, n. 1. Seguiva la convalida dell'arresto e l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, quest'ultima sostituita, con ordinanza del 13/12/2010 del Tribunale del riesame di Palermo, con quella degli arresti domiciliari fino alla revoca di quest'ultima misura con applicazione, in data 07/04/2011, della misura dell'obbligo di dimora nel comune di residenza.
1.1. Con sentenza del Tribunale di Trapani del 16/02/2015, l'imputato veniva condannato per il delitto di tentata estorsione di cui si è detto alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa.
1.2. Con sentenza del 28/06/2017, la Corte di Appello di Palermo, adita dall'imputato, previa riqualificazione della fattispecie in quella diversa e meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, dichiarava non doversi procedere per mancanza di querela.
1.3. Con l'ordinanza n. 20/19 del giorno 03/06/2019, la Corte di Appello di Palermo, giudice della riparazione adito dal M.V., rigettava l'istanza.
2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione M.V., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):
I) violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 314 c.p.p., commi 1 e 2 e, in particolare, per avere la Corte di Appello condiviso una interpretazione troppo ampia del requisito (negativo) del non "aver dato o concorso ad aver dato causa all'ingiusta detenzione per dolo o colpa grave", tale da svuotare il significato della predetta condizione, facendolo coincidere con quello della gravità indiziaria, legittimante la restrizione cautelare.
II) violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 314 c.p.p. e, in particolare, per avere la Corte di Appello operato una erronea ed illegittima estensione del requisito del non "aver dato o concorso ad aver dato causa all'ingiusta detenzione per dolo o colpa grave", sancito per l'ipotesi prevista dall'art. 314, comma 1, anche all'ipotesi prevista dell'art. 314 c.p.p., comma 2.
III) vizi motivazionali per omessa motivazione e, in particolare, per non avere l'impugnata ordinanza reso motivazione sull'istanza di equa riparazione, in ordine al presupposto che la condizione negativa dello "aver dato o concorso ad aver dato causa all'ingiusta detenzione per dolo o colpa grave" si applica solo alla fattispecie di cui all'art. 314 c.p.p., comma 1 e non anche a quella di cui al comma 2 dello stesso articolo.
IV) vizi motivazionali per contraddittorietà della motivazione e, in particolare, per avere la Corte di Appello di Palermo, Sezione Seconda Penale emesso una ordinanza di rigetto, la cui motivazione risulta in palese conflitto con l'ordinanza, emessa dalla Terza Sezione della Corte di Appello di Palermo, di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione a favore di Me.Pi., originario coimputato del M. nel medesimo procedimento.
2.1. Con memoria depositata in data 05/02/2020, si è costituita, nell'interesse del Ministero dell'Economia e delle Finanze, l'Avvocatura dello Stato svolgendo argomentazioni avversative.
Motivi della decisione
3. Il ricorso appare fondato nei limiti e termini di cui appresso e i motivi son da trattarsi congiuntamente poichè logicamente avvinti.
4. Mette conto premettere che l'art. 314 c.p.p., al comma 1, regola il diritto alla riparazione a fronte dell'ingiustizia sostanziale, indicando le formule assolutorie che la legittimano, mentre il comma 2, ha riguardo alle ipotesi di ingiustizia formale. Orbene, va escluso che la presente fattispecie possa rientrare nelle ipotesi di cui al comma 1 stante la tassatività delle formule di proscioglimento ivi previste, dato che la legge ben può discriminare nell'ambito di situazioni differenti e non identiche. Occorre, pertanto, esaminare la sua riconducibilità alle previsioni del comma 2.
4.1. E' indiscutibile che tra le cause di non punibilità previste dall'art. 273 c.p.p., la cui presenza rende illegittima l'applicazione della misura cautelare, si debba annoverare la mancanza di querela (cfr., e pluribus, Sez. 4, n. 36 del 12/01/1999, Rv. 213231), anche sul rilievo dell'obbligo del giudice di dichiarare immediatamente con sentenza in ogni stato e grado, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., la mancanza di una condizione di procedibilità.
Questa Corte non trascura che alcune sentenze, per altro datate (v. Sez. 4, n. 40126 del 13/11/2002, Rv. 223285; Sez. 4, n. 26368 del 03/04/2007, Rv. 236989), hanno affermato che tale indirizzo non può dirsi operante per il difetto di querela che emerga solo per effetto della diversa qualificazione giuridica che al fatto venga data dal giudice di merito. Con tali pronunce si ritiene che la formulazione letterale della norma dell'art. 314 c.p.p., comma 2 (con riferimento all'inciso "decisione irrevocabile") valorizza l'ingiustizia formale della misura, svincolata dall'esito del giudizio di merito, che è invece presupposto della riparazione prevista dal comma 1, di tal che l'istante ha diritto all'equa riparazione soltanto per assenza, all'epoca dell'applicazione o della conferma della misura, di gravi indizi di colpevolezza, ovvero per la presenza, a quella data, di cause di non punibilità.
