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Sentenza

Salemi. Cosa Nostra. Il Tribunale di Trapani confisca beni immobili, mobili, partecipazioni societarie ed imprese, estesa anche ai beni intestati ai terzi interessati (coniuge) e (figlio).
Salemi. Cosa Nostra. Il Tribunale di Trapani confisca beni immobili, mobili, partecipazioni societarie ed imprese, estesa anche ai beni intestati ai terzi interessati (coniuge) e (figlio).
SENTENZA sui ricorsi proposti da: S.M. nato a S.il ....S.F.  nato a S. il ,........... L.L.C.  nato a M. il ....... avverso il decreto del 29/09/2017 della CORTE APPELLO di PALERMOudita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE; lette le conclusioni del PG Giuseppina CASELLA che ha concluso per l'inammissibilità; RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Palermo ha confermato il decreto emesso in data 2 aprile 2014 dal Tribunale di Trapani con il quale è stata applicata a M.S. la misura di prevenzione della confisca di beni immobili, mobili, partecipazioni societarie ed imprese, estesa anche ai beni intestati ai terzi interessati L.S.C.L. (coniuge) e F.S. (figlio), in quanto ritenuto portatore all'epoca degli incrementi patrimoniali, venendo applicata la misura in via disgiunta, di pericolosità qualificata (a decorrere dal 2003/2004), perché gravitante in ambiente mafioso e appartenente in senso ampio alla consorteria «Cosa Nostra», avendo intrattenuto nel tempo rapporti affaristici connotati da reciproca utilità con esponenti di rilievo dell'organizzazione mafiosa, e di pericolosità ordinaria correlata alla consumazione di reati contro la pubblica amministrazione (per i quali è intervenuta la sentenza di applicazione della pena in data 9 marzo 2010) e tributari. 1.1. I giudici della prevenzione hanno ritenuto sussistente la pericolosità qualificata caratterizzata da una «lata appartenenza» alla consorteria mafiosa con la quale il proposto è venuto ripetutamente in contatto, concretamente agevolandola e ottenendo un proprio concreto interesse. Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito il proposto ha, per un tempo considerevole e sia pure nell'ottica di una reciproca e insincera strumentalizzazione, agito approfittando o cercando di approfittare della capacità di penetrazione sul territorio degli esponenti della famiglia mafiosa dei Tamburello e dei Sacco, con ciò finendo per riconoscere, implementare e rafforzare la logica di controllo territoriale dell'organizzazione mafiosa, ciò ricavando da una serie di elementi indiziari che emergono da alcune pronunce giudiziarie a carico del S.. In particolare, nell'ambito del procedimento «Eolo», che ha visto il proposto riportare l'applicazione della pena per rivelazione di segreto d'ufficio e corruzione impropria aggravati ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 203 del 1991 (fatti del 2005), secondo i giudici della prevenzione è emerso un quadro di inquinamento per corruttela e infiltrazione mafiosa del fenomeno imprenditoriale dei parchi energetici nell'ambito del quale si era affermato il proposto. Nel medesimo procedimento i correi del proposto (V.M. , A.A.  e L.F.) venivano giudicati responsabili, a seguito di rito abbreviato, dei medesimi reati in forza di un ingente quadro probatorio emergente dalle intercettazioni telefoniche dalle quali risulta che M., che aveva incaricato il proposto di seguire lo sviluppo del progetto, aveva esplicato interventi politici e amministrativi volti ad avvantaggiare la società SUD WIND nell'ottenimento dei provvedimenti necessari alla realizzazione del parco a discapito delle concorrenti, tanto che risulta versata a suo favore una tangente di circa C 75.000 oltre alla consegna di una vettura di lusso. I giudici della prevenzione hanno altresì evidenziato le emergenze probatorie emerse nell'ambito del procedimento «Mandamento» nel quale il proposto è stato prosciolto, unitamente al coimputato S., dall'imputazione di corruzione aggravata soltanto a causa della inutilizzabilità di una intercettazione reputata dirimente per dimostrare l'accordo corruttivo. In detto procedimento era risultato tuttavia accertato che S. aveva fatto ricorso a mezzi estremi per indurre il proposto a consegnargli alcune informazioni rilevanti per la realizzazione di un parco eolico, tanto che il proposto aveva alla fine acconsentito, avanzando però consistenti pretese economiche (2007), ritenute dimostrative delle relazioni con l'organizzazione mafiosa e dei proventi illeciti ricavati. La sussistenza di stabili e significativi contatti con le organizzazioni mafiose è stata desunta anche da altre intercettazioni (relative ad episodi dell'ottobre 2006, del dicembre 2007 e dell'agosto 2008) concernenti gli accordi per le attività spartitorie relative ai progetti di parchi per energie alternative nell'ambito dei quali alcuni esponenti