Si richiede infatti una decisione irrevocabile che accerti che il provvedimento custodiale è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità: ciò vuol dire che la causa di non punibilità (compresa nel concetto la causa di improcedibilità), deve risultare alla stregua dell'imputazione contenuta nell'ordinanza, non impugnata, applicativa della misura cautelare, ovvero in quella, parimenti non impugnata, adottata dal tribunale del riesame ex art. 309 c.p.p. o art. 310 c.p.p., o nella pronuncia di questa Corte investita da ricorso contro l'ordinanza del tribunale del riesame o da ricorso per saltum avverso il provvedimento restrittivo, vale a dire alla stregua dell'imputazione su cui si è formato il giudicato cautelare. L'ingiustizia formale deve dunque risultare accertata, per dar diritto alla riparazione, attraverso il giudicato cautelare.
Diversamente, la Corte, chiamata nuovamente ad interpretare la portata della disposizione di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, di recente (v. Sez. 4, n. 39535 del 29/05/2014 Cc. - dep. 25/09/2014- Rv. 261408; Sez. 4, n. 29340 del 22/05/2018 Cc. - dep. 26/06/2018- Rv. 273089), ha statuito che la decisione emessa in sede di riesame non esaurisce la nozione di "decisione irrevocabile", tale potendosi e dovendosi considerare anche quella emessa all'esito del giudizio di merito sempre che, naturalmente, da essa si evinca la mancanza, sin dall'origine, delle condizioni di applicabilità della misura.
In tale prospettiva è stato quindi affermato che non costituisce "causa ostativa alla riparazione" la circostanza che "la ridefinizione dell'imputazione in altra - per la quale non era consentita, in ragione della pena edittale massima, l'emissione della misura custodiale in carcere, ai sensi dell'art. 280 c.p.p. - sia avvenuta in sede di merito e non già in un giudizio cautelare, per effetto di valutazione di circostanze emerse solo nell'istruzione dibattimentale o rilevate ex officio dal giudice".
Il Collegio ritiene di uniformarsi a tale interpretazione evidenziando che essa è in sintonia con i principi costituzionali (Corte Cost. nn. 231 e 413 del 2004) e del resto la soluzione che nega l'ingiustizia della detenzione nell'ipotesi in cui manchi una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata all'esito del giudizio di merito, o che, comunque, correla quell'ingiustizia alla fattispecie delittuosa originariamente contestata e non a quella ritenuta in sentenza, contrasta con i principi affermati dalle Sezioni Unite in punto di rilevanza, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, anche degli accertamenti risultanti ex post (Sez. Un., n. 20 del 12/10/1993 Cc. - dep. 08/11/1993 - Rv. 195353), oltre ad apparire distonica con il fondamento solidaristico dell'istituto ripetutamente rimarcato dal giudice delle leggi.
4.2. Più recentemente le Sezioni Unite di questa stessa Corte hanno, d'altra parte, affermato che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, opera anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. (Sez. Un., n. 32383 del 27/05/2010 Cc. - dep. 30/08/2010 - Rv. 247663). Nell'occasione, si è anche precisato che tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l'indicata condizione ostativa, nei casi in cui l'accertamento dell'insussistenza "ab origine" delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione.
5. L'applicazione degli esposti principi alla fattispecie dedotta in giudizio impone, assorbiti i residui motivi di ricorso, l'annullamento dell'ordinanza con rinvio alla Corte d'Appello di Palermo, per un nuovo esame, atteso che la relativa motivazione non offre alcun elemento utile per comprendere le ragioni che avevano portato alla derubricazione del reato contestato, se si trattasse di una pura e semplice rilettura degli stessi elementi di accusa che esistevano al momento dell'emissione del provvedimento cautelare oppure se a tale decisione si sia pervenuti grazie a successive acquisizioni probatorie, tenendo anche conto del rilievo che l'ordinanza genetica appariva sostanzialmente confermata dal Tribunale del riesame di Palermo e il giudice di primo grado aveva emesso sentenza di condanna per il delitto di tentata estorsione.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'Appello di Palermo cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020
09-08-2020 13:33
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