di spicco delle organizzazioni mafiose operanti sul territorio erano intervenuti per favorire l'accordo tra gli imprenditori, gli amministratori locali e il professionista S. promotore o incaricato della progettazione. I giudici della prevenzione hanno anche valorizzato le risultanze del procedimento svoltosi davanti all'autorità giudiziaria di Firenze, nell'ambito del quale il proposto è stato assolto dall'accusa di bancarotta fraudolenta, evidenziando tuttavia che la complessiva operazione di cessione societaria aveva portato a una ingiustificata plusvalenza patrimoniale a favore delle società del proposto. D'altra parte, la ricostruzione delle movimentazioni contabili delle aziende riferibili al proposto aveva evidenziato la commissione di reati tributari in ragione degli anomali flussi finanziari di cassa registrati negli anni dal 2004 al 2011.2. Ricorrono con unico atto il proposto M.S. e i terzi interessati L.S.C.L.(coniuge) e F.S. (figlio), a mezzo del difensore avv. Vito Galluffo, che chiede l'annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge, in relazione all'art. 1 della legge n. 575 del 1965, e la mancanza della motivazione relativa alla pericolosità per non essere stata esaminata la doglianza difensiva relativa all'avvenuto rigetto da parte del Tribunale di Trapani in data 25 maggio 2010 di una precedente proposta di applicazione della misura di prevenzione, in considerazione dell'assenza della pericolosità e perché il proposto dopo il 2010 non ha commesso reati e non ha avuto rapporti di affari o di altro genere con soggetti ritenuti mafiosi, tanto è vero che lo stesso è anzi stato vittima di condotte illecite perpetrate a suo danno ed è anche stato assolto dal Tribunale di Marsala per insussistenza del fatto dalla contestazione, ex artt. 319, 319-bis, 312 cod. pen., 7 legge n. 203 del 1991, di avere percepito corrispettivi non dovuti per le prestazioni svolte in relazione ai parchi eolici, nonché dal Tribunale di Firenze per le ipotesi di bancarotta che gli venivano contestate, non risultando il medesimo neppure indagato per delitti in materia tributaria. Del resto, la ritenuta sproporzione degli incrementi patrimoniali deve essere circoscritta al periodo di pericolosità e fatta oggetto di una complessiva ricostruzione della storia economica del proposto, sicché risulta totalmente mancante la motivazione che non fornisce alcuna spiegazione della accertata esistenza di un «rimarchevole disaccordo» nella ricostruzione delle disponibilità finanziarie operata dai periti e dai consulenti di parte e che viene illegittimamente retrodatata fino all'anno 1999, tenuto conto che, per stessa ammissione dei giudici di merito, la pericolosità qualificata si ritiene insorta negli anni 2003/2004 in coincidenza con l'avvio delle attività nel settore dei parchi energetici alternativi. I periti hanno però definito come leciti i lavori svolti dal proposto e i redditi percepiti in tale contesto, risultando una media annua di disponibilità per il mantenimento di tutto il nucleo familiare di circa C 9.000. La pericolosità risulta affermata contraddittoriamente rispetto alla valutazione prognostica favorevole operata dal Tribunale di Marsala che, in relazione alla pena applicata ai sensi dell'articolo 444 cod. proc. pen., ha concesso la sospensione condizionale.Deve essere, inoltre considerato che il proposto è stato assolto con sentenza del Tribunale di Marsala in data 18 luglio 2012 dalle accuse che avevano portato all'autorizzazione delle intercettazioni telefoniche e ambientali che sono citate dai giudici della prevenzione, sicché risulta immotivata la disposta confisca di somme irrisorie depositati sui conti correnti intestati a F.S. , mentre la pericolosità risulta immotivatamente dedotta dalle conversazioni che riguardano però un diverso soggetto (M.) il quale, come lo stesso giudice di merito ammette, opera sotto l'egida delle organizzazioni mafiose tanto che dalle stesse ha ricevuto il potere di minacciare S. che si opponeva alle condotte illecite. D'altra parte, lo stesso M., dichiarato responsabile di vari reati, è risultato estraneo alla mafia tanto che è stata esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 7 della legge n. 203 del 1991. 2.1. In data 19 febbraio 2019 l'avv. Vito Galluffo, difensore di M.S. e dei terzi interessati L.S.C.L. (coniuge) e F. S. (figlio), ha depositato motivi aggiunti con i quali denuncia: - la violazione di legge, in riferimento agli articoli 546, 598 cod. proc. pen., 1 legge n. 575 del 1965, e l'apparenza della motivazione in relazione alla pericolosità qualificata del proposto per non essere stata esaminata la doglianza difensiva relativa all'avvenuto rigetto da parte del Tribunale di Trapani in data 25 maggio 2010 di una precedente proposta di applicazione della misura di prevenzione in considerazione dell'assenza della pericolosità, nonché per erronea valutazione degli elementi indiziari posti a fondamento della ritenuta pericolosità in ragione del fatto che sulla base dei medesimi elementi il proposto veniva assolto dalle accuse mossegli nel relativo procedimento penale (primo motivo nuovo); - la violazione di legge, in riferimento agli articoli 546, 598 cod. proc. pen., con riguardo agli indicatori di pericolosità qualificata, non essendo stata considerata la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena dal quale si desume un giudizio prognostico positivo in grado di escludere la pericolosità, facendosi invece erroneamente riferimento a intercettazioni che riguardano altri soggetti, nonché per non essere stata adeguatamente valutata l'avvenuta condanna irrevocabile di S.per i fatti commessi in danno del proposto, sicché quest'ultimo risulta vittima nell'intera vicenda e non concorrente con il primo (secondo motivo nuovo); - la violazione di legge, in riferimento agli articoli 546, 598 cod. proc. pen., e l'omessa motivazione sulla sproporzione dei redditi rispetto agli incrementi patrimoniali, poiché la Corte d'appello si è limitata a ribadire le considerazioni del primo giudice senza dare risposta alle argomentazioni difensive (terzo motivo nuovo). 2.2. Il difensore ha depositato in data 1/03/2019 memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale, chiedendo l'accoglimento del ricorso anche in relazione alla ritenuta illegittimità costituzionale della confisca disposta per pericolosità generica, richiamando l'ordinanza di rimessione della corte d'appello di Napoli in data 15/03/2017. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi dei terzi interessati L.S.C.L. (coniuge) e F.S. (figlio) sono inammissibili perché proposti in modo irrituale, mentre il ricorso di M.S. è inammissibile perché sviluppa motivi non consentiti e comunque generici; da ciò discende anche l'inammissibilità dei motivi nuovi ai sensi dell'art. 585 comma 4 (ultimo periodo) cod.proc.pen. 2. Sono inammissibili i ricorsi dei terzi interessati L.S.C.L.  e F.S.. A norma dell'articolo 100 cod. proc. pen. le parti private diverse dall'imputato stanno in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale che, salvo diversa espressa volontà, si presume conferita soltanto per un determinato grado (Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014, Borrelli, Rv. 260894). Ai ricorsi presentati nell'interesse dei suddetti terzi estranei al procedimento di confisca non risulta allegata la procura speciale, sicché gli stessi vanno dichiarati inammissibili; né può trovare applicazione la disposizione di cui all'art. 182, comma secondo, cod.proc.civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (Sez. U. n. 47239 del 2014, sopra citata).3. Anche il ricorso del proposto M.S. è inammissibile. 3.1. Deve essere anzitutto precisato che il ricorso contesta la pericolosità per il periodo successivo al 2010, mentre il provvedimento impugnato ha datato l'insorgenza della pericolosità a partire dal 2003/2004, con l'avvio delle attività nel settore delle energie alternative, e fino a periodo coevo alla sentenza di applicazione della pena del 9 marzo 2010, sicché tutte le deduzioni relative alla asserita mancanza di pericolosità per tale successivo periodo risultano inammissibili perché non si confrontano col provvedimento impugnato. 3.2. Il ricorso contesta, altresì, la pericolosità qualificata per appartenenza a una associazione mafiosa, criticando il provvedimento impugnato sotto il profilo motivazionale, deducendo in particolare come il proposto abbia sempre correttamente operato e sia, anzi, rimasto vittima delle prepotenze delle organizzazioni mafiose operanti sul territorio. Premesso che le deduzioni in punto di adeguatezza della motivazione sono inammissibili perché non consentite nel giudizio di legittimità ai sensi degli articoli 10 e 27 d.lgs. n 159 del 2011, anche le restanti deduzioni che contestano la mancanza della motivazione sono inammissibili perché generiche. Il ricorso si limita ad indicare in modo laconico alcune circostanze da cui dovrebbe desumersi l'estraneità del proposto agli ambienti mafiosi, senza però confrontarsi con il provvedimento impugnato che, oltre ad evidenziare l'avvenuto riconoscimento con la sentenza di applicazione della pena divenuta irrevocabile dell'aggravante di cui all'articolo 7 della legge n. 203 del 1991, ha ampiamente e logicamente valorizzato il contenuto di numerose intercettazioni dalle quali emerge una costante e diretta interrelazione con esponenti di spicco della criminalità mafiosa proprio in relazione alle procedure tecniche e amministrative per la realizzazione di parchi energetici, nell'ambito delle quali l'organizzazione mafiosa interveniva per stabilire accordi, avallare progetti, superare difficoltà e portare a termine, mediante l'influenza esercitata sugli amministratori locali e sugli imprenditori coinvolti, i progetti predisposti o intermediati dal proposto. Il ricorso, in particolare, omette completamente di confrontarsi con le intercettazioni telefoniche dalle quali è desunto l'intervento risolutivo dei vertici mafiosi, di volta in volta rappresentati da soggetti indicati come mafiosi (quali P.R. e G.C., e l'imprenditore mafioso A.S.) per la realizzazione delle opere.3.2.1. Costituisce consolidato e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità quello di autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale. In effetti, la giurisprudenza ha condivisibilmente affermato che «ai fini della formulazione del giudizio di pericolosità, funzionale all'adozione di misure di prevenzione ai sensi della legge n. 575 del 1965, è legittimo avvalersi di elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, benché non ancora conclusi e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all'accertamento della penale responsabilità dell'imputato, sicché anche una sentenza di assoluzione, pur irrevocabile, non comporta la automatica esclusione della pericolosità sociale» (Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266364). D'altra parte «è inapplicabile il principio del divieto di "bis in idem" tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, poiché il presupposto per l'applicazione di una misura di prevenzione è una "condizione" personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, mentre il presupposto tipico per l'applicazione di una sanzione penale è un fatto- reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale» (Sez. 6, n. 44608 del 06/10/2015, Cincinnato, Rv. 265056). Tali condivisi principi devono essere calati nel caso oggetto del giudizio: il ricorrente è stato definitivamente condannato per delitti contro la pubblica amministrazione aggravati dall'art. 7 I. n. 203 del 1991 e assolto da altre accuse relative a reati di bancarotta (Firenze) e di corruzione aggravata (Trapani). Tuttavia, secondo la logica ricostruzione operata dal giudice della prevenzione, a tale ultima pronuncia si è giunti sulla base dell'inutilizzabilità di una intercettazione, mentre l'intreccio dei rapporti anche con esponenti mafiosi che emerge dalle restanti intercettazioni, pur non assurgendo in detto processo a livello probatorio sufficiente a fondare la responsabilità, è stato ritenuto idoneo a supportare il giudizio di pericolosità qualificata. Ciò premesso, è corretta l'applicazione della legge fatta dalla Corte d'appello di Palermo che ha osservato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità la quale, in proposito, ha precisato che in sede di verifica della pericolosità del soggetto proposto per l'applicazione di una misura di prevenzione ai sensi , dell'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il giudice della prevenzione può ricostruire in via autonoma la rilevanza dei fatti accertati in sede penale che non abbiano dato luogo ad una sentenza di condanna, a condizione che l'inesistenza di quei fatti non sia stata accertata con pronuncia irrevocabile, in quanto la negazione di un fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità» (Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, Carnovale, Rv. 272496). In effetti, nel caso oggetto del giudizio, il giudice penale ha escluso l'ipotesi accusatoria di corruzione, ma non ha negato l'esistenza dei contatti e dei rapporti che, sotto la lente della pericolosità, sono stati valorizzati dal giudice della prevenzione. 3.2.2. D'altra parte, secondo la costante giurisprudenza di legittimità «il concetto di "appartenenza" ad una associazione mafiosa, rilevante per l'applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla "partecipazione", si sostanzia in un'azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale» (da ultimo Sez. U, n. 111 del 30/11/2017 dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512) In particolare, nell'ampio concetto di appartenenza, richiamato nell'art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011, quale condizione legittimante l'applicazione della misura, si ritengono rilevanti anche condotte non connotate dal vincolo stabile, ma astrattamente inquadrabili nella figura del concorso esterno di cui agli artt. 110, 416-bis cod.pen., per definizione caratterizzata da una collaborazione occasionale, espressa in unico o diluito contesto temporale, che si realizza con riferimento a circoscritte esigenze del gruppo, in correlazione con la loro insorgenza, ed è quindi ontologicamente priva della connotazione tipica della condotta partecipativa, costituita dallo stabile inserimento nell'organizzazione criminale con caratteristica di spiccata e persistente pericolosità, derivante dalla connotazione strutturale, mentre risulta estranea a tale concetto la mera collateralità che non si sostanzi in sintomi di un apporto individuabile alla vita della compagine. Una tale chiave interpretativa risulta avvalorata dalle modifiche normative intervenute nel corso della pendenza del giudizio contenute nella legge 17 ottobre 2017, n. 161, che, nell'innovare l'art. 4 del d.lgs. in esame, ha espressamente inserito quale specifica ipotesi di pericolosità, suscettibile di giustificare l'applicazione della misura, l'esistenza degli elementi indiziari sull'attività di fiancheggiamento del gruppo illecito prevista nell'art. 418 cod. pen. Dall'innovazione non può che desumersi la conferma dell'impossibilità di qualificare come appartenenza la condotta che, nella consapevolezza dell'illecito, si muova in una indefinita area di contiguità o vicinanza al gruppo, che non sia riconducibile ad un'azione, ancorché isolata, che si caratterizzi per essere funzionale agli scopi associativi. Il provvedimento impugnato, con riguardo alla appartenenza all'organizzazione mafiosa appare solo genericamente criticato dal ricorso, essendo stata posta in evidenza dalla Corte d'appello la stabile interrelazione per il reciproco vantaggio del proposto e dell'organizzazione, reiterata in occasione di tutti i progetti seguiti da S.. 3.2.3. La differente struttura dell'appartenenza rispetto alla partecipazione impedisce perciò la piena equiparazione tra situazioni radicalmente diverse. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui non siano apprezzati elementi indicativi di una «partecipazione», individuabile nella collaborazione strutturale con il gruppo illecito nella consapevolezza della funzione del proprio apporto stabile e riconoscibile dai consociati, la collaborazione occasionalmente prestata, pur nel previo riconoscimento della funzione della stessa ai fini del raggiungimento degli scopi propri del gruppo, per la mancanza di stabilità connessa alla natura di tale cooperazione, non può legittimare l'applicazione di presunzioni semplici, la cui valenza è radicata nelle caratteristiche del patto sociale, la cui ideale sottoscrizione, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidít, costituisce il substrato giustificativo (sul punto Corte cost., n. 231 del 2010) che l'apporto occasionale non possiede per definizione. In tal caso l'accertamento di attualità deve logicamente essere ancorato a valutazioni specifiche sulla ripetitività dell'apporto, sulla permanenza di determinate condizioni di vita ed interessi in comune. Con riguardo, quindi, alla attualità della pericolosità rispetto all'ambito temporale in cui la stessa si è manifestata (dal 2003 al 2010), il provvedimento impugnato risulta contestato soltanto in modo generico, posto che il ricorso, come si è anticipato, contesta unicamente detta pericolosità per il periodo successivo al 2010.3.3. Sono, del pari, inammissibili le censure concernenti la sproporzione tra incrementi patrimoniali e redditi in quanto il ricorso si presenta generico, rispetto alla coerente e logica motivazione stesa sul punto dai giudici di merito, in quanto si limita a prospettare a livello di ipotesi (a pag. 9 del ricorso viene impiegato il condizionale per criticare le conclusioni elaborate dai periti) una lecita disponibilità patrimoniale, tant'è che il ricorso afferma l'esistenza di redditi annuali di euro 9.000 idonei a mantenere il proposto e la famiglia, mentre le esistenti divergenze valutative in merito alle capacità economiche risalenti all'anno 1999 sono state logicamente giudicate irrilevanti, dato il notevole spazio temporale intercorso con il sorgere della pericolosità (datato in epoca successiva al 2003), derivante dall'avvio delle attività imprenditoriali nel business dei parchi energetici alternativi in occasione delle quali, come si è detto, si sono sviluppate quelle relazioni partecipative di reciproco interesse con le organizzazioni mafiose e sono stati registrati gli incrementi patrimoniali oggetto di ablazione. 3.4. È inammissibile, perché proposta soltanto con la memoria di replica e comunque irrilevante, la questione della legittimità costituzionale della confisca disposta per pericolosità generica poiché, nel caso di specie la misura è stata disposta anche per pericolosità qualificata, a tacere del fatto che la questione proposta dalla Corte d'appello di Napoli è stata accolta dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 24 del 2019) soltanto con riguardo alla pericolosità ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 e dunque per i soggetti dediti a «traffici delittuosi», categoria diversa da quella nella quale è stato iscritto il prevenuto. 4. All'inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00. P.Q.M. 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 7 marzo 2019.
Avv. Antonino Sugamele

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